La fondamentale rilevanza della voce nella relazione madre – bambino sarà oggetto
del prossimo seminario di marzo/aprile 2006
(data in via di definizione)
Sommario:
- Rilievi e aspettative dei partecipanti al seminario
- Le labbra vocali
- L'improvvisazione jazzistica e i suoni prelinguistici
- Suono e parola: i due emisferi cerebrali
- Come il suono ci modella
Per introdurre il tema del seminario, "La voce e la pulsione",
ho deciso di inaugurare il lavoro della giornata facendo ascoltare una versione
live di
Autumn Leaves
,
cantata da Rachelle Ferrell, che viene accompagnata al piano da
Michel
Petrucciani.
Prima di entrare nel vivo del seminario, vorrei però chiedere ai partecipanti
di fare una breve presentazione di se stessi e di raccontare, se possibile, cosa
hanno pensato o sentito in relazione ai particolari suoni emessi dalla cantante
nel brano che ha aperto i lavori.
1. Rilievi sull'ascolto del brano e aspettative dei partecipanti al seminario
Ecco alcune delle osservazioni del pubblico presente in sala:
- Un batterista rileva gli impressionanti passaggi tonali nella improvvisazione
vocale dell'artista e l'interessante ritmicità della sua voce. Approfitto di
questa osservazione per ricordare che la questione del ritmo della voce – per
la sua importanza nella costituzione del soggetto - sarà argomento che richiederà
una trattazione a parte, ma a cui si cercherà di accennare anche nel corso della
giornata.
- Una cantante lirica, presente tra il pubblico, sottolinea la difficoltà
di usare uno strumento come la voce, difficoltà spesso sconosciuta ai musicisti
che suonano strumenti meno ‘naturali' e quindi, per certi aspetti, più controllabili.
Intervengo ricordando, a questo proposito, che tale difficoltà ha anche una
base biologica: la laringe infatti non nasce per cantare; questo è un risultato
‘culturale' dell'evoluzione dell'uomo. In realtà l'accollamento delle corde
vocali, biologicamente, ha una funzione sfinterica, permette cioè di creare
una pressione interna nel corpo che serve all'organismo umano per compiere sforzi
di varia natura. Cantare significa dunque suonare uno strumento che in natura
è stato predisposto per altri scopi, più pratici. E' certamente più difficile
suonare uno strumento che non è stato costruito dall'uomo ma a cui l'uomo fa
fare qualcosa per cui quello strumento non è naturalmente predisposto, anche
se lo ha ‘culturalmente' imparato. Il suono, il canto, la voce sono produzioni
culturali, creative. Hanno a che fare con qualcosa che eccede la dimensione
naturale. La voce non è, infatti, mai semplice natura, neppure quando vocalizza
apparentemente svincolata dal senso. Per di più nel canto – e non solo in quello
lirico – la laringe fa cose che nella fonazione parlata non fa. Si muove in
un modo ancor più 'culturale': popoli diversi hanno diverse emissioni vocali,
cioè diversi modi di utilizzare i movimenti che la laringe può fare e può in
parte modificare con l'esercizio. Inoltre, lo strumento vocale è molto delicato
in quanto sottoposto ad ‘aggressioni' esterne (fumo, inquinamento, polveri,
freddo, secchezza dell'aria, batteri, ecc) ed interne (dalle trasformazioni
del corpo – le diverse fasi dalla pubertà alla menopausa e all'andropausa –
alle modificazioni umorali ed emotive). Uno strumento mai ‘neutro', ma che invece
riflette, spesso anche troppo fedelmente, quello che stiamo vivendo.
- Una cantante batterista mette in luce le proprie difficoltà a gestire l'ansia
da esibizione. Ed in particolare rileva come, in quelle situazioni, si senta
quasi stringere fisicamente la gola, con un acuto senso di costrizione e di
soffocamento. Rispondo ricordando che l'emozione che stringe la gola, provoca
un irrigidimento dei tessuti della faringe la quale, in quanto è la nostra prima
cassa armonica, perchè più prossima alle corde vocali, non permetterà al suono
di espandersi correttamente nelle altre casse armoniche della testa e del torace.
