Intervista a Simone Faliva
agosto 2019
di Gianni Montano
Simone Faliva è un artista di difficile catalogazione. I suoi
dischi, già dai titoli, non promettono niente di rassicurante. Si va da "Il quinto
chicco del melograno" a "Trapani-Pechino", da "Non disperdere nell'ambiente" all'ultimo,
enigmatico "Anamnesi di un suono caucasico". La sua musica è altrettanto ricca di
significati e di stranezze, non certo adatta a chi ascolta proposte tranquille e
non perturbanti.
Ricercatore appassionato e attento, docente stimato, basa il suo percorso euristico
su un lavoro di mixaggio di idiomi e di stili diversi perlomeno eccentrico, un'eccentricità
non esibita, però. Lo abbiamo intervistato in concomitanza con la Biennale di Venezia,
in cui è fra i protagonisti con una performance, al solito, di sicuro impatto visivo
e uditivo.
Come arrivi alla Biennale di Venezia e cosa proponi in
quella sede?
Sono arrivato alla biennale con l'inizio dell'insegnamento al Conservatorio "Benedetto
Marcello" di Venezia e propongo l'istallazione di un brano acusmatico per pianoforte
voce e nastro.
Puoi spiegare nei dettagli come si svolge la tua performance
? Tu sarai presente per tutta la durata della manifestazione?
La performance è eseguita su un canovaccio musicale scritto da me
senza alcun segno agogico interpretativo. L'interpretazione è lasciata interamente
agli esecutori del brano, secondo la tradizione jazz o meglio ancora secondo
la tradizione della musica antica. All'interprete spetta la libertà di scelta degli
idiomi da utilizzare, per personalizzare nella massima libertà la performance;
si io sono presente alle esecuzioni in rispettoso ascolto e devota curiosità.
Questa pratica l'ho totalmente acquisita dall'improvvisazione jazz.
Come descriveresti la tua musica?
La definirei di ricerca, dal risultato affascinante e curioso, piena di continue
citazioni e innovazioni.
Nel corso del tuo excursus artistico
noto una preferenza progressiva verso il disco pensato e realizzato da solo. Credi
di poter dialogare con altri musicisti?
Certamente! La condivisione musicale rimane sempre un mio cruccio e un mio divertimento,
ma per quanto riguarda la ricerca preferisco lavorare da solo, per concentrarmi
maggiormente nel suono prodotto da vari strumentisti e nell'elaborazione del timbro
che parte dalla scelta dei microfoni che curo sempre personalmente, nel rispetto
dello strumento che riprendo.
Quali sono i musicisti a cui ti senti più vicino? A quali
devi qualcosa?
Mi sento di essere vicino come scrittura musicale alla letteratura italiana del
‘900: Luigi Nono, Bruno Maderna ma soprattutto Luigi Russolo, la Musique concrète
di Pierre Schaeffer (1948) e il minimalismo melodico dell'ultimo Miles Davis (1970).
Mi sento di dover qualcosa a colui che iniziò il percorso compositivo modulare che
oggi giorno viene usato regolarmente nel comporre: Ludwig van Beethoven (1807).
Non avremmo mai pensato che la tua musica si rifacesse
in qualche modo a Beethoven e a Miles Davis, personaggi apparentemente molto lontani
uno dall'altro, puoi illustrare il concetto in modo più approfondito?
A Beethoven mi sento di dovere musicalmente la costruzione delle forme musicali,
l'uso dei silenzi, l'uso sapiente delle dinamiche. A Davis l'equilibrio dei sensi
melodici nelle frasi musicali, il saper utilizzare gli ostinati come rumorosi silenzi,
il mantenimento dell'equilibrio tra strumenti disparati, la creazione continua di
groove; devo a entrambi l'intenzionalità nel creare un mood personale.
Ascoltando la tua musica viene a mente quella di Alvin
Curran. Invece non lo nomini neppure fra gli artisti influenti sulla tua formazione.
Non lo conosci abbastanza oppure lavorate proprio su binari paralleli?
Non conosco questo artista né la sua ricerca. Influenti nella mia formazione sono
stati tutti gli artisti del rock sperimentale degli anni 70 quali: Area,
Banco del mutuo soccorso, PFM, Jethro Tull, Deep Purple e altri artisti con i quali
ho avuto la fortuna di interfacciarmi sopra un palco, per esempio Brian Auger. Ciò
che ha sempre accomunato il rock, il jazz, la musica antica, la musica
classica o la contemporanea è stata la curiosità di approfondire i vari linguaggi
musicali…
Il tuo ultimo disco come i precedenti ha un titolo surreale,
prossimo al non sense. Come ti vengono certi accostamenti e fanno parte loro stessi
della tua idea di musica, come sorpresa o spiazzamento?
