Jazzitalia - Lezioni: Cinema e Jazz
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INDICE LEZIONI

Cinema e Jazz
Il Jazz-Movie
di Cinzia Villari

1.1 Il termine jazz-movie
I
ntorno agli anni ottanta un nuovo termine viene coniato: il jazz-movie, il jazz-film lo chiameremo noi, un qualcosa che non è un genere specifico, ma un fenomeno trasversale alla produzione audiovisiva dove la musica afro-americana, di cui il jazz è la massima espressione, mischiandosi in varie forme alle immagini in movimento del cinema creerà questo fenomeno.

Ci sono delle sorprendenti analogie che legano la storia della musica jazz e del cinema, anche se i punti di contatto sono stati spesso episodici o casuali. Sono due grandi fenomeni che in meno di cento anni hanno compiuto sul piano evolutivo un'accelerazione che non ha paragoni con le altre discipline, il cui cammino è apprezzabile su istanze molto più lunghe, stimate a secoli se non a millenni. Se il jazz ha percorso quanto la musica classica ha fatto in cinque secoli, il cinema ha addirittura percorso quasi mille anni di storia della pittura coniugandosi spesso al teatro e alla letteratura. Entrambe le arti nascono dalla sintesi di modelli diversi con i loro svariati codici espressivi, definendosi anche come arti collettive. Hanno saputo conciliare le pratiche basse con quelle alle della cultura, l'animo popolare, la crescita avanguardista, l'aspetto mediologico e sono stati influenzati e in parte hanno influenzato le principali svolte epocali di tutto il XX secolo.

Alan Crosland, il manifesto di "The Jazz Singer" e il personaggio protagonista Al JolsonQuando il "diabolico marchingegno" inventato dagli ormai famosi fratelli Lumière aveva già incominciato a creare i primi lungometraggi, in una vasta zona che ha il suo centro nella valle del basso Mississippi e il suo punto focale a New Orleans, nasce un nuovo tipo di musica, un incrocio tra ragtime, blues e fanfare europee che in seguito sarà chiamato jazz. E proprio con queste due nuove forme di espressione artistiche, Cinema e Jazz, che il Nuovo Continente riuscirà ad esprimere qualcosa di autonomo e originale rispetto all'ancora perdurante dominio culturale europeo: una propria identità culturale dopo quella già raggiunta, politica ed economica. E chissà forse non è solo un caso che il debutto del jazz sul grande schermo -anche se non legato a caratteristiche musicali precise- costituisce una pietra miliare nello sviluppo della cinematografia. Il 6 ottobre 1927 a New York, viene proiettato in anteprima assoluta The Jazz Singer (Il cantante di jazz) di Alan Crosland (New York, 10 ago1894 - Hollywood, 16 lug 1936), che è il primo film sonoro della storia del cinema. Il sistema VitaphoneLa pellicola ha una trama del tutto convenzionale riscattata in parte dal protagonista, il cantante bianco Al Jolson, ultimo dei grandi minstrels,[1] che col jazz ebbe molto poco a che fare e tanto meno in questo film. La pellicola, in realtà cantata e non ancora parlata - i dialoghi, infatti, apparivano ancora sotto forma di didascalia come nel poco precedente cinema muto - ripropone la vecchia parodia divertente e canzonatoria del jazzista nero, in un momento in cui per il perbenismo americano, Carlyle Blackwellil jazz della gente di colore è ancora una musica proibita ed immorale. Il film ebbe un tale successo di botteghino da salvare la Warner Bros dalla bancarotta e da imporre all'industria cinematografica il sistema vitaphone, vale a dire il sonoro inciso su disco.

Notiamo come già nel primo matrimonio tra jazz e cinema è la condizione culturale del nero americano ad uscirne perdente e adulterata. Un finto folclorismo nero, sarà il risultato della tendenza al compromesso e alla spettacolarizzazione che domina da sempre Hollywood e le sue iniziative.

1.2. Dagli anni Venti agli anni Quaranta.
N
el 1917 Il jazz appare sullo schermo del cinema, ancora muto, con il film The Good-for-Nothing di Carlyle Blackwell (New York, 20 gen 1884 - Miami, 17 giu 1955) in cui una breve apparizione dell'Original Dixieland Jass Band dà il via, in qualche modo, a questo fenomeno del jazz-movie.

Jean RenoirIl 1927, come abbiamo più su accennato, il film The Jazz Singer segna il debutto del sonoro e del jazz sul grande schermo. Ma è anche l'anno di un altro film Charleston di Jean Renoir (Montmartre, Parigi, Francia, 15 set 1894 - Beverly Hills, Hollywood, California, 12 feb 1979), King Vidorun mediometraggio sperimentale ancora muto, che manifesta però l'inizio di quei rapporti tra la filmografia d'autore, la musica afro-americana e il rapporto delle avanguardie europee e i miti americani.

Il 1929 è invece quello di un altro inizio, quello degli all negroes movies, sottogenere cinematografico che insieme ai race records [2] nella distribuzione discografica, ha creato prodotti destinati ad un pubblico quasi esclusivamente nero. A parte pochi casi, tra questi Halleluja! (Alleluja) di  King Vidor (Galveston, Texas, 8 feb 1894 - Paso Robles, California, 1 nov 1982), 1929, un resoconto forte e disperato sugli spirituals a metà tra il documentario e la narrazione, interpretato interamente da attori di colore, Verdi pascoli di William Keighley (Philadelphia, Pennsylvania, 4 ago 1889 - New York, 24 giu 1984) e Mark Connely (McKeesport, Pensilvania, 1890 - New York 1980), del 1935 o Stormy Weather di Andrew L. Stone (Oakland, California, 16 lug 1902 - 9 giu 1999) del 1943 e in particolare Cabin in the Sky (Due cuori in cielo) di Vincente Minnelli (Chicago, Illinois, 28 feb 1903 - Beverly Hills, California, 25 lug 1986) del 1943, un musical sull'aspetto folk della chiesa nera con l'importante partecipazione di jazzisti famosi, il resto di questo nuovo sottogenere si presenta di livello piuttosto mediocre. Assieme al già citato Alleluia, quest'ultimo film -esordio alla regia di Minnelli- sarà l'omaggio più serio e tenero che il cinema dei bianchi aveva fatto fino ad allora al mondo dei neri.

