Yet
do I marvel at this curious thing:
To make a poet black, and bid him sing!
Countee
Cullen
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I poeti e gli scrittori
afro-americani del XIX e XX secolo, nel tentativo di consolidare una voce unica
che esprimesse la loro consapevolezza razziale e che contenesse i desideri del proprio
popolo, hanno cercato di costruire una tradizione estetica che affermasse la loro
identità attraverso un linguaggio adatto ad esprimere i principi culturali della
loro razza. Sicuramente il desiderio di libertà, in tutte le sue sfaccettature,
ha permeato la letteratura Afro-americana dalla schiavitù fino ai tumulti degli
anni '60, quando anche i poeti espressero il forte disincanto verso i valori del
mondo occidentale bianco abbracciando quei valori culturali provenienti dall'Africa
e dalla diaspora africana.
Nel
XIX secolo gli scrittori diedero voce al lamento dello schiavo verso l'emancipazione
e la libertà: nel 1845,
Frederick Douglass (Maryland,
1818 - Washington, 1895)
scrive la cronaca della sua fuga
[1],
offrendo una crudele e attenta descrizione delle condizioni di vita degli schiavi
afro-americani, ma facendo anche delle profonde riflessioni su temi fondamentali
della cultura e dell'universo del suo popolo, come ad esempio la religiosità, la
ricerca di un'identità, e la musica. Douglass, ormai in fuga verso il Nord, verso
la "libertà", piange sentendo gli spirituals, che descrive come l'espressione
della disumanizzazione dello schiavo, e si meraviglia di come al Nord essi siano
considerati come canti gioiosi pieni di spensieratezza. E' significativo che faccia
questa considerazione soltanto quando ormai è un uomo libero.
Nel XX secolo si continuò
a dare voce alla protesta sociale, rivendicando diritti civili e contribuendo al
cambiamento della società americana intera. Tutto questo su un corpo poetico cresciuto
da radici folkloristiche che legittimano anche l'uso della poesia come "performance",
attività interattiva che si basa su una tradizione estetica in cui primeggiano,
inventiva, musicalità ed improvvisazione.
Più che nella letteratura
il vero linguaggio della massa nera sembra quindi risiedere nella Musica: perché
mentre la letteratura attinge da modelli di stampo coloniale, la musica nasce direttamente
dalla Black Soul, e costituisce una tradizione che viene portata avanti dal
popolo.
La storia ufficiale della
letteratura afro-americana inizia non con la poesia e non direttamente dalla tradizione
popolare, ma con la prosa: molto prima che scoppiasse la Civil War, libelli,
petizioni e altri pamphlets furono per i neri gli unici mezzi per rendere
pubbliche le loro proteste contro il sistema oppressivo. Anche questi testi, però,
sentono fortemente l'impronta della tradizione musicale, dal momento che ne sono
stati autori predicatori e pastori neri. Le chiese erano ancora gli unici luoghi
di raduno dove si poteva parlare con una certa libertà anche di problemi sociali.
Dalle chiese nascono anche diversi giornali, tutti però con tirature limitatissime
per il fatto che la maggioranza dei neri era ancora analfabeta.
Si sviluppa così un genere
che è caratteristicamente nero, quello dell'Autobiography e dell'Esemplarity,
in cui lo schiavo fuggitivo, o chi era comunque riuscito a migliorare la sua posizione
sociale, scrivendo la propria autobiografia, dava un esempio a chi ancora non ce
l'aveva fatta
[2].
Di pari passo con l'autobiografia, con la nascita di una borghesia nera, si sviluppa
anche il genere del saggio, e nascono diversi movimenti sociali dove si affermano
i primi leaders neri, dando inizio al lungo dibattito circa l'integrazione,
l'emancipazione e il nazionalismo nero. Ma la Black Literature, soprattutto
nel romanzo, è stata per molto tempo l'espressione della Working Class e
della borghesia nera, ed è stata spesso una letteratura fatta ad imitazione del
modello bianco. Per questo motivo essa difficilmente può essere rappresentativa
di una condizione popolare, ma piuttosto va considerata quale espressione dell'Intelligentia
nera. Il romanzo, infatti, come genere, non appartiene neppure alla tradizione puramente
africana.
