Il volo 20 decolla deciso,
ci lasciamo alle spalle i grattacieli della Grande Mela per dirigerci rapidamente
verso i confini nord-ovest
in direzione Rochester, N.Y in occasione della quinta edizione del Jazz Festival.
Situata vicino le rive del Lago Ontario, ai confini con il Canada, questa città
conta 225.000 abitanti e offre nove giorni di Jazz, Soul, Blues e world music di
alto profilo in tredici palchi che spaziano da teatri in stile antico e sale da
recital a piccoli, scuri club con bianche tende esterne che si gonfiano al vento
come le gonne di giovani donne con la brezza pomeridiana.
I musicisti provengono da più di
dieci paesi e, in questa terra vergine bagnata dal fiume Genesee,
fino al termine del festival ci saranno stati 170 concerti eseguiti da più di 600
musicisti. Gli artisti principali come
McCoy Tyner,
Wayne Shorter, James Brown, Etta James e
Phil Woods susciteranno grande desiderio di essere visti ed ascoltati
da parte di tutto il pubblico, nazionale e internazionale, del
Rochester Jazz
che è il festival con il tasso di crescita più veloce nel paese e che, in quanto
a dimensione, ha eclissato il per molto tempo dominus Monterey Jazz Festival.
Lo scorso anno, più di 65.000 appassionati sono venuti ad assistere e quest'anno
si prevede un aumento.
Appena il volo 20 comincia la discesa e vira verso Rochester, colline
lievemente ondulate danno modo alla valle del fiume di indicare la via verso la
città. Giù, il Genesee River, sinuoso come un serpente, delinea attraverso il suo
letto la direzione verso questa città che è bagnata in profondità dalla tradizione
e dalla cultura musicale. L'opera è sempre stata amata ed apprezzata e questa città,
arricchita dall'era moderna che ha visto la crescita di grandi aziende come Kodak,
Xerox, Bausch and Lomb e altre, ha avuto per anni la musica classica come costante
fondamento.
Incentrato all'interno e nei pressi di una delle più importanti istituzioni
musicali di Rochester, la Eastman
School of Music, il festival si svolge molto vicino a Gibbs Street in
modo da avere un facile accesso a tutti i teatri coinvolti posizionati uno vicino
all'altro e raggiungibili a piedi. Lo stridore delle gomme che frenano sulla pista
concludono il breve volo e subito le belle strade soffiate dal vento, localizzate
nel modesto centro, verranno oscurate dalla calda forza della musica americana.
Sabato
10 giugno, alla Kilbourn Hall,
collocata maestosamente nei confini dell'"Eastman
school of music", ospita il pianista
Cedar Walton
il quale entra nell'edificio, saluta velocemente per poi essere accompagnato dalla
maschera nel camerino. Il corridoio di ingresso, decorato in modo dettagliato, conduce
in una sala pannellata di castagno, apparentemente simile ad un vecchio stile Tudor,
con il soffitto in stile rinascimentale e grandi candelieri.
La musica suonata da
Walton
è sempre elegante con un programma costituito da un insieme di standard come "Skylark",
"Every Time We say Good-Bye",
"Time After Time" e
di brani originali come "Cedar's
Blues". Oltre alle sue divagazioni divertenti e alla sua carismatica
personalità,
Walton ha eseguito delle introduzioni sempre molto serie, dense di musicalità
e lirismo che hanno catturato l'attenzione dei circa 500 presenti. Il pianista di
Coltrane e discepolo dei "Messenger" ha rapidamente riscaldato la notte di Rochester
con i suoi voicing smooth e funky al tempo stesso. Con affreschi e
statue che fanno da sfondo, fluidi sonori sono fuoriusciti dal palco e hanno attraversato
il pubblico, arricchiti dall'ottima, chiara ma calda acustica della sala. Il nuovo
album di Walton,
"Underground", è dedicato alla metropolitana di New York City e gli accordi
profondi, scuri, sotterranei che accompagnano la musica, sicuramente omaggiano i
treni che scorrono la loro strada attraverso i tunnel cavernosi sotto Manhattan
Island. Lasciando da parte un'inconscia divagazione che vede il pianista tornare
ad un precedente brano, "Everytime We Say Goodbye", mentre ha eseguito "I
Didn't Know What Time It Was",
Walton
è la testimonianza vivente di cosa possono produrre la grande conoscenza musicale
e molti anni di esperienza.
