Il 24 maggio 1974, le radiotelevisioni di tutto il mondo diffusero la notizia della morte di Duke Ellington. In Italia, ricordo, fu poco più di un flash con qualche annotazione e qualche parola di commento e di rinvio a interventi successivi. Gli studiosi e gli appassionati di jazz rimasero attoniti, sapendo che nella loro musica niente avrebbe potuto essere come prima, gli "altri" capirono solo più tardi che, comunque la si possa pensare su Ellington, il secolo scorso aveva perduto uno dei maggiori compositori.
Al Teatro Nuovo di Salerno quel nome dalle cui opere sarebbe ricavabile l'idea di cosa sia "essenzialmente" il jazz, è stato onorato con un concerto promosso dall'Associazione Musica & Cultura, del
M° Antonio Florio, patrocinato dalla Provincia e dal Comune di Salerno, in collaborazione con la Ditta di strumenti musicale
Raffaele Inghilterra e le testate JazzItalia e JazzConvention, la quale ha inteso affidare il compito di evocare l'inimitabile suono dell'orchestra di Duke Ellington alla
Big Band Swingtime, composta da Giuseppe Plaitano e Francesco Florio
al sax alto, Giuseppe Esposito e Valerio Bisogno al sax tenore,
Luigi Cioffi al sax baritono, da Franco Mannara, Nicola Coppola,
Antonio Baldino e Amico Morelli alla tromba, Nicola Ferro,
Raffaele Carotenuto, Umberto Vassallo e Fortunato Santoro al trombone,
Giovanni Di Martino al pianoforte, Vincenzo Autori al contrabbasso e
Felice Marino alla batteria. L'orchestra non ha avuto un conductor pianista ma un saxophonista, lo stesso
M° Florio, il quale si è alternato al contralto, al tenore e al baritono per far ascoltare al pubblico quei soli che furono dei grandissimi Johnny Hodges, Paul Gonsalves ed Harry Carney, protagonista di un programma attraverso cui abbiamo ripercorso i diversi stili di Ellington.
Sul tipo di musica che Duke ha prodotto nel corso degli anni, profondamente ha influito la sua estrazione sociale: la sua famiglia, originaria di Washington, faceva parte della borghesia afroamericana, cui non mancava nulla, già inserita in un contesto di vita propenso ad annullare le proprie origini africane o ad attenuarle in un modello "cittadino". Troviamo il giovane Duke in una delle migliori scuole esclusive per neri e bisogna ricordare che, mentre i nomignoli, i "Kings" neworleanisti, il cui più celebre esempio fu Joe King Oliver, "The Pres" Lester Young, Lady Day o
The Empress Bessie Smith, provenivano da incidenze musicali, ad Edward Kennedy Ellington, il titolo di Duca fu imposto ad otto anni, proprio per definire i modi evoluti e nobili che già allora distinguevano la sua personalità. Proprio in questo ambiente Ellington maturò le sue prime esperienze musicali, tra cui il ricordo della madre che sgranava il rosario, trasformatosi, in seguito, nel suggestivo "Saturday Night Function". Ho inteso, quindi, in qualità di direttore artistico, aprire il programma, subito dopo il chorus di Take the "A" Train di prammatica, con Black & Tan Fantasy, prima puntata di una saga sonora nata per descrivere il dramma del popolo sradicato dall'Africa Nera. Si è poi passato all'era del Cotton Club, con uno splendido medley arrangiato dallo stesso
M° Florio comprendente In A Sentimental Mood, Moon Indigo e il felice impasto tra clarinetto, tromba e trombone, e It don't mean a thing, pagina che apre l'era dello swing. L'opera di Ellington non è, però, solo intarsiata di incantate miniature, ma è attraversata da due metafore, un luogo e un viaggio. Il luogo è certamente il cortile di Harlem, rievocato in Echoes Of Harlem, illuminata dal giovane ed eccezionale trombone, di Nicola Ferro, musicista che può fare del suo strumento ciò che vuole, capace di ricavare con sole coulisse e labbra, toni e lamenti della voce umana, il quale sa porsi dinanzi alla musica con estrema umiltà e ciò solo fa di lui il vero artista.
E ancora Caravan, che ha registrato un buon solo di clarinetto di
Giuseppe Plaitano e le uscite di trombone di Raffaele Carotenuto e
Fortunato Santoro.
