Lo scopo di questo spazio
didattico offerto da Jazzitalia, è quello di mettere in evidenza gli stretti legami
che uniscono la musica e la letteratura afro-americane, attraverso
un'analisi della loro evoluzione in termini di influenze reciproche. In particolare
vedremo in che modo e secondo quali percorsi è cresciuta nel tempo l'attenzione
di letterati e poeti nei confronti della musica nera.
Nella cultura afro-americana, in generale, vi sono sia tracce africane che
impronte occidentali, e lo sforzo di molti intellettuali afro-americani è stato
proprio quello di ricercare ed evidenziare i caratteri più propriamente "neri" della
loro cultura e della loro arte.
Esistono grosse differenze concettuali fra la civiltà occidentale e quella
africana nei confronti della musica, e diverse sono state le funzioni che la musica
ha avuto per africani ed europei nella vita di tutti i giorni.
Nell'antichità, e fino alla formazione del pensiero idealistico-borghese,
in Occidente le due attività artistiche erano legate e procedevano quasi di pari
passo. Con l'avvento della borghesia la musica è divenuta sempre più un'arte
astratta, relegata a "pura distrazione", e, fino al XX secolo, cioè fin
quando non si diffuse il jazz, è rimasta sempre più materia accademica, distaccandosi
dalla sua origine popolare.
Una sorte analoga è toccata alla
poesia,
che perdendo man mano le sue caratteristiche orali e musicali è arrivata a diventare,
a volte, un'estenuante ricerca di raffinati linguaggi aulici, sempre più legati
alla scrittura e all'impressione su stampa.
In Africa questa separazione non è avvenuta, e gli africani deportati nelle
Americhe hanno portato cono loro un'ancestrale attitudine musicale, in quanto la
musica, facendo parte di ogni cerimonia della vita quotidiana, era per loro soprattutto
comunicazione.
In stato di schiavitù, privati delle loro basi culturali e religiose, i primi
afro-americani concentrarono nella musica le loro emozioni, facendola diventare
il principale mezzo artistico in grado di esprimere la loro vita.
Le principali caratteristiche della musica africana, antifonia, ripetizione
ed improvvisazione, hanno fatto sì che la musica, continuando in un certo modo gli
echi dei tamtam della giungla, restasse anche in America un potente mezzo
di comunicazione. L'antifonia vede un leader intonare un richiamo per la comunità
che risponde; la ripetizione, nella sua ossessività, permette di evocare stati di
trance, mentre l'improvvisazione del leader, infine, equipara il processo
della risposta (call and response) con la creazione finale.
Tutte queste componenti, insieme con l'acquisizione forzata di nuovi linguaggi,
nuovi credi, nuovi costumi e nuovi strumenti musicali, formarono la base necessaria
per l'elaborazione di una musica che più di ogni altra ha rivoluzionato il sistema
culturale-musicale di tutto il mondo: la Black Music afro-americana.
Analizzando la storia della musica afro-americana, e le sue relazioni col
mondo di tutti i giorni, si analizza così la storia sociale e culturale di un popolo,
perché è nella musica che meglio si esprimono le tensioni di adattamento dell'ex-schiavo
americano (negli Stati Uniti come a Cuba, in Brasile ed in Giamaica).
Negli Stati Uniti, i testi anonimi dei blues e tutto il canto nero (dai
work-songs, agli spirituals, ma anche nel toasting e le
dirty dozens) sono stati, quindi, le prime vere espressioni di una poetica popolare,
e, in quanto tali, furono presto adottati come punti di riferimento, sia per contenuti
che per forme, dai poeti afro-americani.
Il blues è una musica che nasce in campagna, intorno ai campi di lavoro,
e si sviluppa al di fuori di essi. Lo schiavo, nelle poche ore libere, con il banjo
o la chitarra, o semplicemente con un'armonica a bocca, suonava il suo blues, e
cioè esprimeva, in un'atmosfera blue (triste) e figurata, la sua rabbia,
le sue delusioni, le sue aspettative, le sue gioie: insomma, le sue emozioni.