Leroy
Jones (Amiri Baraka)
(Newark, New Jersey, 1934)
scrive in The Myth
of a Negro Literature (1962)
che "...in most cases the Negroes who found themselves in a position to pursue
some art, especially the art of literature, have been members of the Negro middle
class, a group that has always gone out of its way to cultivate any mediocrity,
as long as that mediocrity was guaranteed to prove to America, and recently to the
world at large, that they were not really who they were, ie., Negroes."
[3]
Prima ancora della nascita
ufficiale del Jazz, si può già delineare storicamente l'idea che le diverse
forme di ispirazione vocale e musicale provenienti dalla cultura afro-americana
sono state l'espressione dello stato d'animo dei neri di fronte al sistema oppressivo
dei bianchi, un'espressione di una sincerità e spontaneità molto più profonde di
quanto potessero esprimere gli scrittori, i romanzieri ed i poeti afro-americani.
La Black Music diede
così vita ad almeno due generi letterari importanti: i testi dei blues e
le "autobiografie narrate al magnetofono", lo storytelling, per tacere sugli
esperimenti linguistici della gente comune
[4].
Lo sviluppo della tradizione poetica afro-americana seguì parallelamente lo sviluppo
di un'elaborata tradizione orale che racchiude ogni aspetto ed ogni attitudine di
black life.
La connessione tra Storytellers
e Folk Music è ovviamente molto stretta, perché le canzoni popolari interrompono
e fanno parte integrante dello sviluppo narrativo. L'arte dello storytelling
non è fatta soltanto di inventiva, ma anche di forti capacità imitative. La mimica,
il dialogo vivo, le alterazioni di tono, i suoni ritmici, le grida di animali, i
rumori dei luoghi stregati e delle macchine, della ferrovia, le voci in falsetto:
tutto gioca un ruolo decisivo nella narrazione, e il linguaggio idiomatico conferisce
un carattere particolare alla storia.
Molti degli scrittori e
dei poeti neri che verranno in seguito sono stati senza dubbio degli ascoltatori
e, in alcuni casi, anche degli imitatori degli Storytellers.
Nella
sua opera principale, The Souls of Black Folks (1903),
W.E.DuBois (William
Edward Burghardt DuBois: Great Barrington, Massachusetts, 23 feb 1868 - Accra, Ghana,
27 ago 1963) è forse il primo
a parlare d'esemplarità, d'autobiografia per l'emancipazione, del singolo che deve
porre la propria esperienza all'interno del gruppo, esattamente come fa il musicista.
I canti del Sud contengono
il lamento dello schiavo, ed un nero che li sente anche per la prima volta li riconosce
subito come suoi, come facenti parte anche della sua esperienza privata di uomo.
Du Bois riconosce il gran valore della musica per il suo popolo, affermando che
soltanto nella musica e attraverso di essa il nero può recuperare l'autenticità
africana delle sue tradizioni. Nel saggio elenca anche i dieci spiritual da lui
preferiti.
Paul
Lawrence Dunbar
(Dayton, Ohio, 27 giu 1872 - 9 feb
1906), nato nel
1872,
fu il primo poeta con il quale si inizia a parlare di lirica nera americana e che
si ricollega alla tradizione degli Storytellers.
Dunbar
fece molto spesso uso del dialetto, il che comportò un'espressione incompleta e
la mancanza di una larga comprensibilità, ma fu anche autore di romanzi e di
short stories. Di Dunbar si sa che amava recitare le sue poesie in pubblico
facendosi accompagnare da un'orchestrina: la musica non fu mai estranea alle ispirazioni
di Dunbar, e la struttura stessa di alcune sue poesie indica evidenti rapporti con
la musica (ripetizione e rilievo ritmico). Il suo primo libro di poesie, Oak
and Ivy, fu pubblicato nel
1893,
e contiene la prima poesia dialettale di Dunbar,
A Banjo Song.
