7 Luglio, Rocca Brancaleone Egberto Gismonti; Hamilton De Holanda; Nanà Vasconcelos Trio Madeira Brasil Zè Paulo Becker - chitarra acustica
Marcelo Gonçalves - chitarra acustica a 7 corde
Ronaldo Souza - bandolim
Nanà Vasconcelos - berimbau
Egberto Gismonti - chitarre a 10 e 8 corde
Hamilton De Holanda - bandolim a 10 corde
A causa di un insistente, forte acquazzone, il primo appuntamento
con "Brasil in Jazz", uno degli innumerevoli percorsi tematici di Ravenna
Festival 2012, è stato spostato, provocando un notevole ritardo sull'inizio
del concerto, dalla Rocca Brancaleone al palazzo Mauro de André, nella periferia
della città. Il primo set spettava al Trio Madeira Brasil, nato nel 1996
dall'incontro di tre virtuosi chitarristi carioca, intenzionati a reinterpretare
il Choro, letteralmente "lamento", un'antica musica tradizionale, popolare, che
poi si sarebbe sviluppata nel samba e nella bossa nova. Fattosi conoscere grazie
al film "Brasileirinho" di Mikka Kaurismaki, il trio ha presentato un programma
che spaziava dagli chorinhos a brani di compositori classici, come la "Danza
de la vida breve" di Manuel de Falla, un omaggio a Pixinguinha, "Coxichao",
ad Astor Piazzolla, "Fuga y Misterio" e alla parte legata alla tradizione
di Antonio Carlos Jobim, del quale i tre hanno eseguito "Passarinho", un
samba-choro e "Olha Maria". Non poteva mancare un brano di Gismonti, "Loro",
dedicato dall'autore al celebre musicista e compositore Hermeto Paschoal, personaggio
tra i più originali della musica popolare brasiliana. Il trio è infine riuscito
a far cantare il pubblico in "Trenzinho do Caipirà", rilettura di un pezzo
del compositore brasiliano più conosciuto al mondo, Heitor Villa-Lobos. Avvolti
negli applausi, i tre hanno reso omaggio, nell'unico bis, ad una figura di primo
piano della musica di Bahia, il grande cantautore Dorival Caymmi, scegliendo dal
suo canzoniere ‘Vatapà', un brano in cui l'autore spiega come dev'essere preparato
un piatto tipico della cucina baiana. Il trio, affiatatissimo, sembra suonare ad
occhi chiusi, con un interplay ricco di ritmo e di notevoli interpretazioni solistiche.
A questo punto è comparso sul palco
Nanà Vasconcelos, concedendosi alla platea solo per quindici minuti, dapprima
con il berimbau, nel fraseggio e vocalità che gli si riconosce, in un frammento
che voleva ricreare i suoni della foresta amazzonica, sempre più a rischio di estinzione
e con un brevissimo intervento vocale, fatto di ripetizioni e accavallamenti per
mezzo di congegni elettronici, nell'utilizzo dei quali Vasconcelos fu uno degli
antesignani. La platea infreddolita, perplessa si guarda intorno, mugugnando. E'
la volta di Gismonti, che per circa 20 minuti siede dapprima al pianoforte,
dando vita a medley dei suoi pezzi più famosi, per concludere, con un eloquio in
lingua inglese, similmente a quanto avvenne in un concerto che risale a venticinque
anni fa nella Venezia Giulia, per raccontare, ironicamente – forse per mostrarsi
spiritoso? – le virtù di un flauto di plastica. Sinceramente non si è capito. Il
pubblico protesta, il direttore artistico Franco Masotti si scusa e promette l'ingresso
libero alla Rocca a quanti si presenteranno ai cancelli con il biglietto dell'infelice
serata.
A ventiquattro ore di distanza, forse per scusarsi, Gismonti
annuncia la scaletta del programma. Salirà sul palco per primo lui stesso, alla
chitarra e al pianoforte. Poi toccherà ad Hamilton. Infine l'atteso duo Nanà/Gismonti,
che potrebbe ampliarsi a trio. L'acustica è molto buona, come, del resto, quasi
sempre alla Rocca, anche se non c'è più la gradinata come nei bei tempi andati.
Si prevede una lunga e, stavolta, felice maratona. Sdoppiandosi tra le chitarre
e il pianoforte, Gismonti mostra tutta la bravura e la sensibilità melodica e ritmica
di cui abbonda la sua musica. Da "Frevo" a "Em familia" a "Karate",
a citazioni di Piazzolla, scorrono i brani famosi. La platea segue attenta, divisa
in due tra chi lo preferisce al piano, annoiandosi alla chitarra e viceversa. Ciò
che è innegabile e lodevole è che anche nei momenti romantici non si cade mai nello
stucchevole. Gismonti alterna passaggi impetuosi a situazioni delicate, sussurrate.
Sia al piano che alla chitarra emerge l'originalità di un musicista colto, curioso
e attento alle sonorità che lo circondano.
E' una sorpresa, il lungo set di Hamilton, virtuoso del bandolim,
il mandolino brasiliano, di cui ha modificato il numero delle corde, da otto (vedi
Ronaldo del trio Madeira) a dieci. Basta pensare che ha iniziato a suonare a cinque
anni e, a sei assieme al fratello Fernando Cesar allora undicenne, ha formato il
duo ‘Dois de ouro'. Il solo pericolo, ascoltandolo, è quello di stancarsi, a causa
di una sonorità persistente nei registri acuti. Ma la bravura non si discute e ascoltare
la sua versione di ‘Canto de Ossanha' è stato come abbeverarsi ad una fonte d'acqua
fresca e pura. Dopo una breve pausa inizia il rush finale. Gismonti alla chitarra
ha piacevolmente duettato con Nanà, una collaborazione la loro che risale agli anni
Settanta, testimoniata da interessanti incisioni marcate ECM. Nanà ha poi cantato
a modo suo, suonato come sempre l'inseparabile Berimbau, riconoscibilissimo fin
dal primo tocco sull'unica corda di un arco musicale di origine africana. Certo
ripete sempre le solite cose, ma per fortuna lo fa bene. Gismonti è passato poi
al pianoforte e allora Nanà è sembrato per così dire in soggezione. Più riflessivo
nella scelta degli interventi, anche per evitare malintesi interpretativi. Ma il
pezzo più bello, ancora una volta, è stata una lunga versione di ‘Frevo', in alternanza
con ‘Karate', alla quale ha preso parte anche Hamilton. Precisione negli attacchi,
negli stop e nella descrizione del tema all'unisono, da parte di Gismonti e Hamilton,
i quali hanno dimostrato come in Brasile esistano musicisti originali, che raccontano
qualcosa di diverso dal samba o dalla bossa nova, un genere di cui troppo spesso
si abusa nel caratterizzare l'immagine dell'immenso paese sudamericano.