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Intervista a Francesco Angiuli
di Alceste Ayroldi

Francesco Angiuli è un contrabbassista pugliese che vanta, nonostante la giovane età (appena 23 anni), numerose collaborazioni importanti soprattutto in ambito jazz, ma anche nella musica pop e leggera.

Seppur di estrazione classica, la continua ricerca lo ha fatto approdare anche ad esperienze musicali piuttosto diverse, anche vicine a contaminazioni...ardite.

I n continuo fermento, ha in "cantiere" diversi progetti di particolare importanza.

A.A.: Francesco, ti sei accostato alla musica in tenera età: chi o cosa ti hanno avvicinato alla musica jazz?
F.A.: Fortunatamente in casa c'è stato sempre un notevole interesse per la musica (mio padre fra l'altro si diletta a suonare piano, chitarra e fisarmonica). In particolare ricordo le lezioni di piano che riceveva mio fratello maggiore a casa, che sono state per me di grosso stimolo tanto che, appena l'insegnante andava via, cercavo di riprodurre ad orecchio quello che avevo sentito fino a qualche attimo prima…avevo all'incirca quattro anni. Questa mia curiosità spinse i miei genitori a farmi studiare dapprima l'oboe (tentativo del tutto fallito) e successivamente il pianoforte, strumento che mi ha portato a frequentare il locale Conservatorio. Il mio incontro col jazz, invece, è avvenuto intorno ai quindici anni in seguito all'acquisto quasi casuale di un disco che mi ha letteralmente "illuminato": World of Mouth di Jaco Pastorius, che ancora oggi annovero fra i miei riferimenti.

A.A.: Come è nata la tua passione per il contrabbasso?
F.A.: É stata come per molti una naturale conseguenza: ho cominciato col basso elettrico. Nel periodo del liceo ero richiestissimo nei gruppi rock, pop, blues della mia zona. Questo mi è servito tanto perché ho accumulato una notevole esperienza dal vivo, e soprattutto perché suonavo con gente molto più grande d'età, che mi incitava a insistere. Quando, intorno ai 16 anni, ho avvertito l'esigenza di fare le cose sul serio, ho scelto di reiscrivermi al Conservatorio nella classe di contrabbasso, nonostante il mio interesse prioritario restasse il basso elettrico. Nel corso degli anni, ho radicalmente cambiato questa ordine di priorità dopo essermi reso conto delle ben più ampie possibilità che lo strumento acustico fornisce rispetto a quello elettrico.

A.A.: Se tu dovessi definire la tua tecnica ti potresti riferire a qualche contrabbassista in particolare?
F.A.: Amo particolarmente due contrabbassisti dalle qualità del tutto diverse fra loro: Charlie Haden, che mi ha influenzato tantissimo sin dall'inizio, specie per la robustezza del suono, unico ed inimitabile…ma è comunque riduttivo parlare di lui solo in qualità di strumentista. L'altro grande riferimento resta senza alcun dubbio Dave Holland: suona con una facilità impressionante ed è il più cerebrale di tutti; non finisce mai di stupirmi! Oltre a questi due mostri sacri mi viene subito in mente Gary Peacock, del quale apprezzo tanto "il continuo rischiare"; adoro pure l'interplay di Marc Johnson e di Eddie Gomez, gli indiscutibili Vitous e Mraz, lo svedese Anders Jormin, ma anche gli avanguardisti Peter Kowald e Barry Guy.

A.A.: Facciamo il tipico terribile gioco di associazione parole-contrabbassisti! Dimmi una parola o una breve frase che ti viene in mente per ognuno di questi grandi trombettisti…ovviamente l'elenco potrebbe essere sterminato…se vuoi, aggiungine tu qualcuno…Scott LaFaro...
F.A.: ...il primo vero virtuoso dello strumento in ambito jazz.

A.A.: Ron Carter
F.A.: gran feeling.

A.A.: Charles Mingus
F.A.: uno dei compositori massimi novecenteschi, oltre che portentoso bassista.

A.A.: Jimmy Garrison
F.A.: energia pura.

A.A.: Charlie Haden
F.A.: deep!! Un Maestro. Si dice che "nessuno è indispensabile, tranne lui".

A.A.: Dave Holland
F.A.: un grande intellettuale.

A.A.: John Patitucci
F.A.: splendido suono, timing pazzesco….un talento divino. Ho avuto modo di studiare con lui e ne ho apprezzato anche le qualità umane.

A.A.: Miroslav Vitous
F.A.: una contabilità favolosa, tecnica impressionante. È il mio preferito nell'uso dell'arco (vedi il live con Corea Trio live music: uno fra i miei cinque dischi preferiti).

A.A.: George Mraz;
F.A.: eccellente conoscitore del linguaggio bee bop, ma capace anche di suonare in stile molto moderno (vedi nei lavori con Jerry Bergonzi): uno dei miei preferiti!

A.A.: Steve Swallow
F.A.: favoloso! É difficile riuscire a fare apprezzare un basso elettrico nel jazz: lui c'è riuscito in pieno!

A.A.: Jaco Pastorius
F.A.: semplicemente una leggenda!

