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Johnny O'Neal Trio
Bologna - Cantina Bentivoglio - 18 novembre 2015
di Niccolò Lucarelli

Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015
Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015Johnny O'Neal Trio - Bologna Jazz Festival 2015
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Johnny O'neal - pianoforte e voce
Luke Sellick - contrabbasso
Charles Goold - batteria

Il jazz è luce, donne eleganti, atmosfere suffuse, trasgressione, ordine e disordine, è un'ideale città sonora che si scopre puttana con un certo compiacimento, la stessa anima della New York fra gli anni Venti e gli anni Quaranta, la cui vita notturna si concentrava a Broadway, incastonata come un diamante fra l'Hudson e il Greenwich Village fucina di scrittori, poeti e musicisti. A questa New York rende omaggio il raffinato jazz di Johnny O'Neal, pianista in residenza allo Smokes e allo Smalls, i due jazz club per intenditori della scena newyorkese, al di fuori dei circuiti per turisti.
A Bologna, fra le antiche volte della Cantina Bentivoglio, regala agli appassionati atmosfere pianistiche fra lo swing e il bebop, che si surriscalda con incursioni nel 3/4 sul registro acuto, e si fa dolce e sognante negli omaggi agli standard della tradizione (Sinatra), con incursioni nella musica latinoamericana. Ne scaturisce un jazz vecchia maniera, che ha il tratto dandistico di Hemingway e Scott Fitzgerald, a tratti pensoso e crepuscolare, a tratti invece solare, che invita alla complicità davanti a un buon bicchiere di whisky. Un jazz che racconta storia di vita vissuta, fra sbronze occasionali e relazioni sentimentali languide e appassionate, quasi una pagina del Grande Gatsby o dei racconti di Djuna Barnes. Lei, in particolare, compare per tramite di Paprika Johnson, sorella spuria della protagonista di Wine drinked woman, impreziosita da un "solo piano" che ha il sapore struggente di un'autobiografia: ai fraseggi in 3/4 di una gioventù scapigliata, alterna lunghi, meditati passaggi d'intensa lentezza, metafora dell'equilibrio raggiunto nella maturità. Un modo di suonare che non è soltanto tecnica pianistica, ma anche e soprattutto un continuo metterci l'anima, un raccontare sé stesso con l'onestà intellettuale di chi ama il proprio mestiere.



E sull'ideale scia di Balzac, O'Neal ci regala una commedia umana americana a tempo di jazz, passando per When somebody loves you, un classico di Frank Sinatra, che O'Neal rilegge con la sua calda voce afroamericana, che incorpora un sottile velo di triste romanticismo. Un brano lento che evoca l'Hudson inargentato dalla luna, e una storia d'amore vissuta fra i grattacieli. New York romantica, uno dei suoi lati meno conosciuti, ma non per questo meno veri, un romanticismo "sopra le righe", com'è nello stile americano. O'Neal avvolge la sua voce in note di pianoforte che sono gocce di rugiada mattutina, tanto sono cristalline nel suono, mentre batteria e contrabbasso accompagnano con delicatezza.

Splendida incursione nel cuore degli USA più lirico, con Sally Brown, del cubano Laurel Aitken, un brano ispirato all'omonimo personaggio creato da Charles Monroe Schulz. Una batteria sorniona, un contrabbasso discreto, e un pianoforte che la sa lunga, a voler concretizzare in metafora sonore le dissertazioni sociologiche in forma di fumetto dell'autore di Minneapolis, e a costruire l'impalcatura di un jazz a metà fra il viveur e il letterario.

Atmosfere latineggianti nella rilettura di With you I'm born again, che O'Neal dedica a tutto il pubblico presente nel club, e interpretata nel 1979 da Billy Preston (già pianista dei Rolling Stones), e Syreeta Wright. Aperta da un romantico pianoforte - accompagnato da un contrabbasso suonato con l'archetto -, che a passaggi lenti alterna scale virtuosistiche che donano corpo e solennità al brano, ha una seconda parte che scivola in un cadenzato swing con la batteria che strizza l'occhio alla Bossa Nova, e Sellick lascia l'archetto per pizzicare lo strumento con energia.

O'Neal e soci regalano un'incursione nella New York intellettuale; Sellick suona il contrabbasso con carattere, tanto da farlo sembrare la declamazione delle poesie più arrabbiate di Allen Ginsberg; batteria e pianoforte inseriscono accenti "in levare", con la prima che insiste in particolare sul charleston e il rullante, con il piatto ride scandito in ottavi e sedicesimi. Quasi tutte le parti centrali dei brani sono caratterizzate da intensi "crescendo", che conferiscono loro un'atmosfera di solido jazz urbano, dove la batteria domina incontrastata, incentrata su grancassa, tom tom e percussioni.

Un concerto intimo, come si addice a un club, che ha il carattere di una serata fra amici, e che dopo il bis scatena un'ovazione d'applausi.







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Data pubblicazione: 29/11/2015

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