Sebbene questa sala e questa musica parlino di un'epoca differente, fuori
al teatro, su un palco esterno, una band liceale esegue un loro brano basato su
improvvisazioni jazz assicurando, pertanto, un futuro a questa eloquente forma d'arte.
Uscendo dalla Kilbourn Hall della rinomata
Eastman School of Music,
si avverte il senso della resistenza alla tradizione che questa istituzione promuove.
Fondata nei primi anni '20
da George Eastman, magnate della Kodak, trai suoi allievi ha visto grandi
musicisti come il bassista Ron Carter, il batterista Steve Gadd, il
trombettista Chuck Mangione e molti altri. E', di fatto, il college musicale
della University of Rochester
e attualmente conta 800 studenti e 150 membri di facoltà.
"Sin da quando ero piccolo ho guardato questo posto come uno dei grandi centri
musicali al mondo e ho sempre desiderato essere qui", dice il diciannovenne
Nick Brust, studente e sassofonista all'Eastman. "Avverto che qui fanno
costantemente tutto ciò che si può fare per favorire la diffusione della musica
nel mondo e in special modo qui nella zona di Rochester."
Più
tardi nella sera, questa tranquilla cittadina è stata testimone dell'esuberanza
e delle selvagge e buffe movenze del leggendario James Brown insieme ai
Generals of Soul! La gente ha riempito l'atrio dell'Eastman Theatre
ed è fluita verso i percorsi della celebrazione riflettendo sull'età di Mr. Brown
e se fosse ancora o no "Il più duro lavoratore dello show business".
Mentre i 3.000 posti lentamente si riempiono la band composta da 11 elementi e 4
coriste si prepara a salire sul palco. Il batterista Mousie Thompson, che
ha suonato con Brown per 14 anni ci parla nel backstage sul tempo che ha trascorso
insieme al Padrino del Soul. "La sua alchimia, il modo in cui realmente pone
le cose insieme, è sorprendente, è qualcosa che non ho mai capito e che è causa
sempre di qualcosa di nuovo. E' un grande uomo per cui lavorare, devo essere grato
per aver avuto l'opportunità di lavorare per un uomo come James Brown",
dice il batterista, "il solo averlo al microfono è la cosa più bella che potesse
capitare alla musica in questo momento. Non abbiamo sintetizzatori, tutti suoniamo,
effettivamente suoniamo", continua, "parliamo di musica per tutto il tempo,
ed è sufficiente parlare di musica che lui di tira fuori sempre nuovi concetti".
Alcuni momenti dopo, la band, vestita con uno smoking rosso acceso, invade
il palco. Sotto il riflesso di luci arancione, la band sembra una fiamma rabbiosa
che brucia nella notte. Suonano un groove funky con una tesa, forte sezione
di fiati, la sensualità piomba sul palco nel momento in cui le 4 coriste ballano
dietro i microfoni. MC Hammer, presentatore di James Brown da almeno
40 anni, entra sul palco in smoking bianco ed esorta il pubblico a dare il benvenuto
a: "The Godfather of Soul!", "The Sex Machine!", "The Hardest Working Man in Show
Business!". James Brown fa il suo ingresso, il pubblico è molto riscaldato,
inizia lo spettacolo. Da una rauca versione di "Popcorn"
e "I Got You" ad un
classico del R&B come "Try Me",
Mr. Brown apre il Libro del Soul e inizia a predicare come ha fatto
per cinque decadi. Il soul-groove che egli e la band stanno sprigionando, camuffa
i 70 e oltre anni di Brown. In questo tour del 50° anniversario Brown
sta realmente dimostrando che il Soul è Anima.
"Mi sento bene e ad ogni battito del mio cuore mi sento meglio", afferma.
E' questo battito interiore, questo ritmo interiore, che soppianta il vero cuore
mantenendolo giovane e vibrante a dispetto degli anni che passano. Il suo vero cuore
agisce come fosse un terzo batterista della band, un groove senza fine che
avvolge il suo cammino attraverso cinque decadi durante le quali è riuscito ad andare
in ogni direzione.
Durante la serata, Brown fornisce un tributo a quei soul man che
sono scomparsi di recente come Lou Rawls, Wilson Pickett e Ray
Charles. Lo fa eseguendo il blues popolare "The
Night Time is the Right Time". In un'intervista effettuata poco prima
dello spettacolo Brown ha esternato alcuni suoi pensieri riguardo la sua
fortuna e la sua longevità: "Dio è il mio principale segreto", poi, rivolto
alla stampa e al pubblico, "…inoltre, tutti voi siete stati grandiosi nell'aiutarmi
e vi ringrazio davvero molto per avermi aiutato ad avere una vita che non avrei
mai avuto e poi anche la bella gente che mi circonda. Queste sono le cose che mi
aiutano fuori dalla musica, realizzando che abbiamo un Dio, in qualsiasi modo lo
chiamiamo Buddha o Allah, è sempre Dio e gli siamo devoti. Non si può picchiare
la gente per la loro religione ma dobbiamo combattere affinchè la gente si ami.
