"Il musicista nero
è un riflesso del popolo nero, in quanto fenomeno culturale e sociale. Il suo scopo
deve essere quello di liberare sul piano estetico e sociale l'America dalla sua
disumanità".
Archie Shepp
Il pensiero Occidentale
Poesia e musica sono due attività umane universali. Tutte le società, primitive
o evolute che siano, hanno ed hanno avuto le proprie forme musicali e poetiche,
e le origini stesse della Poesia non sono poi così distanti dalle attività più comuni
dell'uomo.L'uomo
primitivo, non avendo sicuramente un termine per ogni cosa, doveva essere spesso
costretto ad usare parole e frasi in maniera figurata: era cioè costretto ad esprimersi
poeticamente. La poesia, quindi, sembra essere nata prima della scrittura, e prima
ancora di ogni forma di prosa
[1].
Soprattutto nell'antichità la Poesia era strettamente legate alla
Musica, e il poeta o il recitante si avvaleva sempre di un accompagnamento
musicale [2].
Nella nostra società occidentale, dopo l'avvento dell'idealismo borghese, si è man
mano venuta a creare una separazione sempre più netta tra l'espressione poetica
della parola e la sua musicalità, fino ad arrivare ai giorni nostri dove il divario
tra poesia e musica appare incolmabile. Soprattutto i ragazzi di oggi, magari pur
scrivendo poesie, raramente si sentono attratti dalla poesia "ufficiale", che vedono
spesso come eterea e irraggiungibile, come se non li riguardasse affatto; allo stesso
tempo, però, essi sono molto affascinati dai testi delle canzoni della musica leggera,
da questa sorta di "poesie musicate" che spesso parlano di problematiche che li
riguardano direttamente.
Il motivo principale di questa separazione è sicuramente derivato dallo
sviluppo di un concetto sempre più accademico di poesia che tende a distaccare quest'ultima
dalla vita comune quotidiana: ci si è dimenticati, forse, che la poesia è una delle
forme d'arte orali, e non soltanto parole scritte in un linguaggio aulico. Se la
scrittura è quella convenzione sociale che garantisce la tradizione e il tramandare
della composizione, perché la lega alla materia, non bisogna commettere l'errore
di considerare la poesia "orale" su di un piano di studio differente da quella "scritta".
In generale la gente ama la poesia come ama la musica, la danza, il dramma,
il lavoro, il sesso e tutto ciò che è in qualche modo ritmico, perché noi stessi
siamo delle creature ritmiche, sia fisicamente (il pulsare del sangue) che psicologicamente
(nel ciclico ripetersi delle nostre attività quotidiane).
Secondo studi antropologici generalmente condivisi, lo spazio dove nacque
la prima forma di poesia "cantata" fu certamente l'ambiente di lavoro, un
lavoro fisico e collettivo che segnava il ritmo con le sue cadenze. Cantando insieme
ogni persona riesce a legare il proprio ritmo a quello di tutti i suoi compagni
[3]:
In questo modo musica e poesia, e quindi anche la danza, si vengono a trovare strettamente
connesse tra loro.
L'evolversi del pensiero
occidentale ha invece sempre più separato queste due attività, che però continuano
segretamente a convivere: infatti, la poesia, nonostante la fredda impressione della
stampa su carta, continua sempre più ad esprimersi attraverso la musicalità delle
stesse parole, concentrando i diversi significati su di essa, mentre si continua
a definire poeticamente anche la musica (armonia, contrattura…), e vediamo che anche
molte qualità sono comuni, e che con gli stessi epiteti si possono definire entrambe.
Il pensiero tradizionale
dell'estetica borghese idealista considera la musica come l'espressione artistica
per eccellenza, e la pone al vertice estremo di un'eventuale scala gerarchica
tra tutte le forme d'arte, come punto massimo di sublimazione della società, e raramente
come specchio delle sue realtà. La musica opera solo nel regno della trascendenza,
ed è quindi una forma d'arte essenzialmente "autonoma", e sembra distaccata dalle
tensioni dei rapporti sociali ed estranea ad ogni condizionamento di carattere storico,
economico ed ambientale.
