Jon Balke piano solo Parma Jazz Frontiere - 11 febbraio 2013 di Nina Molica Franco
A Parma il jazz non smette di risuonare e con un'atmosfera tipicamente
nordica accoglie Jon Balke, musicista di straordinario talento. Coincidenza
o casualità, la città ha dato all'artista il suo benvenuto regalandogli un paesaggio
che sa tanto di fiordi e di Norvegia. Jon Balke, dal canto suo, ha scaldato gli
animi di coloro che, a dispetto della neve, hanno assistito al suo spettacolo.
Il progetto che ha presentato in questo
suo tour attraverso l'Italia settentrionale e che ha visto Parma come meta finale,
è ispirato all'album che, nel 2007, ha pubblicato per ECM, "Book of Velocities".
Un concerto, alla Sala Concerti della Casa della Musica, che ha avuto qualcosa di
intimo, di familiare, durante il quale Jon, oltre a mostrare la sua immensa bravura
ha dato prova di quella grande umiltà che solo i veri artisti possiedono. Una performance
in cui il sapore era quello della conversazione tra due vecchi amici che dopo molto
tempo si ritrovano e chiacchierano tra loro.
Sul palco Jon Balke e un gran coda, ma chiudendo gli occhi
potevi percepire i suoni di un'orchestra: le percussioni, le arpe e forse anche
delle chitarre. Un uso eclettico del pianoforte, di cui ora venivano pigiati i tasti,
ora pizzicate le corde e perfino percossi i martelletti. Jon ha dato prova di essere
un grande pianista, ma probabilmente il suo estro sta più nella ricerca acustica
che accompagna il suo modo di suonare. Una ricerca che accomuna un po' tutta la
schiera di jazzisti norvegesi, ma che Jon Balke intensifica all'ennesima
potenza. Una ricerca attraverso la quale egli ha esplorato tutte le potenzialità
del suo strumento d'elezione, non tralasciando neanche una singola parte fisica
del piano: tutto per Jon Balke produce suono, e il suo compito è quello di
creare l'armonia tra questi suoni. Nessun artificio o strumento elettronico l'ha
assistito in questo suo percorso acustico, ma solo le sue dita e qualche lattina
ormai rotta che gli permetteva di creare un suono metallico, quasi come se fosse
una chitarra resofonica, attraverso le vibrazioni che queste emettevano a contatto
con le corde del pianoforte. Le sue due anime, quella del virtuoso pianista jazz
e quella del percussionista folk, si sono unite lì sul palco per creare una valanga
di suggestioni armoniche e ritmiche.