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LEZIONI
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Cinema e Jazz
Quando il Jazz arrivò in Italia
di Cinzia Villari
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In Europa, insieme allo sbarco delle truppe militari americane, sono arrivati
i V Disc e il jazz. E' interessante l'affermazione di
Pupi
Avati [1] a proposito del fatto
che tanto del successo e della presa che il jazz ebbe su gran parte dei ragazzi
italiani è dovuta all'opera di chi parlò e scrisse su quella musica. Attraverso
le storie speciali che venivano raccontate, questi giovani impararono, prima ancora
di comprendere questa musica, ad amare i protagonisti che avevano avuto il coraggio
di inventarla. Episodi bizzarri, dolorosi o divertenti sulla vita di questi uomini
permisero di arrivare alla comprensione di questa musica già imbevuta interamente
di mito.
Ecco già come le biografie di questi grandi artisti riuscivano a colpire
l'immaginazione di un mondo giovanile d'oltreoceano che vedeva ingenuamente in loro
non solo la musica portata dal mitico sbarco in Europa delle truppe dei loro salvatori,
ma le vite di questi personaggi così fuori dalle regole da rappresentare libertà,
ribellione e anticonformismo. Le biblioteche allora, ci dice ancora
Avati,
erano fornite di decine di libri fotografici che raccontavano in qualche modo l'America,
e insieme ad essa, le immagini del jazz con le foto dei suoi idoli. Leggere, guardare
e finalmente ascoltare questa musica così lontana dalla cultura europea, così nuova,
così trasgressiva e interessante.
Durante
la Prima Guerra Mondiale,
Alfredo Casella,
musicista, scrittore, insegnante e organizzatore, terminato l'apprendistato francese,
rientrò a Torino e su Il pianoforte,
giornale locale, nel giugno del 1921 firmò un articolo che mostra come gli vada
dato il merito di essersi occupato di jazz con grande anticipo sui contemporanei
italiani
Ultimamente mi venne dato da sentire all'estero certi straordinari dischi
americani da grammofono, nei quali si udivano alcuni di quei fantastici jazz-band
negri improvvisare in modo inverosimile attorno alla modesta trama musicale di certi
fox-trot. E pensavo –udendo certe sontuose polifonie ritmiche adattate su talune
notissime danze dalla mirabile genialità inventiva di quegli esecutori, capaci di
trarre da un semplice fox-trot un monumento poliritmico e multifonico suscettibile
di reggere il confronto con una fuga di Bach: che abbia a ritornare un giorno
(con altri mezzi s'intende) la vecchia libertà interpretativa del '400 e '500?
[2]
Egli difese la sua sincera passione modernista, contro gli attacchi che
arrivarono da ovunque, primo tra tutti quello del Mascagni che reclamò un
intervento da parte dello Stato che proibisse, insieme alla cocaina, anche il jazz.
Casella, nonostante fervente sostenitore della politica mussoliniana nella
quale vedeva la possibilità della prodigiosa resurrezione dell'Italia, continuò
a sostenere e a difendere quella musica che Mussolini più o meno apertamente
osteggiava.
Dall'inizio degli anni Venti, fino almeno agli anni Trenta, Roma divenne
il punto d'incontro dei più sorprendenti percorsi intellettuali. Insieme a Firenze,
città d'arte, moda e cultura, Torino, che contendeva a Milano il ruolo di città-simbolo
del macchinismo, Trieste che riuniva in sé i movimenti della città di frontiera,
la capitale fu culla di un'interessante quanto tumultuosa attività creativa. Una
vita frenetica e mondana, caratterizzò l'Italia che a breve si sarebbe trasformata
da stato liberale a stato fascista. In questo periodo si consumarono matrimoni e
divorzi artistici tra le varie correnti. Anche il Futurismo marinettiano, sia politico
sia economico, così fervente e attivo da muoversi nell'intera penisola, sembrò sposarsi
per un momento con le avanguardie antiborghesi, in un idillio che sembrava poter
creare una possibile unità nei programmi.
L'idillio
durò poco, ma ci fu. E l'Italia, nonostante tutte queste divergenze, vuoi per i
problemi lasciati insoluti dal conflitto con il conseguente sbandamento, vuoi per
il bisogno di una guida, denunciato da un'intera generazione, prima che tutto si
disperdesse nel successivo allineamento portato dal regime fascista, visse un momento
di fortissima creatività. Parallelamente alle avanguardie e al mondo intellettuale,
si vennero a creare una serie di voci, apolitiche o schierate con il potere, caratterizzate
da un certo conservatorismo, cui gli corrispose una gioventù forzatamente spensierata,
inconsapevole della perdita della libertà, che era convinta che in un ritmo frenetico
poteva liberarsi da ogni restrizione e da ogni vincolo morale della propria esistenza.
L'America, intanto, con la vittoria militare era entrata fisicamente nella
vita europea, soprattutto in queste generazioni più giovani, portandosi dietro i
prodotti più manifesti della sua industria culturale: il cinema e il jazz. E il
jazz a sua volta si era caricato al seguito anche il ballo, creando una vera e propria
frenesia generale. Ma al regime quest'esperienza risultava estranea se non addirittura
disprezzabile e se il cinema fu più facilmente accettato, la stessa cosa non avvenne
per il jazz. Le correnti conservatrici vedevano il tutto con disdegno e associandolo
alla cocaina e alle sigarette oppiate, vedevano questa musica come qualcosa di pericoloso.
Ma la bomba ormai era innescata. Nonostante le violente proteste, il fascino della
musica sincopata dilagò inarrestabilmente. Nelle feste, nei teatri e in ogni tipo
di manifestazione culturale, non si restò insensibili al fascino di questa musica.
La jazz-mania sviluppò anche l'umorismo strampalato e goliardico, facendo trionfare
il nonsense. I fumettisti presero di mira personaggi del mondo letterario
e musicale irridendo la loro cieca collera antijazzista. E nei cinema trionfalmente
si proiettò Il cantante di jazz che introducendo
il sonoro nell'arte muta, attuò un altro grande cambiamento. Film come questo o
come il successivo Il re del jazz
[3] imperversarono nelle
sale alimentando anche con l'immagine la vita del fenomeno.
Ed ecco che anche in Italia al matrimonio tra cinema e jazz, diamo il
benvenuto. Queste due arti in tutte le loro varianti più o meno commerciali, imitate
o simulate, diventarono l'emblema della modernità.
[1] Ermanno Comuzio e Roberto Ellero (a cura di), Cinema
e Jazz. Quaderni di musica e film, Comune di Venezia, Assessorato alla Cultura,
Gran Teatro La Fenice, Venezia 1985.
[2] Giorgio Rimondi, La scrittura sincopata. Jazz e letteratura nel Novecento italiano,
Milano, Edizioni Bruno Mondatori,1999.
[3] In Bix di Avati c'è una scena che si riferisce alla pellicola. Infatti, è proprio
questo il film che Paul Withman e la sua orchestra si apprestano a girare senza,
purtroppo, la presenza di Bix.
15/06/2006 | 16 giugno 2005: un anno fa la scomparsa di
Henghel Gualdi lasciava un grande vuoto oggi ancora più forte. Jazzitalia
lo ricorda attraverso le testimonianze di: Nando Giardina della Doctor Dixie Jazz Band,
Renzo Arbore, Pupi Avati, Lele Barbieri, Luigi Barion,
Gianni Basso, Franco Cerri, Teo Ciavarella, Felice Del Gaudio,
Gianni Giudici, Annibale Modoni, Marcello Rosa, Jimmy Villotti... |
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Data pubblicazione: 15/08/2007
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