C'era un valido motivo se il concerto presentato al
Teatro Manzoni si presentava con il titolo "Diaspora Blues": la comunanza tra le tribolazioni del popolo ebraico e di quello africano, vittime entrambi di un costrittivo e tragico esodo nel mondo. Ed è per lo più con la musica, ed in particolare con il canto, che l'identità dei due popoli si è mantenuta integra nel corso degli anni: da un lato con il canto sacro ed il klezmer, dall'altro con il blues ed i gospel, i due popoli hanno saputo mantenere una integrità culturale e di tradizioni pur integrandosi (non senza momenti storici drammatici) nelle società in cui erano costretti a vivere.
E
Steven Bernstein ha saputo cogliere quest'elemento di vicinanza tra le due culture, ha saputo rileggerlo come un punto di incontro (già perché tradizione ebraica ed espressione afroamericana si sono più volte mischiati in un ibrido fruttuoso). Così la prima parte del concerto, i primi tre brani presentati, avevano un forte sapore eclettico, con impasti timbrici notevoli, vista la ridotta formazione: i musicisti hanno fatto del polistrumentismo un valore aggiunto (soprattutto per il batterista
Anthony Cole che ha sorpreso, non solo per la sua maestria nel suo strumento principale, ma anche per l'ottima capacità di utilizzo del pianoforte e del sassofono tenore, strumento quest'ultimo che non capita spesso di vedere nelle mani di un batterista). Di certo la presenza di un maestro come Sam Rivers (da qualche settimana ottantenne) ha facilitato il gruppo nel gestire i vari momenti musicali, nel saper sfruttare le possibilità offerte da variegate sonorità.
Rivers si è esibito anche al piano solo, per una lunga introduzione ad un brano da un andamento a tratti melodico, a tratti dissonante, con vaghi richiami al free-jazz; quando poi Rivers è passato al flauto traverso la musica si è spostata ancora verso un'altra zona del mondo, toccando l'america latina e la bossa nova. A questo punto i ritmi si sono fatti più funky, mentre Bernstein e Rivers hanno continuato a spremere le loro conoscenze per creare una musica la più possibile eclettica: si è passati da spinti vagamente boppistici (come il tema del settimo brano) ad un utilizzo sapiente dell'esperienza free, toccando il blues e il klezmer.
Un concerto di non facile ascolto, di una proposta interessante ma certamente talmente ricca di indicazioni da poter risultare fuorviante: la maestria ed il grande senso musicale dei quattro ha saputo essere un valido collante consentendo al pubblico di poter godere dell'unità di intenti che accomuna le più variegate espressioni musicali: la comunicatività tra autore/esecutore e pubblico.
Una menzione particolare la merita anche il fedele pubblico che ha riempito, nonostante tutto, il teatro: una domenica di pioggia e la confusione generata dall'evacuazione per il disinnesco di un ordigno bellico ritrovato (con il conseguente stop della metropolitana e dell'attività della Stazione Centrale), rischiavano di rovinare la calda atmosfera che è d'abitudine al
Teatro Manzoni.
Il 7 Dicembre sul palcoscenico si esibirà il ritrovato Henry Grimes
con il suo trio.