- Quasi tutti i partecipanti rilevano che le emozioni non permettono loro
di fare ciò che la loro voce potrebbe fare perché, come un fiume in piena, travolgono
invece di poter essere canalizzate, come invece ad esempio accade nel brano
ascoltato. A questo proposito sottolineo quanto sia comunque importante sentire
l'emozione prima di salire sul palco per poter trasmettere emozioni a chi ci
ascolta. Il giorno che non dovessimo più sentir niente, il giorno in cui salire
sul palco ci è diventato troppo normale e un po' indifferente, faremo senz'altro
meglio a chiudere l'attività canora. L'emozione va veicolata in una forma, ma
ci deve senz'altro essere.
2. Le labbra vocali
Mostro ora alcune immagini a colori di corde vocali. Dal momento che alcuni
presenti in sala non avevano mai visto l'immagine delle corde vocali, spiego il
loro funzionamento: quando le corde sono aperte siamo in fase respiratoria, quando
sono chiuse stiamo fonando, cioè parlando o cantando. Quando sono accollate in realtà
non sono così chiuse come appaiono nelle immagini, perché nella fonazione il rivestimento
epiteliale più esterno delle corde (il più esterno dei 5 strati) sfrega contro l'altro.
Il più esterno è il più squamoso, il meno liscio, mettendosi in vibrazione produce
il suono. Un tempo le pliche vocali venivano definite corde vocali, nome che evoca
uno strumento musicale. Oggi si preferisce (e anch'io lo preferisco) chiamarle
labbra vocali, una denominazione più anatomica, più vicina al corpo e che
rende ragione di quella somiglianza morfologica delle labbra vocali alle labbra
del … sesso femminile. Quando un cantante per la prima volta vede l'immagine delle
sue labbra vocali, spesso a seguito di una visita foniatrica, la scoperta di quella
somiglianza morfologica lo lascia abbastanza smarrito…. specie se si tratta di un
cantante uomo.
3. L'improvvisazione jazzistica e i suoni prelinguistici
Ho scelto il brano di apertura del seminario per introdurre la mia teoria
sulla questione dell'emozione e la voce. Il livello emozionale del suono è più evidente
laddove l'artista utilizza stilisticamente fonemi non strettamente linguistici che
sconfinano quasi nel verso animale e nell'urlo. Esiste anche almeno anche un'altra
artista che è maestra nell'arte della vocalizzazione con suoni originali ed è Sainkho
Namchylak, monaca di Tuva, regione siberiana vicina alla Mongolia, che utilizza
–tra l'altro- le sue capacità sonore per entrare in trance. Quella regione del mondo
è famosa per questo genere di canto (canto degli armonici), una modalità vocale
che ispirò anche, tanti anni fa, l'indimenticabile Demetrio Stratos. Sainkho Namchylak
si produce in concerti in tutto il mondo: è stata, abbastanza di recente, per due
volte, anche a Milano. Ho scelto però di far ascoltare Rachelle Ferrell perché più
vicina alla nostra sensibilità musicale occidentale e jazzistica, più adatta dunque
a intendere per noi come l'emozione che si condensa nel suono, possa trovare una
via d'espressione, una forma nell'improvvisazione vocale jazzistica.
Nel canto jazz trovano posto tutti quei fonemi, umanamente producibili
ma che vengono perduti nell'adattamento alla lingua.
I fonemi perduti e sacrificati per poter parlare, nel canto vengono recuperati.
E' facile riconoscerli nelle improvvisazione scat anche meno sofisticate
di quelle ascoltate.
4. Suono e parola: i due emisferi cerebrali
Il nostro cervello è ripartito in aree funzionali diversificate. Relativamente
alla fonazione, all'emisfero sinistro pertengono le competenze di elaborazione del
linguaggio e della significazione della parola, mentre a quello destro sono affidate
le attitudini relative al suono, all'emozione e anche all'attività onirica
Il corpo calloso mette in comunicazione i due emisferi cerebrali
in modo che il soggetto possa così associare suono e parola.
La funzione del suono va ben al di là del servire il linguaggio. Vorrei
citarvi un testo, appena uscito in Francia, su neuroscienze e psicanalisi (Gérard
Pommier, Comment les neurosciences démontrent la psychanalyse, Flammarion,
Paris, 2004) che fa il punto della situazione
a cui sono giunti gli studi neurobiologici e la loro rilevanza sul piano psicanalitico.
L'autore evidenzia alcuni aspetti sulla funzione del suono in relazione alla crescita
cerebrale.
