Wynton Marsalis
Come il jazz può cambiarti la vita
Feltrinelli Serie bianca, 2009, Pagine 168.
Più che un libro sul jazz, si tratta di un saggio del Wynton-pensiero.
Parliamo di un personaggio che è stato dichiarato dalla rivista Time uno
dei 25 personaggi più influenti d'America e che anche Life, per non essere
da meno, gli ha tributato un simile riconoscimento. Non è dunque peregrino leggere,
nero su bianco e di prima mano, le idee di questo influentissimo opinion maker.
Il nostro è anche l'unico musicista afroamericano ad aver vinto contemporaneamente
grammy per il jazz e per la classica e ad essersi aggiudicato il premio Pulitzer
con una opera musicale, Blood on the Fields, imperniata sulla storia della
schiavitù in America.
Le tesi di Wynton Marsalis hanno nel
passato suscitato notevoli polemiche. Il nostro si è distinto in una difesa oltranzista
della tradizione jazzistica che non ammette deviazioni o fughe in avanti e questo
ha fatto dire a molti (con qualche ragione) che così si vincola il jazz alla ripetizione
di un repertorio e di uno stile consolidato, mentre si chiude la porta alla libertà
di creare qualcosa di nuovo, magari radicalmente diverso. Esempi: non appena gli
è possibile osteggia l'avanguardia, (salva soltanto Coleman e Coltrane), maltratta
il Miles Davis del periodo funky–rock. Si appesantisce troppo nel definire
lo swing la musica da ballo nazionale americana, chiudendo così la porta alle big
bands più innovative. Per questi motivi il libro si può scindere in due parti: gustoso
quando racconta aneddoti inediti sui musicisti e sul loro mondo professionale, che
Marsalis naviga spavaldo dall'età di diciassette anni; pedante e stucchevole
quando in nome di un politicamente corretto incensa oltre modo l'America e cade
in facili luoghi comuni. Uno dei più succosi racconti di Marsalis tira in
ballo una sua giovanile jam con il vibrafonista Milt Jackson. Attaccano un
blues lentissimo e Wynton per impressionare pubblico e colleghi suona ultraveloce,
usa tutti i trucchi possibili e mette in piazza tutto il campionario. E' convinto
di aver fatto una buona figura, ma ogni speranza andò in frantumi quando Milt
mi chiese: Hai notato la differenza tra come suonavamo prima e dopo che salissi
tu?. Risposi: yeah, l'ho sentita.
Sai qual era la differenza?
Dimmela tu.
E' che tu non c'eri! (pag.67)
Dura lezione di vita e di jazz. Un altro ironico rimbrotto lo rimedia
dal sassofonista Charlie Rouse, per anni fiato nel quartetto di Thelonious
Monk. Wynton suona il suo solito assolo esagerato, pieno di note acute velocissime.
Alla fine ero un bagno di sudore; lui (Rouse, n.d.a) mi guardò e disse: "bene
questo dovrebbe averli messi a posto per un po'" (pag.113).
Come si nota da questi brevi passaggi il libro è ben scritto (grazie all'aiuto
di un coautore come Geoffrey Ward) e Marsalis sa anche ridere di se stesso.
Il jazz –scrive a più riprese Marsalis- è anche un modo di stare nel mondo e con
gli altri. Al cuore della sua "filosofia" ci sono l'unicità e il potenziale di ciascun
individuo, uniti però alla sua capacità di ascoltare gli altri e improvvisare insieme
a loro. Con competenza spiega cosa e come ascoltare. Mostra alcune delle idee centrali
del jazz. Qui si annidano le osservazioni più interessanti; ad esempio una bellissima
definizione di sezione ritmica:tre strumenti il cui solo compito è di far star
bene la musica (pag.40).
Ci sono belle pagine dedicate all'arte dell'improvvisazione e all'importanza
che ha il rapporto tra il singolo e il collettivo. Un concetto quello di individualità
che può però tramutarsi in individualismo, pericoloso ed egoistico, in una competizione
esasperata tra i musicisti che non aiuta l'arte ma la deprime. Ecco, leggendo il
libro si ha l'impressione che i temi toccati siano importanti, ma che la trattazione
semplicistica e declamatoria di Wynton, banalizzi un po' troppo.
Cito un esempio: il blues è malinconico, scrive Wynton, ma esprime costantemente
nel corso della storia una grande felicità di popolo. Troppo facile: sono ormai
tanti, completi e competenti gli studi sul blues che ne hanno messo in rilievo il
doppio linguaggio dei testi e la critica continua alle condizioni sociali ed esistenziali
in cui si trova a vivere il bluesman. La cosa strana è che poi Marsalis passa
pagine e pagine a parlare di come la discriminazione razziale abbia avuto un peso
enorme nella sua vita di adolescente del sud e ribadisce poi per altre innumerevoli
pagine che il jazz è una musica che non deve applicare in nessun modo una distinzione
in base al colore, in quanto arte nazionale americana. Temi che sanno di retrò per
la nostra sensibilità, dibattuti e superati ormai da decenni, anche se repetita
iuvant.
Un libro che può soddisfare chi vuole confrontarsi con un influente musicista
contemporaneo, in una musica dove i grandi si possono ascoltare ormai solamente
su disco.
Franco Bergoglio per Jazzitalia
28/11/2009 | Venezia Jazz Festival 2009: Ben Allison Quartet, Fabrizio Sotti trio, Giovanni Guidi Quartet, Wynton Marsalis e Jazz at Lincoln Center Orchestra, Richard Galliano All Star Band, Charles Lloyd Quartet, GNU Quartet, Trio Madeira Brasil, Paolo Conte e l'Orchestra Sinfonica di Venezia, diretta da Bruno Fontaine, Musica senza solfiti del Sigurt�-Casagrande Duo...(Giovanni Greto) |
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Data pubblicazione: 20/09/2009
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