A.A.: Pensi che il modo di suonare il contrabbasso si sia evoluto o è fermo ad un particolare periodo storico?
F.A.: L'evoluzione è continua! Sicuramente dal dixieland ad oggi ci sono stati dei voli pindarici riguardo all'aspetto tecnico; forse ci sarebbe ancora tanto da scavare sull'aspetto timbrico: Joelle Leandre insegna!

A.A.: Hai collaborato con moltissimi nomi della musica "leggera", come i Pooh, Lucio Dalla, Renzo Arbore, Antonella Ruggero. In generale, quali differenze hai riscontrato tra il mondo del jazz e quello della musica leggera?
F.A.: Sono state esperienze sporadiche soprattutto legate alle produzioni televisive con cui ho lavorato come orchestrale. Se devo essere sincero, al di là del "prestigio" derivato dall'aver suonato insieme a delle star, non ho tratto nessun grande insegnamento da queste collaborazioni. Nel jazz il musicista è continuamente stimolato a mettersi in discussione rischiando e cercando di metter a nudo la propria personalità, cosa che non accade affatto nella musica leggera. Questa, ovviamente, è un'opinione strettamente personale.

A.A.: Vuoi parlarci di questo particolare progetto"vegetable G Project"? Pensi che l'elettronica e la musica jazz possano convivere?
F.A.: Vegetable G Progect nasce dalla voglia di unire la computer music al suono acustico. É un progetto ideato dal compositore elettronico Giorgio Spada, che ha portato alla realizzazione di un disco per l'etichetta barese "Minus habens" con distribuzione EMI. Hanno preso parte al progetto, oltre a me, anche altri musicisti di jazz come il trombettista Giorgio Distante e il violinista Leo Gadaleta. L'elettronica e la musica jazz possono sicuramente convivere! Sono fermamente convinto che la direzione da percorrere se si vuole fare evolvere questo linguaggio sia proprio questa.

A.A.: Ritieni che il jazz d'oltre oceano abbia esaurito la sua vena creativa?
F.A.: Assolutamente no! Mi viene in mente un esempio su tutti: Dave Binney; ho visto un suo concerto in quartetto ultimamente con tre giovanissimi partners: davvero notevole! Altri esempi illustri possono essere: Dave Douglas, Chris Potter, Kenny Wheeler, Steve Nelson, Tim Berne, Greg Osby e tanti altri.

A.A.: A quale artista, non necessariamente un musicista, ti ispiri?
F.A.: I miei riferimenti culturali vanno da Herman Hesse a Bach, passando per Mingus e Dovstoeskij.

A.A.: A chi vorresti dire grazie?
F.A.:
Sicuramente ai miei Maestri: dai noti Massimo Moriconi e Luca Pirozzi al mio splendido insegnante di Conservatorio Michele Cellaro: essi, tutti, mi hanno insegnato soprattutto a vivere la musica nel migliore dei modi, ossia con relax. Ringrazio inoltre l'illustre Gianni Lenoci, che mi ha coinvolto sin da subito in ogni suo progetto permettendomi di crescere notevolmente. Una menzione particolare va alla mia ragazza, Sarah, fonte di continua e preziosa ispirazione.

A.A.: Quali argomenti sosterresti se tu dovessi cercare di avvicinare un giovane alla musica jazz?
F.A.:
Da sempre mi batto per questa causa: spingere le fasce di miei coetanei all'ascolto di questo genere, il che non è sicuramente cosa facile. Purtroppo la scarsa presenza nella nostra zona di spazi adeguati alla musica dal vivo non aiuta di certo a far aumentare le file dei giovani "jazzofili". Spesso ascoltare, ma soprattutto guardare un live o una jam session può essere decisivo per far suscitare la scintilla, come è del resto successo per me. Vorrei far capire loro, soprattutto, che jazz è una parola per dire libertà, una scuola di vita.

A.A.: Quali sono i tuoi progetti futuri?
F.A.:
Attualmente sono molto intento nello studio del repertorio contrabbassistico classico e contemporaneo. Ovviamente continuo il mio approfondimento della tradizione jazzistica mediante lo studio del piano. Tra le prossime incisioni ce ne è in programma una col quintetto "Aux quatre vents" guidato dal sassofonista Felice Mezzina, che vede la presenza del famoso batterista romano Ettore Fioravanti. Inoltre in gennaio inciderò al fianco del pianista Gianni Lenoci un disco in trio dedicato alla memoria del grande Mal Waldron. Nel contempo continua la mia collaborazione con l'ensamble "Canto General", che ha al suo interno nomi illustri del jazz nazionale come Pino Minafra, Roberto Ottaviano, Nicola Pisani e Vitttorino Curci, che mi vedrà impegnato in numerose rassegne con la presenza eccezionale di nomi come Keith Tippet e Julie Tippets e Louis Moholo. Programmata ma non certa è la realizzazione in trio, con il batterista Marcello Magliocchi, di un tour con Evan Parker previsto per il prossimo inverno.

A.A.: Con chi ti piacerebbe suonare "domani"?
F.A.:
Nutro una particolare ammirazione per Paul Bley; sarebbe davvero un sogno poterci suonare insieme e…non ti nego che la cosa è nell'aria.








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Data pubblicazione: 22/12/2004

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