Dobbiamo imparare ad amarci l'un l'altro! Se ci amiamo reciprocamente possiamo fare
tutto!".
Attraverso l'esecuzione di "Sex
Machine" e "Living in
America", Brown ha dissipato tutta la chiaccherata effettuata
prima dello spettacolo. Egli ancora suda, urla e grida e mentre lo fa trasmette
di più di ciò che si possa pensare. Qualcuno potrebbe dire che questo è soltanto
un esercizio di replica di vecchia musica ma questa sera la gente non ha visto nulla
di statico o robotico nella sua performance, è stata l'autentica essenza del soul!
Così come ha detto uno spettatore mentre usciva dal teatro, "…chiunque dica che
questa sia roba vecchia, non sa di cosa sta parlando, non capisce. Credimi, non
sono neanche vivi!". Fuori per
le vie, in una notte ventosa, la gente si attarda e discute su ciò di cui sono stati
testimoni.
Presso il Jazz Street Stage, un teatro all'aperto posizionato ad
angolo tra Gibbs Street ed East Avenue, c'è una band ungherese di sei elementi dal
nome Djabe che suona una musica molto ispirata. Alcuni brani piuttosto eclettici
giungono ai confini del funk e della fusion. Da sporadici colpi funk di basso ad
attacchi di tromba con sordina a-la-Miles Davis, alcune figurazioni ritmiche africane
da parte del percussionista, il tutto ben combinato tanto da rendere i Djabe
una delle più interessanti scoperte del festival. Hanno fatto ascoltare una
delle più fresche sonorità del weekend.
Lasciando
da parte per un momento lo skill tecnico e la capacità improvvisativa, una delle
più grandi peculiarità di questa band è il suono. La band, nell'insieme, semplicemente
fermandosi nelle retrovie per ascoltare il tutto in modo più ampio, emanava un gran
suono. Ed è stato proprio questo suono a catturare molti ascoltatori. Appena la
band suonava, elementi di cool jazz e rock venivano opportunamente mescolati, mai
in modo forzato, la musica risultava molto naturale. Il modo di suonare molto lirico
e le strutture fortemente melodiche hanno definitivamente fornito una dimostrazione
del talento musicale europeo. Molte band cercano la libertà di poter suonare la
musica che amano in quello che è formalmente noto come il quartiere est ed i
Djabe lo fanno risultando una band di gran valore che va tenuta d'occhio.
Questa
sensibilità europea che si avverte nell'aria di tarda sera è avvalorata dal fatto
che Rochester è una città gemellata a Caltanisetta, una piccola cittadina agricola
localizzata nell'entroterra siciliano. Ci sono molti emigranti provenienti da Caltanisetta
che si sono fermati a Rochester più che in qualsiasi altra città del mondo. Pertanto,
nel 1964, le due città hanno deciso di unirsi
e di celebrare i loro destini di gemelle.
Camminando per qualche centinaio di metri si giunge press l'East Avenue
Stage dove i Little
Feat "dispensano giustizia" all'esterno del palazzo della Corte
Suprema che è all'angolo. Hanno intrattenuto la corte con una spavalda e
costante andatura e con un rock duro come quello suonato nei loro giorni di gloria
dagli inizi alla fine degli anni '70. Suonano
ancora con un sound molto orientato alle origini che viaggia tra Blues, Rock, Jazz
e Soul. Poderosi licks di chitarra e cromatici suoni di tromba con sordina producono
una sound ricco di ottani che diventa combustibile per il motore della musica. Hit
come "Dixie Chicken"
e "Tennessee"
sono stati molto graditi dal pubblico.
Domenica 11 giugno, il
Montage,
un club molto ospitale, confortevole e spazioso ha aperto le sue porte alle 6 della
sera per il Roberto
Occhipinti Quintet. "Attraverseremo il globo stasera", ci dice
e prosegue per ottenere il sold out su un viaggio musicale che ha riscaldato
la notte. Dal Brasile a Cuba con tocchi di Italia del Sud,
Occhipinti
ci ha condotti in questo percorso attraverso composizioni complesse che hanno teso
i muscoli e stirato la mente.