John Murray Anderson Courtesy of the Centre for Newfoundland Studies Archives, Memorial University of Newfoundland, St. John's, Newfoundland.Del 1930 è The King of jazz (Il re del jazz) di John Murray Anderson (St. John's, Newfoundland, Canada, 20 set 1886 - New York, 30 gen 1954), uno dei primi technicolor hollywoodiani interpretato dal compositore Paul WhitemanPaul Witheman (Denver, 28 mar 1890 - Doylestown, 29 dic 1967) e dalla sua orchestra. I veri momenti jazzistici sono brevissimi mentre tutto il resto è composto da una serie di balletti, gags e trovate completamente estranei al jazz. Ecco nascere allora quella confusione tra il vero jazz e tutto quello che si definisce tale, che si è protratta nel tempo e che ancora oggi stenta a scomparire.

Non dobbiamo dimenticare che il cinema sonoro su larga scala inizia nel 1929 e coincide con la crisi economica che, negli anni a seguire, vedrà la maggior parte dei locali chiudere. Di conseguenza molti musicisti si ritroveranno costretti a cambiare mestiere; molti artisti di colore in quegli anni lavorano nel circuito TOBA, [3] ma con la crisi, questi teatri dovettero rinunciare a presentare attori, cantanti e musicisti in carne e ossa, creando un altissimo livello di disoccupazione. Nel 1929 i teatri erano ancora 80, nel 1932 quasi tutti erano stati trasformati in cinematografi. Il cinema però non occupava tutta l'offerta e nella scelta dei suoi protagonisti, selezionava naturalmente gli artisti bianchi.

Il genere forte della cinematografia degli anni tra il Trenta e il Quaranta è rappresentato dal musical. Il musical è un genere cinematografico tipicamente americano, di derivazione teatrale, nasce dallo spettacolo, di cui fonde vari generi e sottogeneri (vaudeville, burlesque, farsa, comico, musica, danza e commedia). E' l'espressione di una poetica di evasione, che si sviluppa nell'idea del sogno americano.[4] Ed è qui che in varie forme il jazz riesce ad esprimersi al meglio. Sono gli anni dello swing e lo swing non è altro che jazz, il cui ritmo è stato reso più fluido, più disinvolto e flessibile, più ballabile. Nella maggior parte dei casi, in realtà dopo il crollo di Wall Street, Roosevelt era riuscito a risanare un'America che ora si sentiva forte giovane ed ottimista. Cosa, meglio di un cinema e di una musica scacciapensieri, può raccontare il desiderio di divertirsi e allontanare i dolorosi anni trascorsi? Ma a parte qualche eccezione, il jazz presente sullo schermo è quasi sempre bianco, affettato e commerciale.

Benché gli anni Venti fossero stati definiti gli anni del jazz, di questo periodo la letteratura e il cinema non diedero quasi mai un'immagine appropriata. Il vero jazz si suonava nei quartieri bassi di Harlem e Chicago e bisogna sottolineare che le vere radici del jazz-movie di quel periodo, le troviamo in una serie di corto e mediometraggi. Infatti, se il jazz-film in lungometraggio è in un certo senso un fenomeno quantitativamente esiguo, è vero anche che la maggior parte dei contributi cinematografici al jazz, arrivano da questi piccoli girati. La funzione dei corto degli anni Trenta-Quaranta era quella di intervallare come riempitivo, i programmi delle sale cinematografiche tra un lungometraggio e un notiziario. Consistevano in una serie di brevi interventi di solisti, orchestre o cantanti di successo, ripresi in studio, durante la performance. Bessie SmithTalvolta ai musicisti si sovrapponevano attori o ballerini, con tanto di scenografia per creare una sorta di drammatizzazione aiutando un pezzo particolarmente coinvolgente dal punto di vista del contenuto. Le modeste sceneggiature erano spesso riscattate sul piano dello spettacolo e della regia. Ne vanno ricordati in particolare tre -tutti usciti nello stesso anno, il 1929- come modelli esemplari nell'integrare le immagini alla musica e viceversa. Si fanno ancora oggi apprezzare sia per l'innesto di soluzioni avanguardistiche -considerando che escono subito dopo la nascita del sonoro- sia per come è riconsiderato lo stereotipo razziale, sia come documento di artisti famosi. Il primo di questi è St. Louis Blues di Dudley Murphy (Winchester, Massachusetts, 10 lug 1897 - Mexico City, Mexico, 22 feb 1968) con l'unica apparizione sul grande schermo di Bessie Smith (Chattanooga, Tennessee, 15 apr 1894 – Memphis, Clarksdale, 26 set 1937) e il gruppo di James P. Johnson (New Brunswick, N.J., 1 feb 1894 - New York, 17 nov 1955), l'altro è Black and tan fantasy sempre di Dudley Murphy e sempre del 1929, con l'orchestra di Duke Ellington (Edward Kennedy "Duke" Ellington, Washington, D.C., 29 apr 1899 - 24 mag 1974) che rispetto al jazz-film precedente esternerà una maggiore libertà artistica. E infine Yamecraw di Murray Roth (New York, 12 nov 1893 - Hollywood, California, 17 feb 1938), molto antinaturalista ed espressionistico dal punto di vista del montaggio, delle luci, del posizionamento della m.d.p. e della scenografia, facendoci avvertire gli echi di quell'astrattismo europeo così vivo in quel momento.

