Intuition Music 2008
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Joel Harrison
Passing Train
1. The wishing well
2. Passing Train
3. Northwest Jewel
4. Glory Days are gone
5. Ship Sailing cross a mountain
6. Travel On
7. No one knows how to die
8. Midnight
9. God loves a loser
10. Regret
11. Just for the ride
12. Wash away
Joel Harrison - Chitarra, Voce
Stephan Crump - Basso
Ben Wittman - Batteria
Jemey Haddad - Percussioni
Gary Versace - Piano, Hammond B3 Organ , Accordion
Rob Burger - Hammond B3 Organ
Chris Howes - Violino, Violino Basso
Kerryn Tolhurst - Dobro, Mandolino
Henry Hey - Piano
Jen Chapin - Voce ( 4,7,9)
Toshi Reagon - Voce (6)
Everett Bradley, Greg Clark, Nicki Richards, Aisha Dehaas -
Cori
David Binney - Alto Sax ( 5)
David Binney, Chris Potter, Shane Endsley, Jacob Gerstein -
Sezione Filicorni (1,3,6)
Sulla Traccia 7 – No One Knows How To Die:
Jerome Harris - Basso e Coro
Jamey Haddad - Batteria e Percussioni
Tony Cedras - Accordion, Piano
Alain Mallet - Sintetizzatore, Coproduzione
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Un crossover tra l'Africa e l'Europa. Passando tra il Mississipi. In treno,
in macchina o in nave, anzi con un battello. Lacerti di blues, ben cotti e sostanziosi
accompagnati da tranci di jazz, il tutto impastato nel soul più nero e conditi da
un pizzico di funk. Joel Harrison sembra vivere un conflitto antropologico: la sua
voce, scura ed energica, ed il sound sono "black", ma lui è bianco. Certo è da dire
che il conflitto fa bene alla salute della musica, la sua musica. Ciò che scrive
e ciò che suona è stramaladettamente ebbro di black power.
Passing Train ci regala
momenti di un passato dimenticato e di un futuro che, speriamo, possa arrivare,
anzi tornare. Il policromo artista statunitense ha lavorato per sei lunghi anni
a questo disco; elaborato, riascoltato, conservato in barrique come il buon vino
e lasciato decantare a sufficienza.
Dodici brani eloquenti, ottimamente strutturati e validamente eseguiti da
un consistente numero di musicisti che, in alternanza, lo assiste ed accompagna
nel suo viaggio in treno.
Il treno di Joel Harrison ha la voce - la sua voce - blues in
Glory Days are gone. Un blues lirico. E la voce
del Nostro è contrappuntata, sapidamente, da quella di Jen Chapin. La ritmica
disperde le sonorità country /blues della chitarra, anzi le assorbe, con un accompagnamento
spiritual.
Convivono jazz, bues, folklore, cries, calls, sintatticamente ed armonicamente
elaborati ed impreziositi dalle incursioni solistiche della chitarra del musicista
nativo di Washington (The Wishing Well). Profondi
solchi funk si annidano in Noorthwest Jewel, grazie anche alla robusta front line
dei fiati.
Ship Sailing cross a mountain lascia librare
le note in sordina della chitarra country, pervase da una dolcezza morbosa, che
determinano un rallentamento del tempo rispetto alla condotta melodica fino a liberare
il denso solo di David Binney al sax alto.
Sembra che le influenze subite da Joel Harrison, però, non si fermino alla
history americana: No one Knows how to die ricalca
i temi dell'ancestrale tradizione del nord europa, forse anche per il lirismo espositivo
di Jen Chapin.
La pronuncia marcatamente blues emerge anche in
Midnight, seppur incorniciata in dinamiche più popular.
E' ancora la voce della Chapin a duettare nelle misure idiomatiche
"nero americane" di God Love a Loser.
Hic et nunc, ciò che si sente è il sentimento di un'artista non ancora conosciuto
al grande pubblico, fin troppo sottovalutato in favore di molto sound afroamericano
goffamente ibridato. Le ibridazioni di Harrison, invece, sono "pure" e di
indubbia originalità. Mica male di questi tempi.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 23/08/2008
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