Tim Berne Snakeoil Torino - Teatro Piccolo Regio Giacomo Puccini - 28 aprile 2016 di Niccolò Lucarelli foto di Vincenzo Fugaldi
click sulle foto per ingrandire
Tim Berne - sassofoni
Oscar Noriega - clarinetti
Ryan Ferreira - chitarra elettrica
Matt Mitchell - pianoforte
Ches Smith - batteria, vibrafono
In un'edizione del Festival dedicata alle complesse relazioni
fra il jazz e le arti, il concerto di Tim Berne, accompagnato dal gruppo
Snakeoil, rappresenta uno degli apici del fil rouge immaginato dalla direzione
artistica. Il sassofonista di Syracuse è l'esponente di un personalissimo stile
di jazz in stretto rapporto con la pittura simbolista e le atmosfere shakespeariane,
con brevi riferimenti sonori alla musica concreta di Stockhausen. Si tratta quindi
di un jazz colto, dalle sfumature non sempre immediatamente leggibili, ma indubbiamente
affascinante e coinvolgente. Il concerto si muove fra sonorità jazzistiche, e incursioni
psichedeliche, grazie alla presenza del vibrafono di Smith, che lo alterna alla
batteria; è il vibrafono uno degli elementi di maggior interesse, che apporta una
psichedelica crepuscolarità a ogni singolo brano, la cui architettura è comunque
sostenuta dai fiati, ovvero il sax di Berne e il clarinetto di Noriega, che molto
spesso duettano costruendo sentieri dalle sonorità cupe, al limite della distorsione,
accompagnati da un pianoforte "gotico", che ne ricalca la linea sonora. Una linea
estremamente compatta, vista la stretta connessione fra gli strumenti, a tratti
al limite della saturazione. Ma il jazz di Berne e colleghi non è mai ridondante,
al contrario si distingue per atmosfere che richiamano la crepuscolarità e la vastità
delle tele simboliste di Bocklin e Redon.
Spare parts, (dall'album Spare, 2015) è caratterizzata
da suggestivo a solo di Mitchell al pianoforte in 2/4 sul registro grave, che, assieme
alla sezione ritmica, si avvolge attorno ai fiati come edera attorno a un vecchio
tronco, a suggerire un'atmosfera umida e crepuscolare, cui dona corposità la corposa
batteria di Smith. Il risultato è un quadro sonoro dal fascino oscuro, che suggerisce
la shakespeariana foresta di Arden, immersa in una natura idilliaca ma sottilmente
inquietante. Il sax e il clarinetto si muovono su fraseggi di poche e lente note,
ossessivamente reiterati, quasi fossero residui di una qualche nebbia esistenziale.
Nella sua seconda parte, il brano evolve verso un'atmosfera urbana contemporanea,
stante l'inserimento della batteria, e passaggi di sax più sciolti ed elaborati.
After Dark è invece caratterizzata dal dialogo fra Berne e Noriega, sullo
stile "distorto" di Roscoe Mictchell, che mano a mano aumenta nel ritmo, spinto
anche dalla batteria cadenzata di Smith, che spesso ricorre anche al rullante. Un
brano vivace, un momento a sé stante del concerto, che fotografa una strada di New
York o Chicago in un pomeriggio di sole. A portare un repentino cambio d'atmosfera,
il tamburo "tribale che Smith suona a mani nude, reso ancor più suggestivo dalle
distorsioni di Ferreira alla chitarra elettrica. Nell'ultimo terzo, After Dark
torna in linea con le atmosfere della serata, grazie al vibrafono psichedelico e
ai fraseggi crepuscolari dei fiati, che per brevi tratti producono fraseggi che
profumano d'Oriente.
Sul finale di serata, Imperfect 10 (da Decay al quale hanno preso parte anche
Ches Smith e Ryan Ferreira), vede Berne e Noriega particolarmente scatenati, i cui
fraseggi sembrano essere vibranti pennellate di colore lanciate verso il pubblico,
sullo stile di Jackson Pollock, che si alternano con le consuete atmosfere crepuscolari
e simboliste.
Un jazz per appassionati, ma che come pochi altri coglie le contaminazione fra la
"musica del diavolo" e le altre esperienze artistiche.