La musica agisce direttamente
sulla sfera emozionale dell'individuo, e difficilmente può essere soggetta
a diverse interpretazioni che non siano quelle delle pure sensazioni dell'animo
umano. Lo stesso materiale di cui è composta, cioè il suono, non è materia, e non
rappresenta nulla, o meglio non rappresenta altro che l'assoluto della creazione:
non a caso nell'immaginario collettivo il Paradiso è sempre raffigurato come pervaso
dalla celestiale musica degli Angeli.
In questo modo si è arrivati
a considerare l'ascolto della musica semplicemente come un momento di "pura" distrazione,
e fino a pochi anni fa per i critici ed i cultori di musica occidentale, inevitabilmente
di formazione "classica", era come impossibile tenere in debita considerazione ogni
tipo di musica che potesse nascere da circostanze diverse da quelle della "ispirazione"
o dello "stato di grazia", dove non primeggiano i sublimi conflitti tra materia
e spirito, o tra forma ed armonia. Non parve quindi degna della loro attenzione
critica ogni altro tipo di musica che non ricercasse attributi estetici, e che non
si formasse secondo precise leggi proporzionali di armonia e composizione, affinché
la creazione artistica fosse "piacevole" all'orecchio.
L'Africa
Invece la musica africana parte esattamente dal punto opposto, perché è nata
e si è poi sviluppata rimanendo sempre strettamente legata alle pratiche umane quotidiane:
in Africa ogni attività sacra o profana era ed è sempre accompagnata dal ritmo,
e la musica è così divenuta il mezzo artistico che realmente esprime la vita dell'uomo
in tutti i suoi molteplici aspetti. La musica africana, e più generalmente tutta
la musica nera che da essa discende, costituisce una vera risposta emozionale alla
vita, essendo la sua una natura imitativa, perché esprime per mezzo dei suoni la
natura stessa. La musica della gente di colore di tutto il mondo, e soprattutto
nel Nord America, si definisce perciò con qualità dinamiche, mentre la musica "classica"
dell'uomo bianco europeo-occidentale risulta essere molto più statica.
La musica africana ha un
carattere essenzialmente collettivo, perché è legata agli usi e costumi di ogni
singola tribù, e il musicista africano si differenzia notevolmente da quello europeo
proprio per il suo sentirsi facente parte di un gruppo. Sembrerebbe contraddittoria
quest'affermazione se si pensa al carattere solista del musicista di origine africana
[4]
rispetto all'orchestrale europeo, e parrebbe più giusto sostenere il contrario.
Ma per capire l'unione profonda che unisce il solista al resto della sua collettività,
basta considerare le due caratteristiche principali che maggiormente distinguono
la musica africana dalla musica occidentale: l'antifonia e l'improvvisazione.
La tecnica del canto antifonale
[5]
esprime chiaramente il carattere collettivo della musica africana, o, per meglio
dire, costituisce un chiaro segno del rapporto organico
che il musicista ha con il suo popolo. S'instaura, infatti, una fluidità di relazioni
tra il tema convenzionale, portato dal leader-musicista che rappresenta così la
tradizione, e la risposta della comunità, che rappresenta l'espressione. La gente
risponde ad ogni richiamo della prima voce creando una relazione di grande intensità
il cui esito finale è nella profonda unione di tutti i partecipanti.
L'improvvisazione vocale, a differenza dei canti occidentali che avevano
testi fissati e normalmente tramandati, equipara il processo della risposta con
la creazione finale.
L'idioma musicale africano rappresenta così non soltanto la vita, ma anche
la stessa sensazione di vivere, eliminando ogni rischio di creazione "artefatta"
dell'espressione artistica.
Pur convivendo liberamente, antifonia e improvvisazione
sono strettamente legate tra loro grazie al concetto ritmico di ripetizione.
La ripetizione, che non è un semplice ornamento, è il vero centro del
significato, perché enfatizza emozionalmente il ritmo, organizzando la melodia con
versi sovrapposti di battute raggruppate in metri differenti. Senza un organizzato
principio di ripetizione sarebbe impossibile l'improvvisazione, dal momento che
il musicista deve avere un punto di riferimento, un ritmo sul quale poter improvvisare
[6].