Nella
sua discussione sullo stile degli spirituals, Alain Locke
(Alain LeRoy Locke: Philadelphia, 13 set 1885 - Washington, D.C., 1954)
[5]
scrive che questi canti, dalla loro origine fino al primo terzo del XX secolo, costituiscono
il grande dono folkloristico degli Afro-americani agli Stati Uniti d'America. Per
Locke essi hanno un carattere universale e per la loro originalità e la loro semplicità
possiedono intensità epica e profondità tragica e religiosa per cui sembrano avere
molte affinità con l'esperienza spirituale giudaica, e quindi con i Salmi. Studioso
di cultura africana, di cui tracciò le influenze sulla cultura occidentale, Locke
spinse gli artisti di colore, pittori, scultori e musicisti ad attingere alla fonte
africana per trovare le radici della propria identità e per scoprire materiale e
tecniche per le loro opere. Incoraggiò gli scrittori neri a cercare soggetti nella
black life.
La poesia afro-americana
cominciò a fiorire proprio quando la black voice fu riconosciuta ed individuata
nel folklore.
Il
critico americano Henry Louis Gates, Jr. ha ripreso il termine signifyin'(g)
[6]
per rappresentare la storia letteraria africana e afro-americana come un continuo
riflesso e una perenne reinterpretazione di ciò che è stato fatto antecedentemente
[7].
Questo processo del rimescolare le esperienze precedenti con le nuove non ha fatto
altro che attualizzare di volta in volta i significati reconditi di un'esperienza
millenaria, che parte appunto dal leggendario personaggio mitologico di Esu,
semi-dio imbroglione della mitologia Yoruba (Africa Occidentale), detto,
appunto, The Signifyin'(g) Monkey.
Il lettore di un'opera africana
o afro-americana partecipa al significato ogni volta che legge o ascolta l'opera,
perché è portato dalle caratteristiche dell'opera stessa a sviluppare un certo grado
di interpretazione di quel significato. L'atto stesso di leggere una poesia
contribuisce, cioè, alla formazione del suo significato secondo l'esperienza (unica)
che il lettore sta vivendo in quel preciso istante. Diversamente dalla tradizione
occidentale, il significante non è legato ad un preciso significato, e il simbolo
non è mai statico, ma si plasma, cambiando forma secondo stimoli di natura emozionale.
Succede così in poesia quello che per gli afro-americani già succede in musica:
il predicatore spiritual, il cantante blues, il solista jazz,
e il poeta black interagiscono con il proprio pubblico, il quale, rispondendo,
instaura il feeling tra artista e audience.
I primi poeti che
esplorarono le risorse della tradizione (folkloristica-musicale) per trovarvi grande
fonte d'ispirazione furono James Weldon Johnson,
Langston Hughes, e Sterling A. Brown.
Johnson
(1871-1938) ebbe un ruolo significante
come critico ed antologista, introducendo la poesia afro-americana al pubblico con
The
Book of American Negro Poetry (1922),
dove mette in evidenza gli orientamenti africani degli spirituals sottolineandone
le affinità ritmiche e le somiglianze di forma e struttura intervallata. Il suo
discorso si conclude con la considerazione che gli spirituals vanno oltre
perché hanno acquistato un più alto valore mediatico oltre che melodico ed armonico.
[8]
J. Weldon Johnson è anche
ricordato come l'autore dell'inno "nazionale" nero,
Lift Every Voice and Sing
[9]
(1900).
Durante
gli anni della Jazz Age (tra le due guerre) si ebbe la prima vera discussione
sulla musica come contributo culturale e distintivo della cultura afro-americana.
Langston Hughes
(1 feb 1902 - 22 mag 1967)
fu il poeta che più di tutti
aprì la sua arte alle ricchezze musicali e verbali di certe forme musicali nere.
La musica servì a Hughes come simbolo della creatività nera a dispetto delle condizioni
oppressive, ma esiste in lui anche un'idea non pienamente sviluppata della musica
come elemento vitale e ribelle del mondo afro-americano e del suo rapporto organico
con la storia. Ma per l'artista del Harlem Reinassance la musica era soprattutto
una risorsa formale ed un intrattenimento elevante ed affascinante (da qui il suo
carattere esotico), e non una manifestazione delle più serie esperienze culturali
del popolo afro-americano.