Va inoltre menzionato Symphony in Black, di Fred Waller (Brooklyn, New York, 1886 - Huntington, Long Island, 18 mag 1954), del 1933 dove anche qui in un raffinato bianco e nero, si esibisce ancora una volta l'orchestra di Duke Ellington.

Una nota di Franco Fayenz, noto e stimabile critico musicale, tratta dal suo libro Il nuovo jazz degli anni quaranta del 1982 dice così:

«Sul piano storico, merita di essere ricordata la partecipazione di Lester [Young] alle riprese e alla colonna sonora di "Jamming' The Blues", un cortometraggio prodotto e supervisionato nel 1944 da Norman Granz e realizzato da Gjon Milj, un fotografo del settimanale Life. I rapporti tra il jazz e il cinema non sono stati finora molto felici, Lester Young, Jammin' the blues - Gjon Milisotto il profilo qualitativo, pur avendo, le due arti, tutte le carte in regola per fraternizzare. Fra i primi esempi di riuscita del jazz all'immagine filmica è appunto questo cortometraggio, impostato su un'alternanza, abile fino al virtuosismo, di fondali bianchi e neri e di ombre e di luci, che assieme alla musica, è capace di una profonda suggestione…». [5]

Sarà infatti il 1944 che metterà alla luce questo primo capolavoro jazz-filmico Jammin' the blues di Gjon Mili (Korçë, Albania, 1904 - USA, 1984)  prodotto dal grande discografico Norman Granz (Los Angeles, CA 6 ago 1918 - Geneva, Switzerland 22 nov 2001), un prototipo di reportage precursore e dell'attuale videoclip, che metterà in scena i grandi rappresentanti del jazz, nell'attimo vero del loro sforzo creativo. Nel film appaiono il tenor-sassofonista Lester Young (Woodville, Mississippi, 27 agosto 1909 - New York, 15 marzo 1959) e i grandi musicisti della Jazz At The Philarmonic. Questo corto vanta il maggior numero di recensioni entusiastiche e il primato della critica di jazz-film del secolo. Nonostante all'inizio del film la voce over annunci che sta per cominciare una jam-session, quella sorta d'improvvisazione collettiva che vede riuniti un gruppo di jazzman in un atto creativo, questo film, dal punto di vista figurativo è lontanissimo dal concetto di improvvisazione estemporanea. C'è dietro un'elaboratissima costruzione dell'immagine in rapporto alla spontaneità del suono. L'altra protagonista, oltre alla musica è la fotografia che con il suo bianco e nero rigorosissimo, offre poche sfumature intermedie ma lavora con perfezione sui netti chiaroscuri. L'aspetto inoltre interessante è l'occhio del regista sulla negritudine. Con grande intelligenza evita i luoghi comuni di quella teatralità greve e di quel folclorismo falso che all'epoca accentuava spesso un'idea razzista della realtà del mondo dei neri. Non dimentichiamo che siamo in un momento che vedrà esplodere a breve il concetto di jazz come arte. Siamo alle porte di quella rivoluzione che cambiando i connotati folclorico-popolari alla musica afro-americana, ne segnerà definitivamente il destino convertendola in arte.

Ma torniamo ai lungometraggi. Saranno molti in questi anni i musicisti -in realtà la maggior parte bianchi- che nella loro veste parteciperanno ai film o ne doppieranno comunque gli attori allo strumento. Uno di questi è New Orleans (La città del jazz) di Artur Lubin (Los Angeles, California, 25 lug 1898 - Glendale, California, 12 mag 1995) del 1946 con Louis Armstrong, Billie Holiday e Woody Herman. Questo film, se da un lato appare debole e pecca di faciloneria e schematismo, con grandi ipocrisie sul piano della credibilità sulle vicende dei due protagonisti, dall'altro è una pellicola importantissima nell'iter evolutivo del jazz-film. Innanzi tutto perché fino allora nessuno aveva raccontato attraverso il cinema la storia del jazz. Infatti, in seguito sull'argomento non vi si è più cimentato alcuno, si è preferito descrivere periodi limitati o i singoli protagonisti. Inoltre perché se per metà questo film sceglie la vicenda convenzionale con i pro e soprattutto i contro che in questa convergono, dall'altra utilizza Howard Hawks - A Song is Borni veri protagonisti del jazz, gli artisti che hanno vissuto in parte o completamente le storie raccontate. L'idea importante sta proprio in questa scelta di usare le jazz-star a metà strada tra i testimonial di sé stessi e le figure che recitano un copione da attori, superando con i canoni della fiction quell'idea di testimonianza documentaria che normalmente si ha quando si viene ripresi in veste di sé stessi.

Un altro film che va menzionato di questi anni è A Song is Born (Venere e il professore) di Howard Hawks (Goshen, Indiana, 30 mag 1896 - Palm Springs, California, 26 dic 1977) del 1946 che anche in Italia ebbe un notevole successo. Il film nel suo corpus presenta numerose stelle del mondo del jazz come Louis Armstrong, Benny Goodman, Tommy Dorsey, Lionel Hampton, Charlie Barnet, Mel Powell, Golden Gate Quartet e tanti altri che nel ruolo di sé stessi recitano cavandosela ottimamente. La pellicola è un remake di un film dello stesso regista, che l'aveva girato quattro anni prima con il titolo Ball of Fire (Colpo di fulmine, 1942) e che annoverava tra le sue stelle solo Gene Krupa e la sua orchestra. E' un'accattivante sophisticated comedy di cui Hawks è uno specialista, dove raffinati intrecci comici interagiscono con una trama di tipo giallo-rosa. E' una storia d'amore, di gangster e di un polveroso mondo accademico di cui sette studiosi del linguaggio musicale ne sono i protagonisti. Il jazz nel film diventa simbolo di gran vitalità. Attraverso i dischi per l'enciclopedia che nel film deve chiarire le origini e la sonorità di questa "strana" musica partirà la registrazione di una schematica storia del jazz per concludersi in un'apoteosi di jam-session finale. I musicisti porteranno nel luogo per antonomasia conservativo e tradizionalista, insieme allo swing e all'intera tradizione afro-americana, anche libertà di pensiero e d'azione contagiando positivamente gli altri personaggi. Inoltre questo film è importante nell'iter evolutivo del jazz-film perché inserisce l'argomento musica nella doppia struttura di genere, commedia e gangsterismo già molto ben collaudata dall'industria culturale americana.