In generale, il concetto di ripetizione nella cultura africana è spesso
conseguenza dell'atto originale creativo. Nella tradizione africana il mondo non
è visto come un continuo svilupparsi dal momento archetipo, ma la cosmogonia, le
origini e la stabilità delle cose sono viste come ricorrenti. Tutte le cerimonie
periodiche sono accompagnate da danze, e i giri di danza (ring shorts) ricapitolano
il ciclo del tempo naturale. La musica che accompagna la danza ripete e rappresenta
queste ricorrenze, e, per questo motivo, è molto vicina alla religione. Senza entrare
nel merito delle religioni e dei miti esistenti in Africa prima del colonialismo,
vediamo che generalmente gli africani credevano in concetti di predeterminazione
e nella sottomissione dell'essenza umana in un complesso di dei.
L'arte africana vive proprio del religioso rapporto dell'uomo con il mondo,
che si esprime emozionalmente attraverso le sue realtà.
Gli africani non conoscono quindi la tipica distinzione occidentale tra
arte e vita, perché per loro la bellezza non risiede nella forma dell'espressione,
ma nell'espressione in sé: l'arte non è mai fine a se stessa, ma è strettamente
connessa con la vita quotidiana, respirata e vissuta dall'intera comunità. Questa
particolare dimensione spirituale è ciò che nella musica gli afro-americani definiscono
feeling, che non è altro che l'enfasi tra espressione e funzionalità, in
cui l'estetica musicale viene definita in termini di emozione e spirito.
Vediamo quindi che le basi della musica afro-americana coincidono con
quelle della religione e della cultura africana, concentrando i significati nella
spiritualità espressiva.
Dall'Africa in America
La musica è sempre stata per gli africani la più alta forma di comunicazione:
nelle tribù si usavano le percussioni per comunicare, e i significati di molte parole
africane cambiano con una semplice alterazione tonale. Poesia, musica e danza facevano
parte della vita di tutti i giorni, e gli africani trasportati per il mondo come
schiavi portarono con loro il ritmo della loro vita.
Come anche Melville dimostra nei suoi romanzi, gli equipaggi delle
navi che trasportavano i neri in America erano molto spesso degli equipaggi formati
da gente di varie razze e nazionalità. Fu proprio in questi viaggi marini che cominciò
a prender corpo una nuova musica fatta da moltissimi frammenti di popolazioni europee
e non (inglesi, francesi, irlandesi, olandesi, scozzesi, spagnoli, portoghesi e
tedeschi, ma anche indiani d'America, polinesiani e, naturalmente, africani). Sulle
navi negriere prende forma il Melting Pot americano, con la fondamentale
differenza che ha distinto per secoli la razza africana da ogni altra etnia o cultura
del mondo, e cioè che l'esperienza di questo popolo ha una storia unica: la deportazione
in stato di schiavitù. Bisogna però ricordare che la schiavitù non fu un'esperienza
del tutto nuova per gli africani, in quanto praticata da loro stessi, soprattutto
nell'Africa occidentale. L'elemento nuovo e determinante della schiavitù americana
fu quello dell'opposizione filosofica, perché, deportati in un nuovo continente,
essi hanno stentato parecchio ad abituarsi o a reagire ad una concezione della vita
(in cui regnava l'intelletto e l'utilitarismo) che era diametralmente opposta alla
loro. Dato che, come abbiamo visto, il mezzo con il quale essi esprimevano la loro
spiritualità era la musica, si può allora affermare che in essa, nelle sue origini
africane e nella sua prosecuzione nel nuovo mondo, è possibile trovare l'essenza
dell'esperienza nera. La musica afro-americana è sicuramente la manifestazione più
alta di quella cultura, e, nonostante l'immensa varietà dei suoi orientamenti, è
stata, ed è ancora, tra tutte le espressioni dello spirito umano, la più rappresentativa,
perché contiene in sé tutta la vita di un popolo e la sua storia.