Hughes riconosce la funzione
collettivizzante del Jazz, descrivendolo come un linguaggio in continua trasformazione,
punto sostanziale di riferimento, legame di continuità con il tam-tam africano.
Harlem è una comunità in continua trasformazione, e il Jazz "è il suo linguaggio,
ma anche il suo heartbeat, che rappresenta l'unione tra coscienza e ribellione"
[10].
The
First Book of Rhythms (1954),
The First Book of Jazz (1955),
Ask Your Mama: 12 Moods for Jazz (1961),
testimoniano la perenne attenzione di Hughes al mondo musicale afro-americano. Molte
delle sue poesie sono state declamate con l'accompagnamento di orchestre Jazz,
ed egli stesso ha inciso anche qualche disco.
Sterling
A. Brown (Washington, D.C.,
1901 - Takoma Park, Maryland, 1989)
estrae il suo materiale dalla tradizione folk forse più di ogni altro suo
compatriota, facendo un largo uso di ballate nere nelle sue composizioni. Egli non
si limitò a manipolarle o ad arrangiarle, ma ne assorbì interamente lo spirito.
Sperimentando con blues, spirituals work-songs, ballads, riuscì
ad intensificare la qualità letteraria della sua poetica.
Nella poesia
Ma Rainey della sua prima raccolta Southern Road (1932),
Brown combina insieme le forme della ballad e del blues, e, dimostrando
la sua geniale inventiva, crea la blues-ballad, che è allo stesso tempo un
ritratto del venerato bluesman, del cantante blues, ed una cronaca della
sua performance.
Diversa
e singolare è invece la posizione di uno dei più grandi poeti afro-americani,
Countee Cullen (Countee
LeRoy Porter: Louisville, 1903 - 1946).
Influenzato dal Romanticismo di Keats, preferì usare le forme del verso classico
piuttosto che rifarsi a ritmi ed espressioni della tradizione nera americana. Cullen
sosteneva che l'artista afro-americano non sarebbe dovuto essere classificato principalmente
in base al fatto di appartenere ad uno specifico gruppo razziale: egli definì se
stesso non come un poeta negro, ma semplicemente come un poeta.
I suoi versi:
"Yet
do I marvel at this curious thing:
To make a poet black, and bid him sing!
[11]"
provocarono non poche reazioni
e polemiche: in realtà Cullen fu uno dei pochi ad esprimere una sorta di paradosso
culturale, che era sicuramente contro la tendenza della maggior parte degli intellettuali
afro-americani del periodo. Rappresentò il rovescio della medaglia e fu attaccato
anche da Hughes
[12], ma in realtà
seppe cogliere lo stesso dilemma comune a tutti gli afro-americani, da un punto
di vista però opposto.
Ci sono poi alcuni romanzieri,
affermatisi nel secondo dopoguerra, che sono riusciti ad esprimere anche in prosa
l'importanza del linguaggio musicale per gli afro-americani.
Richard
Wright (Mississipi, 1908
- Paris, 1960) in White
Man, Listen! (1945)
mette in rilevo un aspetto peculiare del blues, cioè il sottinteso senso
di rivolta che ne costituisce quasi una costante.
Wright ha sempre ripudiato
l'autorità della critica bianca che accusa di non fare altro che speculare sulla
tragedia nera. L'interlocutore privilegiato delle sue opere fa parte senza dubbio
della sua gente, e per questo motivo la sua arte non è mai fine a se stessa, ma
è sempre protesa ad aiutare la comunità. Come in Black Boy (1945),
il nero deve reagire, ribellarsi, e avere la forza, le basi culturali per poter
dire di no al bianco, soprattutto del Sud, ma deve anche saper dire di no al proprio
simile che guarda la realtà con "gli occhi dei bianchi". La sensibilità del nero
è per Wright storicamente e socialmente condizionata.
Nel
dopoguerra il discorso sulla musica assume man mano un ruolo tematico più grande.