Il contrabbassista, noto per la sua capacità di focalizzare l'attenzione
e saper distinguere i dettagli, è come un'aquila che sorveglia, osserva l'andamento
del tutto ed orchestra un equilibrato, feroce attacco mirato a scuotere la quiete.
Molti dei brani eseguiti sono tratti da "Yemaya",
il suo ultimo album per la Alma Records. Registrato in Canada, con
gli archi registrati in Russia, le percussioni e le voci registrate a Cuba, "Yemaya"
riflette l'attrattiva di
Occhipinti
verso le influenze del mondo e certamente le distilla con estasianti accostamenti.
Dice
Occhipinti: "Così come mi piace pensare a me stesso come italiano,
io vengo da Toronto dove ognuno appartiene e a due categorie, non nel senso che
si sia semplicemente acquisito un cognome ma nel senso che effettivamente si vive
in due culture allo stesso tempo…le nuove generazioni dicono che noi siamo felici
nel vivere in entrambi i mondi e che la dicotomia dell'avere due cittadinanze, una
doppia mentalità, è un qualcosa di tipico in Canada nel senso che si possa essere
differenti allo stesso tempo. Questo è ciò che modella il mio Jazz".
Il viaggio nel mondo ha inizio con "Maracatres"
e "Yemaya", e subito
dopo Occhipinti
ci conduce verso le proprie origini con un improvvisato solo su "E
lucevan le stelle" di Puccini il quale approda poi in modo splendido
in "A Ilha", una lussureggiante,
calorosa ballad evocante il profumo delle notti brasiliane e il lento passeggiare
sulle spiagge lontane.
Molto competente sia sulla musica classica che sull'opera,
Occhipinti
avverte che il suo Jazz raccorda tutte queste influenze insieme: "La ragione
per cui mi piace pensare a me stesso come un musicista Jazz è perchè penso che il
Jazz sia la prima vera world music, è una musica universale, non conosce confini".
Parlando del Jazz europeo, continua dicendo: "Come si può osservare, c'è un elevato
livello di musicisti. Ad esempio, in Italia il livello dei musicisti negli ultimi
dieci anni è cresciuto enormemente, si possono trovare tutti i tipi di musicisti
e tutti di eccellente livello. E' per lo stesso motivo che ha attratto me. Il Jazz
comprende tutto ciò che voglio trovare nella musica…mi da il lirismo dell'opera,
il groove del R&B, il senso del Blues, è sacro e profano al tempo stesso, è intellettuale
e rude al tempo stesso, questo è ciò che mi attrae."
La band comprende i due musicisti cubani Manuel Valera al piano
e Dafnis Prieto alla batteria che si è infiammato in un solo col quale si
è concluso lo spettacolo. A comporre in modo eccellente la sezione fiati ci sono
Kelly Jefferson al sax e Kevin Turcotte alla tromba il quale ci dice
"….più suoniamo, con i fiati nella frontline, più apprendiamo cosa sia realmente
previsto che debba accadere in modo che non si suoni solo generica musica latina.
Diventa una bella combinazione di autentici ritmi cubani, brasiliani e puro jazz
al punto che tale mix diventa talmente consistente da essere reale".
Il viaggio termina e tutti noi risultiamo come trasportati da una band
di primo livello, una band che ci ha condotto lontano dai luoghi vicini portando
il mondo in un piccolo club situato poco distante dall'angolo con Chestnut street.
Un grande apporto alla scena musicale di Rochester è fornito dalla radio
WGMC 90.1 FM
che trasmette Jazz 24 ore al giorno 7 giorni su 7. Ha iniziato nel
1975 e credendo che il jazz sia un'arte vitale,
dedica almeno metà del tempo delle trasmissioni ai nuovi talenti. Trasmettendo in
un raggio di 60 miglia, l'emittente ha contribuito ad incrementare la conoscenza
del Jazz festival oltre ad aumentarne la popolarità. Dice Ed Trefzger, un
volontario dell'emittente, "Siamo qui sin dall'inizio, dalle prime edizioni,
trasmettiamo dal vivo dal festival ogni anno e ogni anno il nostro coinvolgimento
diventa più ampio".
Degno di essere ospitato da
P.T. Barnum (ndt titolare del famoso
circo) in persona, la Robert Mondavi Big Tent (ndt. sponsor del festival)
ha presentato Badi
Assad, cantante e autrice brasiliana. Con i suoi lunghi riccioli scuri
e il nero vestito con casacca ricamata, la
Assad ha sostato
sul palco come un bimbo della natura. Questa esibizione in solo ha visto la
Assad eseguire
diverse acrobazie musicali che hanno rievocato i suoni della foresta sudamericana.