Dal primo africano deportato, qualsiasi nero americano, che sia statunitense,
brasiliano, cubano, giamaicano, ecc…, riconosce le tappe della sua esistenza nella
musica della sua gente più che in qualsiasi altra cosa. Per questo motivo si riconosce
universalmente alla musica afro-americana un alto significato e il considerevole
ruolo di testimonianza di un contesto sociale ed umano in genere.
E' quindi la musica che lega il popolo afro-americano con le sue origini
africane: così come era basilare la musica nel discorso, così la musica afro-americana
è stata e continua ad essere un intricato fenomeno con cui si esprimono le tensioni
di assimilazione e di adattamento del nero americano. Il prigioniero africano poté
continuare a coltivare il suo complesso universo estetico e metafisico proprio attraverso
la musica, che fornì una sorta di continuità, ad un livello più o meno sotterraneo,
tra il presente e il passato africano.
Così lo schiavo, costretto ad adottare un sistema culturale alieno, cercò
di adattarlo ai ritmi della sua sopravvivenza. Oltre all'ostacolo creato dall'evidente
diversità di valori tra la visione occidentale della vita e quella africana, non
bisogna dimenticarsi della rigidità morale del puritanesimo, che vedeva la professione
di musicista [7]
con molto sospetto (pianisti e musicisti educati erano spesso visti come effemminati),
e che aveva in sé una concezione peccaminosa della musica e della danza. A questo
si aggiunse la paura che i neri potessero segretamente comunicare tra loro attraverso
un indecifrabile linguaggio dei tamburi, per cui ben presto, ne fu vietato l'uso,
e la loro arte fu fatta diventare illegale. Gli schiavi furono obbligati ad imparare
velocemente l'inglese, ma fu impedito loro di imparare a leggere e scrivere. Lo
stato di ignoranza in cui furono tenuti dalla maggior parte dei loro padroni giovò
sicuramente alla spontaneità delle loro creazioni musicali, che però rimasero a
disposizione dei bianchi, pronti a sfruttarle commercialmente.
E' quindi nella musica che si rispecchia il vero linguaggio della massa
nera, molto più che nella letteratura o in ogni altra forma espressiva. Questo perché
la musica, sia di ispirazione sacra o profana, collettiva o individuale, impegnata
o semplicemente evasiva, costituisce insieme col canto la vera espressione della
tradizione popolare che resiste nel tempo "alle rapine e allo sfruttamento delle
classi dirigenti, costituite da bianchi"
[8],
ma anche dalle continue diluizioni operate dalla classe medio-borghese degli stessi
afro-americani.
Premesso che i fenomeni linguistici sono per natura indissociabili dal
contesto sociale nel quale si sviluppano, è evidente che nell'evoluzione del popolo
afro-americano la lingua, le condizioni sociali (politico-economiche) e la musica
(sia nel canto che negli strumenti) sono come tre assi perfettamente paralleli ed
in costante rapporto fra loro
[9].
La musica afro-americana in genere, dal blues al jazz al funky
all'hip-hop… è essenzialmente africana per sensibilità, mentre l'influenza
europea si limita all'aspetto tecnico
[10].
Avviene così, allora, in maniera del tutto naturale, l'identificazione tra poeta
e musicista, dove il primo guarda al secondo cercando di coglierne la forza e l'ispirazione,
riconoscendone lo spirito. Il canto nero è quindi, nella sua forza espressiva, la
radice vera della musica afro-americana, divenendo un costante riferimento per la
Poesia.
Infatti, esaminando la storia
letteraria dei neri d'America, una volta escluse le autobiografie lasciate da schiavi
fuggiaschi, che spesso costituiscono delle vere e proprie denunce contro il sistema
oppressivo, vediamo che alla spontaneità espressiva della musica, che rimane inalterata
anche nel suo evolversi tecnico, si contrappone
una letteratura imborghesita che spesso si auto-censura, sforzandosi di presentare
i problemi in modo che possano essere accettati anche dai bianchi. Questo tipo di
letteratura difficilmente può essere definita come espressione di una condizione
popolare, ma risulta essere, piuttosto, espressione della "intelligentia" nera:
il romanzo, ad esempio, non appartiene affatto alla tradizione africana o afro-americana,
ma attinge a evidenti modelli di stampo coloniale. Soltanto negli anni '20 dello
scorso secolo gli scrittori ed i poeti fautori del Harlem Reinassance
[11]
si sono accorti dell'enorme divario che c'era tra musica e letteratura: un divario
che si è cercato di colmare trovando i punti di coincidenza tra poesia e lirismo
popolare.