The Faboulos Dorseys diretto da Alfred E. Green In generale gli anni Quaranta furono sicuramente molto prolifici per il jazz nel cinema hollywoodiano ma ancora lo vivranno come elemento di contorno o al massimo di ambientazione. Inoltre non bisogna perdere di vista che il jazz utilizzato nel il cinema è ancora molto diverso da quello che si sente nei locali dove si esibiscono quegli artisti che contemporaneamente stanno attuando una rivoluzione sia musicale che di costume.[6]

Ma intanto nel 1947, nel panorama hollywoodiano, accade un fatto nuovo: uscirà un film The Fabulous Dorseys diretto da Alfred E. Green (Perris, California, 11 lug 1889 - Hollywood, California, 4 set 1960), una biografia -chiaramente romanzata- di due famosi musicisti i fratelli Tommy (Shenandoah, Pennsylvania, 19 novembre 1905 - Greenwich Connecticut, 26 novembre 1956) e Jimmy Dorsey (Shenandoah, Pennsylvania, 29 febbraio 1904 - 12 giugno 1957) che furono gli unici musicisti a interpretare come protagonisti sé stessi. Tra i musicisti del film c'erano anche il grande pianista Art Tatum e il sassofonista Charlie Barnet. Come vedremo poi, negli anni Cinquanta sulla scia di questa biografia, molti film s'ispirarono alla vita di musicisti celebri anche se ad interpretare il ruolo del protagonista erano quasi sempre chiamati Minnie the moocher di Dave Fleischer, Betty Boop, Cab Callowaygrandi attori e non musicisti che interpretavano sé stessi come era accaduto nel caso dei Favolosi fratelli Dorsey.

Un altro mezzo di diffusione del jazz attraverso il cinema è quello dei cartoons. Negli anni Trenta e Quaranta questo genere di animazione americano vive la stagione più fertile della sua lunga storia, con i cortometraggi della Disney Productions, della MGM, della Universal e della Warner. Tra i piccoli film d'animazione di quel periodo, definiti tra l'altro jazz-toons o negroes-toons, ricordiamo Minnie the moocher di Dave Fleischer (New York, 14 lug 1894 - Woodland Hills, California, 25 giu 1979), 1932, dall'omonima canzone di Cab Calloway (Rochester, New York, 25 dic 1907 - Hockessin, Delaware, 18 nov 1994) con l'ormai conosciutissimo personaggio di Betty Boop o quelli con gli sfrenati personaggi zooformi impegnati nella parodia di Jazzmen neri come I love to singa di Tex Avery (Taylor, Texas, 26 feb 1908 - Burbank, California, 26 ago 1980) del 1936, Clean pastures di Friz Freleng (Kansas City, Missouri, 21 ago 1905 - Los Angeles, California, 26 mag 1995) del 1937, Scrub me mama with a boogie beat di Walter Lantz (New Rochelle, New York, 27 apr 1899 - Burbank, California, 22 March 1994) del 1941 e Coal Black and de Sebben Dwarfs di Robert Clampett (San Diego, California, 8 mag 1913 - Detroit, Michigan, 4 mag 1984) del 1942.

1.3. Gli anni Cinquanta.
E' finalmente in questi anni, che si può parlare di jazz-film come prodotto hollywoodiano dove il jazz diventa l'elemento essenziale per costruire nuove storie per il grande schermo. Il jazz, grazie al grande lavoro dei suoi artisti, non è più una forma di espressione di serie "z", ma è entrato a pieno diritto nel mondo delle arti. Nonostante questo le pellicole sull'argomento che riescono a non essere ipocrite, ridondanti o smielate, sono poche. Scontate happy-end, cronache romanzate e ricostruzioni mistificanti prevalgono quasi sempre sulle problematiche di tipo artistico, razziale, estetico e sociale. Quello che bisogna sottolineare, infatti, è che l'interesse di Hollywood per la musica nera è quasi esclusivamente di tipo commerciale: il jazz vende dischi ed è entrato a far parte della cultura popolare e americana e Hollywood non può lasciarsi sfuggire un fenomeno così fortemente generalizzato, allora lo fa suo, ma in maniera spesso stravolta, leggera e banale. Infatti non è il jazz in quanto tale che interessa l'industria cinematografica ma un qualcosa che sia il più possibile in armonia con le immagini e il gusto di produttori, registi e grande pubblico.

Otto Preminger, L'uomo dal braccio d'oro - Anatomia di un omicidioLe cose sembrano un po' cambiare verso la seconda metà degli anni Cinquanta, quando l'attenzione degli intellettuali americani, sembra spostarsi verso un jazz più moderno più in accordo con i temi politici e sociali del momento, anche se ancora sono privilegiati i musicisti bianchi a quelli neri.

