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Barry Guy, Maya Homburger, Zlatko Kaucic
Without Borders
Jazzarium (2018)
1. Shadow Fragment
2. Footfalls I
3. Footfalls II
4. Celebration
5. Peace Piece
6. Footfalls III
7. The Seeker and the Search
8. Footfalls IV
9. Art
Barry Guy - contrabbasso Maya Homburger - violino barocco Zlatko Kaucic - percussion
Tre improvvisatori fra i più emblematici della scena europea
si confrontano in questo lavoro che riporta gli esiti di un concerto avvenuto in
Slovenia nel 2016. Non si tratta, in ogni caso, di un'esibizione di composizione
istantanea pura e semplice, senza nulla di preparato o di concordato in precedenza.
Il trio si muove, infatti, sulla struttura di brani già eseguiti in altre situazioni,
utilizzando le idee compositive come input stimolanti da far evolvere secondo l'estro
del momento.
Nell'album si contano quattro capitoli denominati "Footfalls", ovverosia "Passi",
come il titolo di un testo teatrale della durata di 15 minuti a firma di Samuel
Beckett. In queste tracce Barry Guy dispiega tutto il campionario della sua tecnica
eterodossa, passando da fasi in cui si esprime con un pizzicato quasi jazzistico,
a parentesi percorse da folate di sonorità sghembe, ottenute con un archetto che
sembra voler scavare dentro il contrabbasso o farne a fette le corde, tale è l'energia
impegnata nel tartassare creativamente lo strumento grave. Zlatko Kaucic risponde
al partner piazzando colpi sparsi o raccolti in grumi con le sue percussioni più
o meno omologate. Sì perché il batterista e non solo, come d'abitudine, batte su
qualsiasi cosa gli capiti a tiro e, in più, per l'occasione sfodera pure qualche
effetto timbrico con una cetra elettrica. L'impressione è che il musicista sloveno
sia sempre altrove, rispetto al basso, ma è un altrove voluto e solo apparente.
Tutti e due seguono una loro pista che va a intersecarsi mentalmente con quella
del compagno di viaggio.
Nei pezzi in cui è presente Maya Homburger si aprono squarci romantici appena accennati.
Sono bagliori inaspettati, però, in sequenze per il resto declinate verso la libertà
tonale e il rumorismo.
Conclude il disco una versione dotata di un lirismo severo di "Art" di
Steve Lacy.
In questo brano i tre ritornano a suonare secondo le regole codificate, dopo un
bel po' di licenze, più o meno poetiche.
L'album, ad ogni modo, rappresenta una buona opportunità per riconciliarsi con la
musica improvvisata, non quella buttata là a caso, come viene, all'impronta, bensì
quella progettata in qualche modo e messa in opera attraverso lo scambio di spunti,
di appigli, fra i performers, che prenda forma in divenire, sul momento, in sala
di registrazione o, come in questo caso, davanti al pubblico.
C'è, inoltre, un messaggio sociale dietro questo "Without borders", indirizzato
a difesa dei profughi e al dramma delle migrazioni.
In conclusione l'album non è certamente di facile ascolto, ma contiene musica di
sostanza, di un'avanguardia consapevole, capace di conquistare chi la sappia sentire
e sia privo di pregiudizi.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 12/08/2018
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