Tutto parte dalla considerazione che la musica non è un linguaggio codificato, quindi
i titoli provengono da esperienze personali che mi appunto su un taccuino, quando
percepisco possano essere un modo di trasmissione di una sensazione qualunque. Nessun
legame con la musica, solo l'avvicinamento di esperienze di vita quotidiana nel
periodo di scrittura di un disco! Per esempio il tanto discusso "tutta colpa
del peperone" (2017) si può capire solo se si guarda pragmaticamente la sensazione
che viene intesa nel titolo! Tutto il resto è metafora.
Uno degli aggettivi che si usano per descrivere la tua
musica è proprio "sorprendente" E. E' questa una delle chiavi di lettura della tua
estetica musicale?
Premetto che l'uso di questi aggettivi quali sorprendente, visionaria, devastante,
disarmante e via dicendo, nel descrivere la mia musica mi lusinga e mi rende soddisfatto,
perché ritengo che qualunque essa sia, sono riuscito ad emozionare, dalla piacevolezza
al disgusto. Sì sorprendente è una buona chiave di lettura della mia intera opera.
Sei ricercatore, compositore ma anche insegnante. Quali
osmosi si verificano ( se si verificano) fra il ruolo di musicista e quello di docente?
Hai individuato, inoltre, dei continuatori del tuo percorso di indagine e scoperta?
Da quando ho iniziato ad insegnare nel 2014 non ho mai smesso di ricercare per approfondire
l'insegnamento sia dal punto di vista didattico che dal punto di vista dei contenuti
che mi trovo a insegnare. Penso che approfondire la conoscenza, ricercando nel profondo
i contenuti della musica, sia un'ottima strada per la didattica oltre che un grande
divertimento musicale. L'insegnamento lo vivo personalmente come occasione di ricerca
e approfondimento musicale. Non vedo continuatori nella mia ricerca bensì collaboratori
che non disdegno mai di apprezzare.
Si potrebbe dire che il tuo ultimo cd "Anamnesi di
un suono caucasico" è il più "rumoristico" fra quelli che hai inciso. E' pieno di
"cornici elettroniche uniformi e aggressivamente anti-melodiche" se mi permetti
la definizione un po' tagliata con l'accetta. E il segno di una svolta o ci saranno
ripensamenti e ritorni indietro a qualcosa di meno ostico ( all'ascolto), senza
per questo voler assegnare negatività al termine "ostico"?
Questo disco nasce con l'intento di portare a conclusione una ricerca che perseguo
da qualche anno, alla domanda: cosa ha caratterizzato e accomunato tutta la musica
dello scorso secolo, dalla musica sinfonica al rock degli anni ‘70? Ebbene,
ho individuato nella registrazione magnetica, nata nel 1895 e morta nel 1995, il
filo rosso che lega tutto un secolo che io ho battezzato ‘campionamento magnetico',
in onore di ciò che è successo dopo il 1995! Per coronare questa ricerca ho
inserito in un disco ciò che tutti hanno sempre ascoltato ma nessuno ha mai avuto
il coraggio di ammettere, i silenzi dei nastri (che equivarrebbero ai silenzi nelle
tracce dei dischi dal Revox B 36 del '52 allo Studer a 807 del '95), passando per
tutte le altre tracce nel disco che sono altri registratori; oggi tutti i miei dischi
passano per un Studer A80 per caratterizzare il suono con il timbro degli anni ‘70
che fra l'altro sento molto personale! Nei vari Conservatori ho tenuto delle
masterclass sul campionamento magnetico, non per essere antico nell'insegnamento
ma per non dimenticare questo suono, visto che oggigiorno il mercato insiste nell'emulare
i registratori di una volta, proponendo delle rappresentazioni digitali dallo scarso
risultato…Quindi, l'intenzione di questo disco era registrare il silenzio sotto
un altro punto di vista per continuare il lavoro iniziato da John Cage con il brano
4:33 nel '52. Nei prossimi dischi perseguirò un altro tipo di ricerca, cioè l'unione
del suono elettronico con la voce e il suono percussivo.
Non ci resta che programmare una trasferta a Venezia per assistere dal vivo a questa
esibizione, sicuramente unica nel suo genere, e a continuare a seguire con interesse
le nuove tappe del percorso creativo di un musicista che non finirà mai di stupirci.
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Data pubblicazione: 16/08/2019
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