Se c'è un contraltista accreditato come continuatore del verbo che fu di Charlie Parker, quegli è certamente Phil Woods. Basta ascoltarlo. Non si pretende certo di affermare che
si tratta di un "Parker redivivo", anzi, tutt'altro: potrebbe e dovrebbe essere
considerato come una sorta di "anello mancante", rappresentativo di quello che
il contraltismo sarebbe diventato se l'amato Bird non avesse preso così
tragicamente – e prematuramente – il volo e avesse avuto il tempo di calarsi
nelle moderne sonorità che hanno percorso il jazz dalla sua scomparsa ad
oggi.
Ed è quanto Phil Woods ha fatto risaltare, con il dovuto rispetto, nel concerto "Bird with Strings and more…!" inserito nel cartellone Jazz Club di EtnaFest 2005, lo scorso 26 aprile al teatro Sangiorgi di Catania. Seduto su uno sgabello di legno, il suo concerto parte con l'inconfondibile incipit di orchestra prima e sax poi, tal quale si ritrova nella registrazione newyorkese del '49 di Just Friends, con la sola differenza che ai pizzichi dell'arpa, assente in organico, sopperisce lo svolazzante piano di Ben Aronov. E subito si desume la buona sintonia fra le parti, l'orchestra I Nuovi Cameristi ed il suo conduttore Giovanni Seminerio, la sezione ritmica del gruppo di Woods, e ovviamente il
corpulento sassofonista di Springfield, fra le cui mani il contralto sembra più
piccolo di quanto non sia: ma il suono è chiaro e brillante.
Sottilissimi i violini per Everything Happens To Me, pregnante comunicazione fra sax ed archi, di gran trasporto, e risoluzione in "arrampicata" del sassofonista, quindi April in Paris, ritratto di primavera a tinte pastello, trascinante, come trascinanti sono gli intercalari orchestrali, mentre Aronov svolge il proprio momento improvvisativo in block chords, con Woods che lo segue in silenzio scandendo i quarti con la destra, fino al proprio serpeggiante giro bop ed all'epilogo teso di violini e clarinetto.
Dopo aver presentato i vari musicisti che lo accompagnano, segnala i pezzi eseguiti, quindi un brano originale, Solitude, inserito nell'album
The thrill is gone del 2003, di non semplice lettura per l'ascoltatore. Più diretto invece You go to my head, brano a firma Coots/Gillespie tratto dallo stesso cd, dove il sax diviene a tratti possente, con attacchi che si impongono su tutta l'orchestra, suono preciso anche negli staccati, per divenire quasi ballabile e quindi "boppeggiare" in un vivido assolo, forse il più fantasioso della serata: molle – glissati compresi – adagiato sul tempo beguine architettato dall'intera sezione da leggìo. Chiude il primo set un pezzo costruito sulla falsa riga di All Blues e lasciato all'estemporaneità dei solisti, incluso il direttore Seminerio con il suo violino, in un continuo dialogo fra il quartetto woodsiano e l'ensemble orchestrale.
Il concerto riprende con Woods che stacca («one, two, you know what to do») e lancia una Yardbird suite che più bop non si può, con scattante profluvio di note imbastite sulla linea motivica, mettendo l'ascoltatore in condizione di seguirne godibilmente i passaggi. Poco volume, invece, nell'intervento – pure incisivo – del piano, cristallino, in tono con lo spirito del brano e sospinto in modo rettilineo dal pulsare della batteria del vivacissimo ma composto Douglas Sides. Quindi il borbottante inserimento del contrabbasso del danese Jesper Lundgaard, che in alcuni frangenti indugia anch'esso sulle frasi del celebre capolavoro parkeriano, con un'articolazione swingante che entusiasma i presenti.
A ruota, gli spazi di quattro battute lasciati alla batteria, che poi divengono due ad interloquire con sax e piano e quindi, velocissimi, addirittura di una sola misura. Basta un pugno alzato con disinvoltura dall'indiscusso catalizzatore della serata per ricondurre tutto al tema. E la platea applaude con convinzione.
Si procede con una (lunga) serie di soft ballads, languida e strascicata l'apertura di I'll remember April avviata dall'orchestra, come languida è anche la voce del contralto che nelle note più gravi recupera lo spessore che gli stridori degli acuti, invece, assottigliano. Woods esplora le possibilità diatoniche del brano, poderoso nella fase di raccordo, creativo nella riproposizione dell'ultimo chorus tematico. Chiusura con corno inglese che denota una particolare cura dei colori nell'orchestrazione, perfino nelle sfumature. Easy to love, direttamente presa a prestito dall'incisione di Bird: dopo una intensa intro pianistica, l'orchestra punteggia l'armonia del noto brano di Cole Porter, in ritmo dondolante, quasi una samba. Si arriccia il sax di Woods fra le composite triadi dipanate dall'orchestra, contrappuntandone le progressioni con alterazioni di passaggio. E ancora lento e malinconico è il mood di And when we were young, composta e dedicata da Woods a due grandi del contrabbasso recentemente scomparsi, Ray Brown e Jimmy Woode: lirico il saxalto, ben affiatata l'orchestra, anche nelle coloriture dinamiche, a raggiungere un
pathos che viene sottolineato dal piano, solo insieme alla sezione ritmica. Siparietto caudale in salsa sudamericana, a smuovere finalmente l'andamento, sopra la quale scivola brioso ancora il sax.
In debito di fiato, il sassofonista lascia il palco al proprio trio che su un brano presentato come Buzz the Wuzz, evidenzia una volta di più lo splendido interplay esistente fra i tre.
Quindi If I should lose you, ancora una ballad in stile bop e dai curatissimi colori espressivi in orchestra, con oboe e flauti in prima linea, cui risponde lo scivoloso guizzo di Woods, breve ma intenso, e a seguire la suadente The nearness of you, con coda vibratissima.
Avviandosi il concerto a conclusione, non poteva non passare attraverso Repetition, brano che – narra la leggenda – assume tale nome a dispetto del fatto che sia stato registrato in "first take" da Charlie Parker: e la grande lezione parkeriana si materializza nelle legatissime e vorticose scale di abbellimento di Woods, su uno strepitoso fraseggio solistico che lascia l'uditorio senza fiato. Ed anche il finale riesce corale, con combinazione fra la batteria, vari scambi tra i fiati – leader compreso – all'unisono ed in alternanza.
Il bis è un raffinato pezzo che sembra uscito da un musical anni '50, con qualche momento di tensione comunque egregiamente superato. Ed infatti i presenti non vogliono saperne di andar via e Woods, che ringrazia sentitamente, riprende in mano lo strumento ed improvvisa una Besame Mucho cui partecipano i vari solisti, fra i quali spicca il clarinettista Domenico Gaglio, a fianco del direttore
Seminara, il cui violino ora si tinge di accenti tzigani molto puntuali e coinvolgenti.
Ma il congedo definitivo si ha quando costretto ancora una volta a tornare in pedana, causa gli scroscianti applausi, Woods si mette al piano e, attorniato dagli archi, esegue Surrender (Torna a Surriento), appagando finalmente il soddisfatto pubblico.