Creando
vocalmente i suoni di uccelli, grilli, rane e del vento con l'aggiunta di scatti
e scoppiettii, Badi
Assad ha cantato la sua musica attraverso un set di brani Samba e Bossa
Nova trasformando canzoni come "One
Love" di Bono e "Black
Dove" di Tori Amos tratti dal suo ultimo album intitolato "Wonderland".
Sebbene molti brani sono stati cantati in inglese, la musica ha raggiunto
momenti di apice quando
Badi Assad
ha cantato nella sua lingua natìa, il portoghese, fornendo un maggiore impatto poetico
al suono e creando un paesaggio da sogno...
Il più recente album di
Joel Harrison,
"Joel Harrison Plays George Harrison", ha fornito al cantante/chitarrista
l'opportunità di coprire alcune delle canzoni dell'ex-Beatles che egli trovava maggiormente
intriganti. Attraverso un approccio disteso,
Harrison si
è esibito in un club di nome
Milestones
ed ha apportato a questa tarda serata un conclusione quieta. La sua voce, unica,
tinta di blues, ha fornito grande cromatismo ai brani e l'approccio maturo ha rimarcato
sia le canzoni che i testi.
Chitarra e sax liberamente percorrono la musica dei Beatles con "Within
You Without You" che casualmente si tinge di sonorità dell'Est e di una
sorta di acid raga che invade il club. Ha uno stile elettrico che scorre
per il Gange, un'esperienza che anche i Beatles stessi, nel loro viaggio in India
del '67 non avrebbero
potuto immaginare. Si deve anche aggiungere che il lavoro svolto da
Harrison sulla
slide guitar ha una purezza di suono esemplare.
Ci dice
Harrison:
"Ho suonato la slide guitar per anni, ma in questo progetto per me è molto importante
perchè George Harrison suonava la slide guitar, ed è ancora più importante perchè
la musica indiana è una parte delle influenze di questo progetto. Ho cercato di
semplificare il modo di emulare un po' del suono tipico degli strumenti a corda
indiani mediante l'uso della slide guitar ed è stato molto duro ottenere questo
risultato".
"Beware
of Darkness" è stata eseguita egregiamente con l'aggiunta di un ulteriore
livello di profondità grazie alla batteria di Dan Weiss. La band è completata
da David Ambrosio al basso e David Binney al sax il cui suono rievoca
a tratti quello di
Dave Liebman. "Isn't
it a pity" ben evidenzia la voce bluesy di
Harrison seguita
da due composizioni originali: "My
Father's House" e "You
Bring the Rain". La conclusione è affidata a "My
Sweet Lord" eseguita con una voce molto intensa.
I musicisti, i teatri e l'atmosfera di questa quinta edizione del
Rochester International
Jazz Festival sono stati ancora una volta determinanti per ottenere
un clamoroso successo. Molto di tutto ciò è dovuto alla visione, all'energia e alle
capacità organizzative dello straordinario creatore e produttore John Nugent.
Lo abbiamo visto passeggiare per le vie del Festival dalla mattina fino alle ore
piccole, mostrando sempre grande entusiasmo. "Sono venuto qui inizialmente come
insegnante e come guest del gruppo di Jon Faddis per un evento jazz. La gente qui
in città diceva, ‘perchè non prendi in considerazione l'dea di creare un evento',
dato che a quel tempo ero appena reduce dalla produzione del Stockholm Jazz Fest
….ora, dopo cinque anni il Rochester Festival è ben accolto, la gente è contenta
che ci sia, il festival sta crescendo, vi sono molte persone che vengono dalla zona,
dalla regione e persino dall'Europa."
Mentre parliamo, il pubblico dei concerti continua a compilare la scheda
per ottenere il Mondavi Big Tent pass che consente di accedere agli eventi,
"E' fatto tutto per la musica e sta crescendo rapidamente..." dice Nugent
che sorride come un titolare di un circo sazio per la gente che arriva e conclude:
"Credo che in futuro qui avremo uno dei migliori eventi al mondo!"
John Nugent
John Nugent at the Bob Sneider Trio Jam Session
State St. Bar & Grill - Crowne Plaza Hotel
Photo by Thomas P. Frizelle
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
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Data pubblicazione: 08/07/2006
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