L'anonimo protagonista di Invisible Man (1952),
il maggior romanzo di Ralph Ellison
(Oklahoma City, Okla., Mar. 1, 1914
- 1994), la cui ricerca d'identità
è il motore delle sue azioni, capisce che la sua ricerca dipende assolutamente dalla
scoperta o ri-scoperta delle proprie origini folkloristiche, la cui metafora è il
blues [13].
L'uomo invisibile, ancora senza una vera identità, impara a riconoscere la sua personale
complessità accettando ed emulando il modello blues del povero Trueblood
al principio del romanzo.
In
molte opere di James Arthur Baldwin
(Harlem, 2 ago 1924 - St. Paul de
Vence, France, 1 dic 1987),
la musica agisce come idea dominante, esprimendo un completo modo di vita.
In contrasto con Ellison
i musicisti di Baldwin illustrano e personificano la disperazione della solitudine
piuttosto che la possibilità di reintegrazione con la comunità secondo espressioni
personali: essi incarnano l'alienazione e l'estraniamento, e la musica diviene il
veicolo per l'esplorazione delle sofferenze storicamente condizionate del popolo
Afro-americano.
Con i poeti del Black
Arts Movement, movimento politico-culturale detto anche Black
Aesthetic Movement, si arriva ad una consapevolezza dello spirito rivoluzionario
della Black Music. Ispirati dai suoni di Coltrane, Ayler,
Rollins, Shepp, Davis ed altri
[14],
i nuovi scrittori cercano un lessico vivo, autenticamente nero come il linguaggio
musicale. La scrittura, la poesia, diventano più ricche e complesse, piene di espressioni
e di forme sintattiche prese dalla strada, dal jive talk, dagli hipsters,
dalla tradizione orale, dal canto religioso, dal toast, dallo scatting,
dai dirty dozens.
Questi poeti indirizzano
i loro messaggi principalmente agli afro-americani ed alla gente africana coinvolta
nella diaspora. Basandosi sulle teorie politiche del nazionalismo nero (Black
Power) essi cercano di creare una forma d'arte popolare che promuova l'idea
del separatismo nero attaccando tutti i valori della classe medio-borghese bianca
e rigettando le convenzioni poetiche di origine occidentale. Si enfatizzò così il
verso libero e la sperimentazione linguistica.
Lo sforzo del Black Arts
Movement, come quello di Malcolm X, è stato quello di riuscire ad imbrigliare
il caos della condizione della vita del popolo nero in una vera forza rivoluzionaria.
La musica non è più il modello, ma lo scopo stesso della poesia: andando oltre il
concetto di Black Music come perfetta metafora di vita nera, se ne afferma
l'esatta coincidenza, e cioè che la Black Music è la vita nera. Il musicista
nero è il più alto rappresentante del suo popolo, ed assume un ruolo evangelico
e rivoluzionario, e il suo messaggio, dato dalle esplosive vibrazioni della musica,
si unisce al suo pubblico nero dando origine alla Black Nation. La Fisk University
diviene il luogo della cultura nera.
Di tutte le forme d'espressione
e di arte dei neri americani, è la loro musica, soprattutto il Jazz, la sola
ad essere contemporaneamente prestigiosa e rappresentativa. Il compito principale
è quindi quello di restituire ai neri la propria musica, riconoscendone l'autenticità
e purgandola dalla confusione e dall'intorbidamento che l'uomo bianco ha creato
per il propri interessi, pensando esclusivamente allo sfruttamento commerciale.
Leroy Jones (Amiri Baraka),
con l'avvento del movimento nazionalista nero, si dedica allo studio della cultura
e delle arti afro-americane e alla loro diffusione
[15].
Jones fa una vera e propria lettura "politica" della storia del Jazz
operandone un'evidente rovesciamento delle categorie e dei valori, trovando nella
Black Music l'essenza della esperienza nera, intorno alla quale si sviluppa
poi il concetto di Black Aesthethic.
Le sue opere rappresentano
il primo generico contatto con il movimento free
[16],
con la storia e l'evoluzione del Jazz e dell'influenza socioculturale della
musica sul "popolo del Blues"
[17].
