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Bennie Maupin Quartet
Ferrara - Torrione Jazz Club - 21 novembre 2015
di Niccolò Lucarelli



Bennie Maupin - clarinetto basso, sax alto e sax soprano, flauto
Michal Tokaj - pianoforte
Michal Baransky - contrabbasso
Lukas Zyta - batteria

Il jazz di Maupin è un libro aperto su una varietà di culture e suggestioni, oscillando dalle radici afroamericane al free, dal bebop all'hard bop, e avvolge con naturalezza l'affascinante sala d'architettura quattrocentesca del Torrione Jazz Club, da quasi vent'anni un punto fermo della scena jazzistica italiana.
 


Maupin e soci regalano un concerto diviso in due sessioni, entrambe ricche di virtuosismi e divagazioni, che riassumono la vocazione eclettica del sassofonista di Detroit. Con lui, tre sidemen di valore, non troppo conosciuti in Europa, ma che comunque il Vecchio Continente lo portano nel sangue. In particolare, l'origine est-europea di Tokaj emerge anche dal suo stile pianistico, dove evidenti sono le influenze di Chopin e della scuola ungherese, con cui accompagna i momenti introspettivi dei vari brani.

Aprono la serata, due composizioni originali di Maupin, Neophelia e Walter Bishop JR. In particolare, Neophelia vede Tokaj al pianoforte spendersi in lunghi passaggi dal romantico sapore Chopiniano, che sublimano il sax tribale di Maupin, suonato con un semplice soffio, così da evocare il fruscio del mare maiorchino, mentre un cadenzato contrabbasso su due note suggerisce il ritmo dei tamburi africani, irrobustito dai tom tom della batteria. Un'apertura che può essere letta come un omaggio alla cultura nera, e a Lee Morgan, talentuosa, commovente, tragica figura del jazz afroamericano fra gli anni Cinquanta e Settanta. In un certo senso, si tratta della continuazione dell'opera di Morgan. Sotto queste note, si scorge la dignità della Marcia di Selma, di Carlos e Smith nel '68, e di Nelson Mandela. Non c'è retorica nel jazz di Maupin, soltanto l'urgenza di rivendicare una cultura con i suoi diritti, di raccontarla nella sua solarità, nella sua quotidianità in un'America che riesce a essere migliore della sua occasionale cattiva fama. E la dolcezza, la sottile ironia con cui lo racconta, avvicinano la sua narrativa sonora alle pagine di Mark Twain, cantore colloquiale dell'America popolare, e osservatore delle relazioni sociali fra bianchi e neri.

Non mancano, tuttavia, in queste coinvolgenti sessioni free, le atmosfere calde e insieme cupe, da cui sono nati il blues di Robert Johnson, il jazz di Chicago e quello colto di New York. Le composizioni e gli arrangiamenti di Maupin danno vita a collage di estemporanea bellezza, alternando passaggi di hard bop (per chiarire che in fatto di jazz si fa sul serio), a divagazioni dixie delle quali s'incarica Tokaj al pianoforte, epigono, per l'occasione, di Jelly Roll Morton, mentre Maupin al sax, è ora pensoso, e ora volteggia come un calabrone disturbato, quasi sempre mantenendosi sul registro acuto.

L'esperienza maturata con Davis ai tempi di Bitches Brew si è radicata in Maupin con una certa profondità, e anche la serata ferrarese regala esaltanti momenti di jazz elettrico, con intensi ritmi progressive. Uno su tutti, quella Butterfly scritta con Herbie Hancock, aperta da un sax tremolante, che evoca il battito di una farfalla, appunto, che poi si fa sincopato, a richiamarne il volo. Tokaj e Baransky, che qui passano agli strumenti elettrici, sorreggono il brano con un vivace 3/4, con il pianoforte che dialoga con il sax a "chiamata e risposta", oppure sottolineandone alcuni passaggi. Suggestiva See the Positive, aperta da un lungo a solo di sax, cui segue un'energica batteria che scandisce un vorticoso hard bop in 4/4 di matrice coltrainiana.

Atmosfere non convenzionali, idealmente accostabili alle tele di Jean-Michel Basquiat; sia lui sia Maupin spingono al limite, in senso rispettivamente cromatico e sonoro, gli intervalli fra i colori e le note, realizzando composizioni che colpiscono come un pugno chi osserva o ascolta. Il jazz di Maupin, con le sue contaminazioni, è la metafora del meltin' pot americano, e ne racconta grandezze e miserie, con quella leggerezza che è propria solo dei grandi artisti.







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Data pubblicazione: 13/12/2015

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