C'è un fenomeno neurologico - che si chiama attrizione – e che
spiega come i neuroni non utilizzati degenerino, decadano nel loro funzionamento.
Il bagaglio neuronale innato si modella, dunque, secondo le circostanze dell'esistenza.
Ora, ci sono evidentemente neuroni che registrano il suono. Se il bambino ascolta
alcuni suoni, i neuroni corrispondenti prosperano. Se alcuni suoni non vengono ascoltati,
le aree percettive e fonatrici di quei particolari suoni mancanti, decadono. Ad
esempio, i bambini giapponesi non ascoltano mai i fonemi ‘ra' e ‘la', quindi non
solo non sapranno riprodurli bene da adulti, ma tenderanno anche a confonderli tra
loro. Quello che ci interessa di questa digressione è il fatto che quando i neuroni
che registrano i suoni sono danneggiati, le conseguenze d'involuzione del sistema
nervoso e dell'arresto della crescita sono enormi.
Un altro esempio ci chiarirà la ripartizione degli emisferi durante la
fonazione. Le vocali sono percepite in entrambi gli emisferi, in quanto sia significative
che sonore. Le consonanti solo dall'emisfero sinistro (area di Broca) in quanto
decisamente meno sonore e musicali rispetto alle vocali. L'emisfero destro è musicale,
sonoro. Quello sinistro sillabico, significante, linguistico. (Delle conseguenze
di questi aspetti, come la differenza di un cervello maschile o di un cervello femminile
durante l'ascolto, come anche della differenza di ascolto da parte di un cervello
maschile di una voce maschile o femminile, ho parlato alla trasmissione RAI - L'Italia
sul due – del 26 ottobre 2005).
Le vocali sono estremamente sonore, come sa ogni cantante che si eserciti.
Non per caso gli esercizi di training vocale sono costruiti sulle vocali e vengono
chiamati, appunto, esercizi di vocalizzazione. Ogni parola udita dunque si ‘biforca'
nei due emisferi: il destro ne registra il suono, il sinistro il senso. In alcune
lingue la presenza delle vocali è estremamente massiccia, come ad esempio la lingua
giapponese e le lingue di alcune isole polinesiane. In questi popoli è stata rilevata
una sollecitazione più importante dell'emisfero destro, rispetto ai popoli che parlano
altri idiomi.
5. Come il suono ci modella
Se il suono può far decadere o proliferare aree cerebrali, significa che
esso modella in qualche modo la nostra materia neuronale, le sue sinapsi, il suo
modo di funzionare, in breve modella la fisicità del nostro corpo.
Infatti, lo stile vocale di ciascuno si costituisce lentamente a partire
dai suoni che ascolta. Per esempio i suoni ascoltati nell'infanzia modellano il
bambino, lo modellano anche psicologicamente. Voci aggressive lo renderanno insicuro
e, con molta probabilità, aggressivo per reazione.
Inoltre, il nostro stile vocale, il modo che abbiamo di parlare, in qualche
maniera si sedimenta ed entra a costituire la nostra intonazione, il nostro ritmo
del discorso. E, si può aggiungere, come dice Proust, "la nostra intonazione contiene
la nostra filosofia della vita… i genitori immergono l'individuo in tratti abituali
che sono i tratti del viso e della voce, ma anche una certa maniera di parlare,
certe frasi ripetute, che quasi incoscienti come un'intonazione, quasi altrettanto
profonde, indicano, come quelle, un punto di vista sulla vita" (A la recherche du
temps perdu, ed. de la Pléiade, p.909).
A questo punto alcune domande dal pubblico mi obbligano ad una lunga digressione
sui rapporti genitori-bambino nella nostra contemporaneità e le serie questioni
che i nuovi modelli di comportamento familiare propongono. Di questa digressione
tralasciamo la trascrizione.
La parte conclusiva della giornata è dedicata all'analisi della voce di
quei partecipanti che lo desiderano. La loro performance, che può essere di canto,
di recitazione o anche di semplice lettura di un testo, è finalizzata a fornire
materiale di riflessione sui particolari aspetti della voce, in modo che, a partire
da voci concrete, si possano approfondire alcuni aspetti già trattati teoricamente
nella prima parte della giornata ed, eventualmente, segnalarne di nuovi, di modo
che l'esibizione di ciascuno sia un dono per tutti gli altri.