Le stesse emozioni che venivano tramutate in versi di speranza da alcuni
pastori afro-americani che introdussero il canto libero nella liturgia Cristiana,
dando vita agli spirituals.
La
storia del colonialismo occidentale sul resto del mondo ha evidenziato, purtroppo
spesso, il ruolo decisivo quanto ambiguo che ha avuto il Cristianesimo nella colonizzazione
dei popoli, ivi compresi gli afro-americani. Una differenza sostanziale, però, è
che questi ultimi hanno dovuto convertirsi ad una nuova fede, piena di speranze
e promesse di un futuro in un mondo migliore, in un totale stato di asservimento.
Da qui i continui paragoni con il destino del popolo ebraico e le attualizzazioni
dei passi del Vecchio e Nuovo Testamento che riempiono i testi di tutti gli spirituals.
Molto spesso, però, i Cieli, i Fiumi del Paradiso, la Terra
Promessa, non sono altro che immagini, metafore che racchiudono desideri inespressi
di libertà e rivendicazioni più terrene.
Il
desiderio di libertà, inteso come rapporto del soggetto recitante o cantante
con il piacere e con la vita, è invece pienamente, e mai troppo metaforicamente,
espresso nei testi dei blues.
Il blues discende direttamente dall'arte dello storytelling, ed è
essenzialmente un genere vocale, in cui il performer mette in versi una storia,
o meglio, usando la tecnica del canto, interpretando e partecipando, esprime le
sue sensazioni a riguardo.
Paul
Lawrence Dunbar
(Dayton, Ohio, 27 giu 1872 - 9 feb
1906) e
Sterling A. Brown
(Washington, D.C., 1901 - Takoma Park,
Laryland 1989) furono
tra i primi poeti afro-americani che si cimentarono nella composizione di
blue poems. Essi si ricollegano direttamente all'arte dello storytelling,
sia per l'uso del dialetto (la famosa parlata negra), sia per l'utilizzo della struttura
tipica delle ballads ottocentesche.
Negli anni '20
del XX secolo, grazie anche
all'invenzione del fonografo, la black music iniziò a diffondersi, e la sua
importanza socio-culturale fu subito colta dagli intellettuali afro-americani del
Harlem Reinassance.
Primo tra tutti,
Langston Hughes
(Joplin, Missouri, February
1, 1902 - Harlem, New York, May 22, 1967)
sentì a pelle la continuità del blues
nella tradizione afro-americana e la grande modernità del jazz.
Egli
prese i motivi classici dei blues per riportarli in poesia, e comprese il valore
del jazz come modus vivendi, attitudine verso la vita, ricerca di linguaggio
e di recupero della vera essenza del nero americano. Le sue tante poesie blues e
jazz, le numerose collaborazioni con diversi musicisti, i suoi saggi sulla cultura
e la tradizione afro-americana, ne hanno fatto negli anni
'60
una sorta di hero letterario, paragonabile ad un Charlie Parker, un
John Coltrane o ad un ideologo come Malcolm X: in termini di esemplarity,
che, sin dai tempi delle prime autobiografie di ex-schiavi, ha costituito per gli
afro-americani un importantissimo filone letterario, egli è stato in letteratura
per la black people il corrispondente di quello che sono stati molti jazzmen
in musica.
Tutti
gli scrittori e i poeti afro-americani hanno dovuto, quindi, confrontarsi con la
musica: mentre Sterling A. Brown, Langston Hughes, Amiri I. Baraka
(LeRoy Jones) (Newark,
New Jersey 7 ott 1934),
Michael S. Harper (Brooklyn,
New Yor: 1938),solo per citarne
alcuni, ne sono stati quasi completamente assorbiti, altri, soprattutto Countee
Cullen (Countee LeRoy Porter:
Louisville, 1903 - 1946), pur
essendo consapevoli di certi valori e significati, ragionarono in termini più universali,
rifiutandosi di sentirsi "costretti" a riprendere temi e forme dalla Black
Music nella loro poetica. Ma questo distacco non fu più possibile nel momento in
cui la Black Music si fece portavoce, con toni accesi, di rivendicazioni sociali
e politiche.