Un posto particolare in questo senso spetta sicuramente a Otto Preminger (Vienna, 5 December 1906 - New York, 23 apr 1986)  che realizzato dei film in cui ha inserito il jazz sia come tematica che come score con delle splendide colonne sonore, cosa rara anche per la nascente Hollywood progressista. Tra i suoi film ricordiamo L'uomo dal braccio d'oro (1956) e il noto Anatomia di un omicidio (1959), un film giallo dove la musica diventa estensione della personalità del protagonista e con una colonna sonora originale firmata da Young Man with a Horn (Chimere) di Michael CurtizDuke Ellington in un equilibrato connubio tra jazz e cinema. Otto Preminger è anche ritenuto l'inventore del jazz-film opera, un incrocio tra il cinema, il melodramma e le tradizioni afro-americane.

E' in questo periodo che si sviluppano le biopic, le biografie che tendono a raccontare e a rendere in qualche modo, epici i grandi personaggi del balletto, della musica classica, dell'opera e anche del jazz, ora che è entrato a pieno titolo, come abbiamo gia detto, nella vita degli americani.

Ma a parte un paio di film diretti da cineasti di prim'ordine come Young Man with a Horn (Chimere) di Michael Curtiz (Budapest, Hungary, 24 December 1886 - Hollywood, California, 10 apr 1962) nel  1950, ispirato alla vita del jazzista bianco The Glenn Miller Story (La storia di Glenn Miller) di Anthony MannBix Beiderbecke (Davenport, 10 marzo 1903 - 6 agosto 1931), dove Kirk Douglas (Amsterdam, New York, 9 dic 1916) ne ricorda la mitica figura, oppure The Glenn Miller Story (La storia di Glenn Miller) di Anthony Mann (San Diego, California, 30 giu 1906 - Berlin, Germany, 29 apr 1967). del 1954 sulla vita e la band del grande leader, interpretato da James Stewart (Indiana, Pennsylvania, 20 mag1908 - Los Angeles, California, 2 lug 1997) le altre biopic non presentano, a parte qualche momento degno di attenzione, niente di particolarmente interessante dal punto di vista artistico. Vanno comunque ricordati, oltre al già citato I favolosi Dorsey (A.W. Green, 1947), The Five Pennies (I cinque penny) di Melville Shavelson (New York, 1 apr 1917) del 1959, che racconta la non facile vita del trombettista Red Nicholson. E' interessante notare come l'industria hollywoodiana tenda in generale a mistificare la realtà dandone una visione spesso distorta. Questo film ne da un piccolo assaggio: siamo, infatti, nel 1924 in un locale dove sta suonando il più grande trombettista e showman nero di quel momento, Louis Armstrong. Il protagonista ubriaco decide ad un certo punto della serata di alzarsi dal suo tavolo per esibirsi con la sua cornetta al fianco dell'artista. In una panoramica del locale, notiamo che tra il pubblico sono sedute due eleganti signore nere -due comparse naturalmente- che danno l'idea allo spettatore di una normale promiscuità tra la gente bianca e quella nera. In realtà in quegli anni, era assolutamente vietato per la gente di colore entrare in svariati ambienti frequentati dai bianchi, e soprattutto nei luoghi d'intrattenimento come i locali, figuriamoci a sorseggiare qualcosa e a godere della vista di un jazzman, che si esibisce in un locale alla moda.[7] Ricordiamo inoltre Pete Kelly's Blues (Tempo di furore) di Jack Webb (Santa Monica, California, 2 apr 1920 - West Hollywood, California, 23 dic 1982) del 1955 possibile biografia di uno degli innumerevoli capo orchestra nella Chicago degli anni Venti, The Benny Goodman Story (Il re del jazz) di Valentine Davies (New York, 25 August 1905 - Malibu, California, 23 lug 1961), 1955, La donna del gangster (The Strip) di Leslie "László" Kardos (Budapest, Hungary, 8 ott 1905 - Los Angeles, California, 11 apr 1962), 1951, pellicola importante in quanto sarà la prima ad inscenare una biografia immaginaria e che vede tra gli interpreti i musicisti Louis Armstrong, Jack Teagarden, Earl Hines, Barney Bigard e Cozy Cole e The Gene Krupa Story (Ritmo infernale) di Don Weis (Milwaukee, Wisconsin, 13 mag 1922 - Santa Fe, New Mexico, 25 lug 2000), 1959. In quest'ultimo film, come ne Il re del jazz, gli attori protagonisti sono stati scelti fra quelli che potevano avere una maggiore somiglianza con Gene Krupa e Benny Goodman, cui erano ispirati e allo stesso tempo i due jazzisti doppiavano i loro personaggi allo strumento.

Un'eccezione a quest'elenco è rappresentata da Saint Louis Blues (Allen Reisner, 1958) dove il protagonista è finalmente un jazzman nero. Ed è un'eccezione, in quanto, la cultura nera in questi anni vive una posizione ancora troppo subalterna, da un punto di vista sia politico sia sociale, per diventare protagonista della scena hollywoodiana. Dovremo, infatti, aspettare gli anni recenti per poter vedere film che raccontano la vita dei grandi artisti neri in tutta la loro grandezza, una grandezza devastata quotidianamente dalla consapevolezza di essere considerati, a livello sociale meno di niente, e da quello che ne poteva derivare da un punto di vista psicologico.

Fino a questo momento, infatti, la Hollywood che aveva parlato dei neri, era quella di cui abbiamo già accennato, quella degli all negros movies, un sottogenere di livello assolutamente mediocre per un pubblico esclusivamente nero.