Albert
L. Murray (Nokomis,
Alabama, 12 mag 1916)
ha scritto una raccolta di saggi, The Omni-Americans (1970)
usando fatti storici, letterari e musicali per attaccare le false percezioni della
vita dei neri americani. Ha anche partecipato alla stesura della autobiografia di
Count Basie, Good Morning Blues (1985).
Sin dagli anni '70 i poeti
afro-americani contemporanei hanno sviluppato una forma comune di performance
artistica, che si avvicina molto a ciò che Stephen Henderson
[18]
ha definito black music e black speech come unici e significativi
referenti poetici. Il lavoro del poeta evidenzia un totale assorbimento di forme
musicali come il blues ed il jazz, le forme di call and response,
i versi improvvisati, toni evocativi, ritmo e struttura formale presi dalla tradizione
folk, l'abilità oratoria dei sermoni dei predicatori neri, il rap, le
dozens, il signifiyng, il toast.
Poeti come Jayne
Cortez, Sonia Sanchez, Haki Madhubuti, Amiri Baraka,
Nikki Giovanni, Askia M. Touré, Sun Ra, e Ted Joans scoprirono
come trasformare la poesia stampata in una performance in cui si libera appunto
l'eleganza e la potenza della black music e del black speech.
Alice
Walker è stata anch'essa profondamente influenzata e ispirata
dalla musica e dai musicisti afro-americani e da quegli scrittori che più si sono
cimentati con sperimentazioni di lirismo musicale. La musica di Bessie Smith,
Their Eyes Were Watching God (1937)
di Zora Neale Hurston, furono le sua fonti da cui trarre ispirazione: "Music
is the art I most envy... musicians [are] at one with their cultures and their historical
subconscious. I am trying to arrive at that place where Black music already is;
to arrive at that unself-conscious sense of collective oneness
[19].
Gil
Scott-Heron, musicista e compositore, è tra quei poeti che più di tutti ha
incorporato rap, blues, jazz e soul music nella sua
poetica, facendola muovere con il ritmo del beat contemporaneo. Le sue esplosive
performance live, e il suo interesse spassionato per il jazz e il
funk lo hanno avvicinato sempre di più verso il mondo dell'hip-hop,
tant'è che artisti come Michael Franti e Speech degli Arrested
Development si sono avvalsi della sua collaborazione o hanno spesso usato suoi
testi nelle loro registrazioni.
Ancora da ricordare sono
la poetessa Nikki Giovanni che ha raggiunto la popolarità con l'album
Truth Is On Its Way del
1971,
dove declama versi accompagnata da musica gospel, e Haki Madhubuti,
col suo esplosivo e profetico stile rap, che è stato uno dei poeti più imitati
dai giovani artisti.
Per sottolineare l'importanza
ed il valore della performance poetica a cui è arrivata la poesia afro-americana,
si considerino allora anche le parole di un poeta come Alvin Aubert
(Lutcher,
LA, 1930),
che, nonostante si sia ispirato raramente alla musica, concepisce la poesia come
qualcosa che deve essere in grado di "perform itself on the page"
[20].
Ras Baraka, Kevin
Powell, Jabari Asim e Esther Iverem, ponendosi
nell'orbita del Black Arts Movement e nella tradizione della lotta artistica,
ideologica e politica, parlano della costruzione di una Hip-Hop Nation.
Al termine del XX secolo
un senso di rinnovamento percorre la cultura afro-americana, tant'è che c'è qualcuno
che parla addirittura di "Third Reinassance".
Nel
1994
i maggiori poeti e scrittori afro-americani
si sono incontrati alla Furios Flower Conference tenutasi alla James Madison
University in Virginia per leggere, discutere e celebrare la poetica afro-americana.
La conferenza, dedicata a Gwendolin Brooks, ha riunito tre generazioni di
poeti, simboleggiando la continuità dell'espressione poetica afro-americana e dando
segnali per le nuove tendenze. Furios Flower è divenuta una metafora per
esprimere 250 anni di storia dell'estetica afro-americana, fatta di richiami all'umanità
e ricerca della bellezza attraverso la magia e la musicalità del linguaggio.
[1]
- F. Douglass, The Life and the Narrarive of F.Douglass, an American Slave. Written
by Himself, Anti-Slavery Office, Boston, 1845.