Già
negli anni '40,
con la nascita del Be-Bop e del
Rhythm'n'Blues, il musicista nero americano iniziò un percorso socio-culturale
che lo porterà a spingersi verso posizioni sempre più radicali.
Dagli anni '50
e
'60,
con l'ideale costituzione di una Black Nation, e sotto lo slogan di Black
is Beautiful, l'ideologia nazionalista afro-americana prese corpo proprio sulla
scia di movimenti musicali d'avanguardia verso cui il jazz stava spingendosi, come,
appunto, il Be-Bop prima ed il Free Jazz più avanti.
Si cercò di fare un'Arte che fosse il più possibile nera, andando
a recuperare sonorità e costumi quasi ancestrali, non più in maniera nostalgico-evocativa
e mitologica come fecero molti tra gli intellettuali del Harlem Reinassance,
ma portandone i contenuti dentro l'attualità, con l'intento di stravolgerla.
Gli
afro-americani che, per diverse motivazioni, non sposarono certe posizioni più radicali
che erano emerse sin dall'inizio del secolo con W.E. Dubois e Marcus Garvey
(1887 - 1940),
furono visti come mediocri nel loro acquiescente tentativo di conciliarsi con l'autorità
bianca, nella ricerca di migliorare pacificamente le proprie condizioni sociali
ed economiche. L'atteggiamento pacifista degli integrazionisti è spesso stato visto
come una sorta di senso di rassegnazione e remissione alla volontà
dei bianchi.
La divisione tra integrazionisti e separatisti ha marcato per un secolo la storia
del pensiero politico afro-americano, ripercuotendosi con echi ridondanti sulla
musica e, di conseguenza, sul "canto nero" (inteso anche come parte "solista"
di un musicista), sull'idea di una performance che racchiuda gli aspetti principali
e positivi dell'attitudine di una black life.
Mentre nel periodo conosciuto come Jazz Age, furono i bianchi a vietare
l'accesso ai neri nelle sale da ballo (Ballrooms per soli bianchi), in cui
si esibivano le grandi orchestre tipo Glenn Miller, già nel primo dopoguerra
furono gli stessi bianchi americani a cercare di entrare, a volte senza riuscirci,
nei fumosi locali di Harlem o di qualche altro quartiere nero di Kansas
City, New Orleans, San Francisco, con la speranza di vedere qualche
concerto di Miles Davis o Charlie Parker.
Con il be-bop, che ridusse le orchestre jazz a gruppi di quattro o cinque
elementi, il solista cominciò ad assumere maggiore importanza, fino a diventare,
con l'avvento del free jazz, una specie di "guru" mediatico che poneva, attraverso
il suono del suo strumento, un'esperienza di vita personale per il suo gruppo e
per il pubblico.
Le performance dei jazzmen e le loro attitudini bohemien, catturarono
e affascinarono alcuni intellettuali bianchi: i poeti della beat generation
furono i primi ad esportare e a far conoscere al grande pubblico la
jazz poetry.
Allen
Ginsberg (1926
- 1997) e
Jack Kerouac
(Lowell, Mass., 12 mar
1922 - 21 ott 1969)
furono assidui frequentatori dei jazz cafes. Oltre ad un certo stile di vita,
essi ripresero dal jazz soprattutto strutture e modalità piuttosto che temi e concetti,
dal momento che questi ultimi appartenevano così intimamente alla storia culturale
del popolo afro-americano, che, effettivamente, nessun bianco, poeta o musicista
che fosse, poté mai realmente impadronirsene.