Gli anni Cinquanta sono anche gli anni in cui il jazz si trasforma dal bebop al free jazz, trasformazione che segna un altro passaggio decisivo sia da un punto di vista artistico che sociale, ma Hollywood sembrava non interessarsene. Gli anni Cinquanta furono l'anticamera della protesta, della rivolta giovanile, della violenza e questa musica rappresentava tutto ciò, ma Hollywood sembrava coglierla solo nei suoi aspetti più superficiali tentando di purificare tutto quello che di male ne poteva derivare dal suo punto di vista e trasformandola sui suoi schermi come qualcosa di divertente, spensierato e lontano da quel dolore che irrompeva nei ghetti di quell'altra America, l'America della cultura sottomessa.

Il jazzista bianco no, non gode della stessa considerazione del suo collega nero. Il jazzista bianco riceverà gli onori di portare sul grande schermo quanto di più semplice e gradevole può offrire la cultura americana di quegli anni.

1.4. Gli anni Sessanta.
N
el mondo intellettuale, già alla fine degli anni Cinquanta, la musica afro-americana acquista la piena credibilità e per la prima volta nella storia del cinema, il jazz come colonna sonora di film non musicali va a sostituire le consuete partiture d'impronta tardo romantica e classicheggiante, tanto che molti jazzman e big band leaders si convertiranno alla musica da film con varie tipologie d'approccio al soundtrack cinematografico.

E' in questi anni che nascerà la tendenza di utilizzare il jazz come elemento musicale attivo creando così una stretta collaborazione fra regista e jazzman impegnati a costruire un'immagine audiovisiva nella doppia componente acustica e figurativa. Tendenza che nasce con gli indipendenti e l'undergroud americano e con la nouvelle vague francese e le avanguardie europee in genere. Come il musicista jazz reclama l'improvvisazione così il regista di questa nuova tendenza rifiuta la poesia controllata dall'organizzazione industriale. I giovani registi francesi sono attratti sia dalla libertà e dall'anticonformismo degli sviluppi del jazz, sia dei solisti locali e soprattutto di quelli d'oltreoceano. Molti di questi ultimi, infatti, in particolare i neri, sceglieranno di stabilirsi in Europa in quanto questa terra così diversa dalla loro li accoglierà come portatori di una grande voce artistica.

Ascenseur pour l'échafaud (Ascensore per il patibolo, 1957) di Louis MalleL'emblema del connubio tra jazz e nouvelle vague s'identifica nel film di Louis Malle (Thumeries, France, 30 ott 1932 - Beverly Hills, California, 23 nov 1995) Ascenseur pour l'échafaud (Ascensore per il patibolo, 1957). Alla fine degli anni Cinquanta, Malle si avvalse della colonna sonora di Miles Davis (Miles Dewey Davis III: Alton, 26 mag 1926 - Santa Monica, 28 set 1991) per il suo film, iniziativa che fu accolta con entusiasmo da molti suoi colleghi che, per il commento musicale delle loro pellicole, contattarono i musicisti anche tra gli artisti emergenti. In questo film la grande interpretazione di Miles Davis, Sait-on jamais? (Un colpo da due miliardi) di Roger Vadimche improvviserà il commento musicale sullo scorrimento delle immagini, farà raggiungere al film momenti così alti che forse anche a detta della critica, senza quella colonna sonora non avrebbe raggiunto. Pochissimo o niente era stato preordinato, si stabilì per ogni brano il tempo, il centro tonale e qualche elemento meritevole di venire evidenziato ciò che ne uscì fu un perfetto connubio tra azione filmica e commento musicale. Purtroppo come esempio del perfetto equilibrio tra jazz e cinema, questo film ne rappresenta l'eccezione e non la regola.

Non vanno dimenticati inoltre Sait-on jamais? (Un colpo da due miliardi) di Roger Vadim, 1957, con la colonna sonora di John Lewis (La Grange, Illinois, 3 mag 1920 - New York, 29 mar 2001)  eseguita dal Modern Jazz Quartet.

Le motivazioni degli indipendenti e del mondo underground cinematografico americano, sono più o meno le stesse dei colleghi europei, anche se però qui le collaborazioni tra sperimentatori del cinema e quelle della musica sono rare. Vanno però sottolineate le operazioni di John Cassavetes (New York, 9 dic 1929 - Los Angeles, California, 3 feb 1989) che con i suoi film Shadows (Ombre, 1960) ad esempio, usa un atteggiamento contestatario, esce dagli studios per portare in strada la m.d.p. e filmare realtà marginali attraverso un gioco d'improvvisazione con una sceneggiatura aperta e segnata dalla potente ritmica di Charlie Mingus o con vicende magari sentimentali ma raccontate con le asprezze dell'hard bop o del free più politicizzato. O del suo Too Late Blues (Blues di mezzanotte, 1962) rendendo il cinema newyorkese piuttosto politicizzato. In generale però negli anni Sessanta il jazz viene così esteso e generalizzato da diventare spesso mediocre e ripetitivo. In Italia ad esempio la musica afro-americana diventerà aprioristica e indiscriminata dando al matrimonio tra jazz e cinema un'immagine falsa e posticcia. Influenzerà anche la commedia all'italiana in alcuni casi però come quelli di L'audace colpo dei soliti ignoti di Nanni Loy (Cagliari, 23 ott 1925 - Fregene, 21 ago 1995), 1961, con la musica di Piero Umiliani (Firenze, 1926 - 14 feb 2001) o Smog di Franco Rossi (Firenze, 28 apr 1919  - 5 giu 2000), 1962, che con la musica dello stesso compositore e la magistrale tromba di Chet Baker, raggiungerà ottimi risultati.