Lo stato d'animo dei neri nella loro condizione di schiavi o di esseri
inferiori, o comunque di diversi, espresso sia come rivolta decisa (blues)
che come evasione nella speranza di un mondo migliore (spiritual) è ciò che
comunemente viene chiamato Black Soul, ed è proprio dalla soul, dalla
sua profondità, che la musica afro-americana trae forza e bellezza.
Il bisogno di distaccarsi definitivamente dalla cultura coloniale anglofila
fece nascere in seguito una corrente artistica che si basava essenzialmente sul
colore della pelle e sulla posizione sociale del nero americano (Black Art),
che portò avanti un progetto culturale, in principal modo letterario (Jazz Poets)
di rappresentazione di una visione fondamentalmente "nera" della vita.
In termini di influenze specifiche i poeti afro-americani iniziarono a
fare uso costante e consistente di effetti tonali, ritmici e strutturali tipici
proprio della musica. Finalmente si tenne conto del grande effetto del musicista
nero sulla sua gente, un effetto maggiore di quello di qualsiasi politico, predicatore
o ideologo. Il Jazz divenne così la più rilevante manifestazione espressiva
del nero americano, e il Blues l'unica espressione compiuta e realizzata
della comunità.
La musica nera viene finalmente considerata come un linguaggio che si
plasma e si adatta ad esprimere il complesso e sofferto rapporto del nero con il
proprio contesto storico e socioculturale
[12].
[1] -
Come afferma il linguista danese Otto Jespersen in Language, its nature, development
and origin, Londra, 1922.
[2] - Nella tradizione occidentale, l'aedo greco
e romano, il bardo e il menestrello medievale, ne sono testimonianza.
[3] - Si pensi soltanto all'uso che si fa della
musica per cadenzare il ritmo delle marce militari.
[4] - La figura del solista è caratteristica
del jazz.
[5] - Il canto antifonale (Call and Response)
è quello dove un leader canta una frase e la comunità la ripete subito dopo.
[6] - Il senegalese Leopold Senghor (poeta, critico,
filosofo, primo Presidente del Senegal negli anni ‘60) fissa la natura della cultura
nera in un concetto di "negritudine", descrivendo il ruolo fondamentale che in esso
costituisce il ritmo, che è "la forza organizzatrice che rende lo stile nero…".
Leopold Senghor, Anthologie le la poésie nègre et malgache, Parigi, 1948.
[7] - E' stato giustamente osservato che oltre
alla carriera di boxeur quella del musicista è stata per molto tempo quella
con i minori ostacoli razziali per il nero americano, ma solo a causa degli interessi
commerciali dei bianchi.
[8] - Leroy Jones (Amiri Baraka), Blues People,
Einaudi, Torino1968.
[9] - Ad esempio la Soul Music è emersa
contemporaneamente alla politica non-violenta di Martin Luther King, mentre un genere
più moderno come l'Hip-Hop nasce come conseguenza di tensioni sociali più
drastiche e più dure.
[10] - Leroy Jones (intellettuale, poeta, drammaturgo,
critico musicale) nel suo Blues People divide gli elementi musicali africani
da quelli europei, nella musica afro-americana, in questo modo:
africanismi:
roughness, shout, scream, atonality, improvvisation;
europeismi:
softness, legitimacy of tone, fixed arrangiaments, artificial beauty.
[11] - Langston Hughes fra tutti.
[12] - Dal blues, successivamente all'invenzione
del fonografo, sono nati numerosissimi generi musicali che coprono la quasi totalità
della musica leggera moderna (in inglese "Pop Music", dove Pop sta per "popular"):
ragtime, dixie, city blues, swing, jazz, be bop, free jazz, soul, funky, rock'n'roll,
rock, disco, rap, hip-hop, acid jazz, garage, electro soul, ecc…
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Data pubblicazione: 15/05/2002
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