Le forme strutturali inusuali, invece, come l'uso spassionato del
verso libero e dell'impressione tipografica, il voler ricreare
versi di getto per lasciare al lettore solo il tempo di riprendere il fiato,
così come fa il solista jazz, o i tentativi di Kerouac di fare una Spontaneous
Prose, furono gli elementi che, presi direttamente dalla black music,
hanno fatto della jazz poetry una corrente poetica che va ad inserirsi nella
generale corrente modernista del XX secolo.
Lungi dall'essere soltanto un accorgimento estetico, però, il jazz è stato
portavoce di profondi significati culturali all'interno della stessa poetica americana.
Non è un caso che i poeti beat si distaccassero decisamente dalla tradizione accademica
statunitense, usando le tecniche moderniste jazz per dare voce a lamenti e ad accese
critiche nei confronti del sistema americano.
Invece, i poeti e gli scrittori afro-americani che più si avvicinarono all'intuizione
della black music, non soltanto usarono temi e forme del blues e del jazz, ma colmarono
inevitabilmente di significati razziali le loro opere.
Soprattutto Leroy Jones, che cambierà in seguito nome in Amiri
Baraka, tra i principali esponenti del
Black Arts Movement,
si costruì una poetica jazz, che egli steso definì
Jazz Aesthetic,
prendendo dalla musica nera le caratteristiche ed i significati più propriamente
d'origine africana, cercando di opporsi in tal modo al predominio della cultura
occidentale e al suo "illecito appropriarsi" degli aspetti più intimamente
africani della musica e della cultura afro-americana.
Il suo Blues People
(1963),
la cui lettura è servita da spunto per questa ricerca, non è soltanto una profonda
riflessione sulla storia della musica afro-americana, ma costituisce un punto di
riferimento essenziale per chi vuole conoscere il vero significato di espressioni,
concetti, figure e immagini appartenenti alla cultura afro-americana.
Non si può studiare il Jazz senza sapere che le tappe della sua evoluzione
coincidono con le tappe importanti della liberazione, l'emancipazione
e l'adattamento del nero americano nella società occidentale, così come
non si può affrontare un discorso che riguardi la cultura afro-americana, i suoi
costumi, le sue tradizioni, il suo linguaggio, i suoi "eroi" senza farsi accompagnare
dalla musica di Armstrong, Ellington, Parker, Shepp,
Davis, o dal canto di Lightin' Hopkins e John Lee Hooker,
Bessie Smith e Billie Holiday, Stevie Wonder e James Brown,
così come non si può comprendere a fondo la poetica afro-americana se non si comprende
il significato della performance che il solista fa su quel tappeto di ritmi e suoni
che gli fornisce la sua stessa comunità, come espressione della Black Soul;
o se non si ascoltano Duke Ellington e John Coltrane o, per lo meno,
se non si leggono il testo di un blues o uno spiritual.
La Black Music è rimasta nel tempo un'arte essenzialmente autonoma,
perché, nel caos generale della vita degli afro-americani, ha organizzato e codificato,
secondo termini specificatamente "neri", le sensazioni di una intera razza grazie
all'interscambio continuo che si instaura tra performer e audience.
La differenziazione sociale, la schiavitù, la segregazione, sono elementi che,
in musica, hanno contribuito a mantenere vivo lo spirito della tradizione, a preservare
la continuità della blackness e di certe sue espressioni linguistiche e comportamentali,
riempiendole di volta in volta di nuovi significati.
E'
quello che Henry Louis Gates Jr. ha definito, come elemento basilare della
storia letteraria afro-americana, "Signifiyn(g)", e cioè il ripetersi di
certi aspetti e contenuti della tradizione africana e afro-americana che, nel loro
costante riproporsi nel tempo a nuove interpretazioni, assumono di volta in volta
diversi significati ogni volta che ricompaiono.