Ma sarà il giovane cinema italiano di quegli anni a sperimentare più o meno interessanti connubi tra il cinema e il jazz, fondamentali da ricordare sono: Una storia milanese di Eriprando Visconti (1933 - Pavia, 26 mag 1995), 1962, con le musiche di John Lewis, La notte di Michelangelo Antonioni (Ferrara, 29 sett 1912), 1961, con le musiche di Giorgio Gaslini, Noi insistiamo di Gianni Amico (Loano, 27 dic 1933 - 2 nov 1990), 1964, una traduzione filmata del disco antirazzista il regista Gianni AmicoWe insist: freedom now suit di e con Max Roach (New Land, NC, 10 gen 1924), oppure, sempre dello stesso regista, Appunti per un film sul jazz (1965) un interessante reportage sul VII Festival del Jazz di Bologna e per tornare ai grandi film il Blow up (1967) di Antonioni dove oltre alle riprese del concerto blues-rock degli Yardbirds viene aggiunto dal maestro il soul psichedelico di Herbie Hancock per sottolineare l'euforia giovanile londinese. In Apollon, una fabbrica occupata (Ugo Gregoretti, 1968) lo stato d'animo degli operai in sciopero viene sottolineato dalla furiosa free-music di Mario Schiano. A Charlie Parker (Leo De Bernardinis, 1970) è un omaggio al grande sassofonista da parte di un teatro che, in scena, collabora spesso con i talenti del jazz. E, per concludere, la particolare idea di Pasolini (Bologna, 5 mar 1922 - Ostia, 2 nov 1975)  che nel suo Vangelo secondo Matteo (1964) affianca alla musica di Bach i negro-spirituals e in Appunti per un'Orestiade africana (1970) introduce la performance al Folkstudio di Gato Barbieri e di due cantanti che cercano di creare un oratorio jazzato, completando il pathos di una tragedia attualizzata.

1.5. Gli Anni Settanta.
Il clima di violenza caratterizza ormai la società americana. Tra le altre cose, il dislivello e l'incomunicabilità tra la popolazione bianca e quella nera, si è ampliato. Sommosse, morti, feriti e arrestati rappresentano il panorama di quel momento. Il dissenso crescente per il problema del Vietnam esasperava ancora di più lo spirito sia dei bianchi che dei neri, i quali vedevano dilapidate, in quella guerra, enormi risorse sia umane che economiche, che avrebbero potuto essere impiegate per un miglioramento delle condizioni di vita e nel caso dei neri anche del risanamento dei ghetti. Blues Brothers di John LandisL'assassinio di Martin Luther King nel 1968 con i tumulti che provocò in ben oltre settanta città americane e l'assassinio di Kennedy, un paio di mesi più tardi, diedero la sensazione al resto del mondo che le condizioni degli Stati Uniti fossero ad un punto di non ritorno. Nel frattempo i pari avvenimenti europei, esplosi in concomitanza del maggio parigino, diedero la chiara idea che il mondo stesse iniziando una nuova era.

I giovani si riconobbero per la prima volta come gruppo sociale in totale antagonismo con la classe degli adulti. Questa nuova visione della vita fu comunque assunta anche da molti intellettuali adulti stanchi del presente e desiderosi di un ribaltamento totale. Ballata in blu di Paul HenreidNacque quindi una controcultura, definitasi underground, perché soprattutto alle sue origini fu emarginata e sotterranea ma che confluì alla fine degli anni sessanta nel panorama delle organizzazioni radicali originando posizioni libertarie e tragiche di attacco al sistema. In questa nuova cultura la musica ha avuto fin dall'inizio un ruolo fondamentale, ma non il jazz, troppo difficile per essere amato dalle masse, ma la potente musica rock, miscela esplosiva di musica elettronica, musica folclorica, blues negro, in cui si ritrovarono intere generazioni di giovani. Hollywood naturalmente è attentissima a tutto ciò che avviene in questo quadro sociale e vedendo un calo d'interesse per il jazz film si prepara a sfornare prodotti giovanilistici creando dei veri e propri generi come L'ultimo tango a Parigi (Bernardo Bertolucci, 1972)il rock-film, la rock-opera, il rock'n'drama, film talvolta straordinari che presentano al loro interno grandi contaminazioni sul piano musicale di rock, blues jazz, soul, pop, coinvolgendo anche artisti. Vedi i vari Blues Brothers di John Landis (Chicago, Illinois, 3 ago 1950), 1980, o il precedente Ballata in blu di Paul Henreid (Trieste, 10 gen 1908 - Santa Monica, California, 29 mar 1992), 1965, con Ray Charles (Albany, Georgia, 23 set 1930 – Beverly Hills, California, 10 giu 2004).

La Stangata di George Roy HillCi sono anche dei film, soprattutto nella regia d'autore, che creano dei fenomeni rilevanti. E' il caso di pellicole che con colonne sonore d'alta qualità, s'impongono anche sul gusto musicale. Un leitmotiv incisivo e distinguibilissimo, guida spesso dal successo del film a quello della colonna sonora attraverso il disco. Un esempio è quello de L'ultimo tango a Parigi (Bernardo Bertolucci, 1972) con la struggente melodia creata da Gato Barbieri o il rag di Scott Joplin (1868 - 1917) per La Stangata di George Roy Hill (Minneapolis, Minnesota, 20 dic 1921 - New York, 27 dic 2002), 1973.

Todo Modo di Elio Petri Ci sono casi in cui, disaccordo tra regista e produttore, fa sì che una colonna sonora pronta, venga scartata e sostituita con un'altra come nel caso del film Chappaqua di Conrad Rooks (Kansas City, Missouri, 15 dic 1934), 1967, o del Todo Modo di Elio Petri (Roma, 29 gen 1929 - Roma, 10 nov 1982) del 1976, dove la musica di Charlie Mingus rimane solo nell'edizione americana. Queste colonne sonore sostituite, riescono, in alcuni casi fortunatamente, a vivere autonomamente nel mercato dei dischi.