L' orchestra di Ellington è una compagine in cui s'intrecciano molteplici elementi psichici e musicali. E' musica di Duke Ellington, certo, ma al tempo stesso è la musica di ogni singolo membro dell'orchestra, E' questo il segreto del celebrato "Effetto Ellington": il clarinetto di
Barney Bigard, con l'imboccatura a New Orleans e la campana a rivolta verso ogni novità, il sax baritono di
Harry Carney, al quale si ancorava l'intera orchestra, indimenticabile in Sophisticated Lady e Solitude,
Ray Nance, gioiosa e solare la sua tromba, Cootie Williams, il re della tromba sia aperta che sordinata, che ebbe in dono il meraviglioso Concerto For Cootie,
Juan Tizol, il portoricano, lo stesso spirito esotico che ha ispirato l'effigie delle sigarette Camel entra con lui nell'orchestra, dal suo trombone sono uscite "Conghe" e "Carovane",
Jimmy Blanton, il progenitore del contrabbasso moderno, ha accompagnato la band con incomparabile fantasia, ma a quattr'occhi col Duca ha registrato toccanti capolavori quali il terzo tempo della Perfume Suite, Dancers in Love,
Bubber Miley, la tromba della jungla, con le sordine riusciva ad evocare gli animali selvaggi, facendo fremere i clienti del Cotton Club,
"Tricky Sam" Nanton, l'altra metà del superbo tandem con Bubber Miley, il trombone con sordina era in lui quasi un'appendice della voce umana,
Rex Stewart, anche il suo strumento parlava, è stato il primo a suonare la tromba fermando i pistoni a mezza corsa, gli invidiati tenor-sax ducali,
Ben Webster e Paul Gonsalves, capaci di vigorosi e sanguigni assoli. Ma su tutti regnava il sax alto di
Johnny Hodges, The Rabbit. Spesso dormicchiava in scena, ma le sue improvvisazioni erano il pezzo forte dello spettacolo, impossibile dimenticare i suoi glissando da vertigini in Prelude to a Kiss. "Il tema è di Strayorn (l'alter ego di Ellington, l'ombra china sulle parti a cavar fuori i più incantevoli frutti dell'orchestra) – diceva Johnny -,l'ha scritto per me. Ma quei passaggi li ho inventati io.
Anzi li ho brevettati!". Le sue morbide acciaccature, il suo sound incantevolmente terso, il fraseggio asciutto, nervoso e agilissimo, mantenuto entro arpeggi distanziati è stato sfarzosamente evocato dal sax alto del
M° Antonio Florio, il quale è riuscito in pieno ad eguagliare la sua ricchezza espressiva, che poco concedeva a certo romanticismo di maniera, nonché la sua tensione emotiva. Duke ha intitolato la sua biografia "Music is my Mistress" aperta dalla significativa affermazione "la musica è una bellissima donna nel fiore degli anni".
L'orchestra ha sapientemente proposto Satin Doll prima di attaccare quel magnifico affresco che è C-Jam blues, retaggio delle velleità pittoriche del Duca, alle quali certo non ha rinunciato scegliendo la carriera di musicista. La Donna è l'ispiratrice di buona parte delle sue ballades: è la "Black Beauty" dell'orgoglio razziale, l'inattingibile vergine di "The River", è Circe, Salome, Sentimental Lady, Lady Mac, Night Creature e sopra tutte, Sophisticated Lady. Il Duca ha saputo sapientemente schizzare l'universo femminile anche attraverso i titoli dei suoi pezzi, come? E' lui stesso a svelarcelo: "Prima si suona il tema, poi ci si guarda attorno per sapere il nome della ragazza che sta in piedi dalla parte delle note basse del pianoforte. Lì c'è sempre una ragazza". Sulle tracce di questa estetica,
Antonio Florio, questa volta al baritono, ha schizzato una Sophisticated lady
con fraseggio generoso e liricamente controllato.
Applausi a scena aperta ai quali il Maestro ha inteso rispondere con
un cenno al Duke Latin, ma soprattutto all'Ellington delle suite con Oclupaca, dalla
Latin American Suite, da lui stesso arrangiata perfettamente in stile, per concludere il viaggio con The Hawk Talks, un vero pezzo di bravura, un
duel in tempo veloce tra le ance e gli ottoni, prima di chiudere il sipario sulle note di Take the "A" Train.