E' lo spirito del blues, unificante e instancabile, che riemerge dalle sue
correnti più o meno sotterranee per modellarsi secondo la tendenza del momento,
che aggiunge nuovi significati a se stesso e che fa vedere la realtà attraverso
gli occhi della tradizione.
Proprio per le loro peculiari caratteristiche, i costumi africani si sono plasmati
nel tempo storico e nello spazio nord-americano, assumendo forme e contenuti sempre
nuovi ogni volta che il Meltin' Pot lo ha richiesto.
In questa ricerca, analizzando alcune delle opere tra le fonti primarie citate
o utilizzate come esempi, opere di Frederick Douglass, W.E.Dubois,
P.L. Dunbar, Alain Locke, James Weldon Johnson, Langston
Hughes, Sterling A. Brown, Jean Toomer, Ralph Ellison,
James Baldwin, Richard Wright, Gwendoliyn Brooks, Zora Neale
Hurston, Jayne Phillips, Alice Walker, Amiri Baraka,
Michael Harper, Sonia Sanchez, Ishmael Reed, Jayne Cortez,
Al Young, Angela Jackson, Albert Murray, Toni Morrison,
Yusef Komunyakaa, Gil Scott-Heron, Nikki Giovanni, a cui abbiamo
aggiunto le opere dei "bianchi" della Beat Generation (A.Ginsberg,
J.Kerouac, G. Corso e W. Ferlinghetti) e di Carl Sandburg
e Sascha Feinstein, e, affiancando le esperienze e le opere di tutti
questi poeti e scrittori con le esperienze e le opere dei black musicians
a loro contemporanei, si evidenzia subito che, nel fitto interscambio di sensibilità,
emozioni, idee, concetti, armonie, tempi, ritmi, si sono man mano elaborati un pensiero,
una poetica ed un'estetica che corrispondessero alle reali espressioni della comunità,
in quanto naturali evoluzioni di attitudini e caratteristiche direttamente discendenti
dall'Africa.
Dagli anni '80
ad oggi, di pari passo
con la nascita e la diffusione della musica Rap, ultima evoluzione della
black music, si è andata sempre più affermando l'idea di una poesia che fosse allo
stesso tempo lirica e musica, coro ed improvvisazione, e che non limitasse la sua
materia alla carta stampata, ma che potesse spaziare dal libro al disco, al video-clip
e all'esibizione dal vivo. Il tentativo dei poeti e dei musicisti che ruotano intorno
al mondo della Spoken Poetry è proprio quello di riunire la poesia con la
musica, facendone coincidere pienamente attitudini ed espressioni.
In questo coincidere, la performance del poeta afro-americano sembra avere adesso
lo stesso valore socio-culturale di quella del musicista, e cioè quella di essere
la manifestazione vivente di uno spirito-guida portatore di un sentimento comune
(feeling) attraverso la musicalità del linguaggio, come forma di comunicazione che
più si proietta nell'intimità di un popolo che, dai tempi più remoti, ha sempre
riconosciuto nel ritmo e nella musica un proprio codice comune e un efficacissimo
strumento di comunicazione.
La storia della vita e della morte di Orfeo, l'eroe della mitologia greca
che comunicava e combatteva armato soltanto del suo canto e della sua lira, con
cui concludiamo questa breve ricerca, sembra quasi indicare il percorso intrapreso
dai musicisti e dai poeti afro-americani, in quanto "mediatori di sensibilità":
così come l'eroe greco, l'eroe afro-americano, musicista o poeta, ha dovuto vincere
molte battaglie, anche interiori, armato soltanto del suo suono. Anche la sconfitta
di Orfeo, che, secondo la leggenda, fu ucciso dalle Menadi e fatto a pezzi, sembra
significativa: di lui, soltanto la testa e la lira si "salvarono", e, finite nel
fiume Ebro, furono da questo trasportate in mare, fino ad approdare sull'isola di
Lesbo, dove nacque la poesia.
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Data ultima modifica: 11/02/2008
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