[2] - Molti di questi autori furono anche leaders del movimento abolizionista,
come Frederick Douglass.
[3] -"...in molti casi i neri che si sono trovati nella posizione di perseguire
qualche arte, specialmente la letteratura, sono stati membri della classe media,
un gruppo che è sempre andato oltre il suo modo di coltivare mediocrità, dal momento
che quella mediocrità dava la garanzia di dimostrare all'America, e recentemente
a tutto il mondo, che essi non erano esattamente quello che erano, dei negri)…"
Amiri Baraka, "The Myth of a Negro Literature" (1960), in Within the Circle:
An Anthology of African American Literary Criticism from the Harlem Renaissance
to the Present, a cura di Angelyn Mitchell, Duke UP, 1994. (Traduzione
mia).
[4] - jive
talk, dirty dozens, toast, ecc…
[5]
- Alain Locke, The new Negro: An Interpretation, Simon and Schuster, N.Y.,
1925, e The Negro and His Music (1936), Kennikat, Port Washington , 1968.
[6] - la ‘g' posta tra parentesi
è provocatoria perché lascia al lettore la scelta se pronunciarla (come in inglese
letterario) o se eliderla, facendo un suono più gutturale sulla ‘n' finale,
alla maniera del dialetto negro.
[7] - Henry Louis Gates, Jr, "The Signifying
Monkey: A Theory of Afro-American Literary Criticism" (1988), in, Black Literature
and Literacy Theory, Metheun, N.Y. & London, 1990.
[8] - Prefazione al Book of American
Negro Spirituals (1926). Primo antologista di un certo spessore, J.W.Johnson
si chiede nella prefazione perché i milioni di neri degli Stati Uniti ancora non
abbiano dato un Coleridge o un Puskin, trovandone la causa nello spreco di energie
intellettuali da parte dei neri nel grande sforzo che essi devono compiere per acquisire
una coscienza di razza.
[9] - Musicato dal fratello Rosamond
Johnson con il quale scrisse più di duecento canzoni per musical di Broadway.
[10] - Stefania Piccinato, Testo
e Contesto nella Poesia di Langston Hughes, Bulzoni, Roma, 1979.
[11] - "Mi meraviglio ancora di fronte
a questa strana cosa: fare un poeta nero e costringerlo a cantare", Countee Cullen,
"Yet do I marvel", in Color, Harper & Bros., New York, 1925.
[12] - L. Hughes, The Negro Artist
and the Racial Mountain, pubb. su The Nation, 23/6/1926.
[13] - Impersonato dal personaggio
di Trueblood.
[14] - John Coltrane (sassofonista),
Albert Ayler (pianista), Sonny Rollins (sassofonista), Archie Shepp (sassofonista),
Miles Davis (trombettista). [15] -
I Black Studies furono inseriti nei programmi delle Università nere.
[16] - Il Free Jazz dagli anni
'50 agli anni '70 sviluppò delle complesse relazioni con la cultura americana in
genere. Il "movimento" agiva secondo idee di rigetto della cultura ufficiale, riscrittura
della tradizione e riattivazione della Black Soul
[17] - Leroy Jones, Blues
People, op.cit. Un altro saggio fondamentale scritto da Jones (Baraka) per lo
sviluppo del pensiero e della critica sociologica della musica nera è appunto
Black Music, W. Morrow, New York, 1967.
[18] - Stephen Henderson, Understanding
the New Black Poetry, New York, 1973.
[19] - "La musica è l'arte
che invidio di più…i musicisti sono un tutt'uno con le loro culture ed il loro
subconscio storico. Sto cercando di arrivare al punto in cui già è la musica nera;
arrivare al quel senso di collettiva e unicizzante consapevolezza di sé." Alice
Walker, In Search of Our Mother's Gardens, Harcourt Brace Jovanovich, San
Diego, CA, 1983. (Trad. mia).
[20] - A.Aubert, Afro-American Poets
since the 60's, in Literature and the Visual Arts in Contemporary Society, Columbus,
Ohio, 1985.
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Data pubblicazione: 07/12/2002
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