Il jazz-film torna comunque, anche se sporadicamente, a parlare di musica jazz, leggende e personaggi afro-americani che anticiperanno la rinascita degli anni Ottanta. Un esempio è quello de La signora del blues [8] di Sidney J. Furie (Toronto, Canada, 28 February 1933), 1972, ispirato all'omonima autobiografia di Billie Holiday (Philadelphia, Pennsylvania 7 aprile 1915 - New York, 17 luglio 1959) opera legata all'idea delle vecchie biopic, oppure Heart beat di John Byrum (Winnetka, Illinois, 14 mar 1947), 1979, racconto autobiografico di Jack Kerouac (Lowell, Massachuttes, 12 mar 1922 - St. Petersburg, Florida, 21 ott 1969) che ritrae convenzionalmente hipsters e beatniks nell'immediato dopoguerra con il sostegno dello score del grande Art Pepper (Gardena, California, 1 set 1925 - Los Angeles, California, 15 giu 1982).

E' del 1977 la raffinata e precisa opera di Scorsese New York New York, che riporta perfettamente l'idea del jazzman bianco del dopoguerra, ed è forse il primo film che considera il jazz come il riflesso di una società con i suoi travagli storici ed esistenziali.

1.6. Dagli anni Ottanta a oggi
M
a è negli anni ottanta che il jazz-film diventa più compiuto, impegnato e consapevole. Con la scomparsa, infatti, di molti protagonisti della leggendaria scena jazzistica, il cinema e gli altri media cominciano a considerare Krystian Brodackiretrospettivamente il mondo musicale afro-americano come un contenitore di sollecitazioni artistiche culturali e di società, avvicinandosi all'argomento con più coscienza e meno errori e ridondanze del passato, con una grande competenza estetica e un maggiore approfondimento dello studio del materiale artistico-umano. E l'incremento dei jazzman nelle colonne sonore torna ad essere come negli anni Cinquanta-Sessanta sempre più considerevole anche se non sempre fondamentale nel rapporto musica- immagine.

E' sul terreno della fiction, grazie anche al rinnovamento dell'industria Hollywoodiana, che il jazz film esprime la sua pienezza artistica combinando agli interessi commerciali la qualità. E tutto questo non è un fenomeno esclusivamente americano, al contrario nell'Europa sia dell'est -già da prima del crollo dei muri- come in quella dell'ovest, avviene un importante lavoro di sviluppo e di reinterpretazione del concetto di jazz-film. Negli anni Ottanta tra l'altro, proprio in Polonia, nascerà l'unico festival specificatamente sull'argomento, il Jazz Film Salon diretto da Krystian Brodacki.

Altro fenomeno fondamentale è l'espansione della produzione documentaristica favorita anche dalla crescita del mercato delle videocassette. Alcuni documentari prodotti vengono addirittura ritenuti dei capolavori del jazz-film dalla critica sia musicale che cinematografica ed è il caso di citare almeno tre pellicole che oltre ad essere importanti strumenti di analisi, sono anche straordinari racconti di vita: Notes from a jazz survivor di Don McGlynn, del 1982 (autore anche dell'eccellente e successivo Glenn Miller: America's musical hero del 1992, Dexter Gordon: More Than You Know 1996, Charles Mingus: triumph of the underdog, 1998, Louis Prima: The Wildest!, 1999, The Legend of Teddy Edwards, 2000, The Howlin' Wolf Story, 2003) le confessioni davanti alla macchina da presa del grande Art Pepper, un'autobiografia dolorosa -anni di droga e carcere- limpida e innocente verso un riscatto sia morale che artistico, fino al grande concerto di rappacificazione con il pubblico e con sé stesso. Straight no chaser di Charlotte Zwerin (Detroit, Michigan, 15 ago 1931 - New York, 22 gen 2004), 1988, Chet Baker: Let's Get Lostrimontaggio di inediti filmati della tournèe di Thelonious Monk con l'aggiunta di commenti, backstage e di inserti di attualità a testimoniare la complessa personalità di questo artista toccata da dolorosi momenti tra la schizofrenia e il lirismo. La stessa Zwerin ha realizzato nel 1999 un altro lavoro dedicato a Ella Fitzgerald: Something To Live For. Bruce Weber (Greensburg, Pennsylvania, 29 March 1946)  è autore di Let's get lost del 1989 dove il protagonista questa volta è Chet Baker (Yale, Oklahoma, 23 dic 1929 - Amsterdam, 13 mag 1988) altra figura carismatica della storia del jazz e a ritrarlo è la mano del fotografo in un'attiva e incompiuta collaborazione con lo straordinario trombettista, a causa dell'improvvisa -e misteriosa per alcuni- morte di quest'ultimo. Materiali di repertorio, testimonianze di amici, compagne, familiari avvicinati a momenti di intensa autocoscienza, in una scelta di bianco e nero che ne sottolinea la drammaticità a volte e la poesia in altre. Oltre a questi tre capolavori vanno ricordati, anche se meriterebbero di più di una semplice citazione: Memorie of Duke (Gary Keyes, 1980), Imagine the sound (Ron Mann, 1981), The long night of Lady Day (1984), Ben Webster: The Brute and the Beautiful (1989) di John Jeremey, The Coltrane Legacy (Burrill Crohn, 1985), Saxophone Colossus (Robert Mugge, 1986), Sun Ra - The Magic Sun (Phill Niblock, 2000) e per finire la celebre trilogia di Frank Cassenti a metà fra il reportage e il film-concert che vede protagonisti celebri artisti come Michel Petrucciani (Lettre à Michel Petrucciani, 1983), Archie Shepp (I Am Jazz... It's My Life, 1984) e Sun Ra (Mystery, Mr. Ra, 1984).

Charlotte Zwerin - Straight no chaser - Ella Fitzgerald:Something to live for

Si elaborano inoltre, commistioni con altri linguaggi del campo della comunicazione e dello spettacolo, si ritorna ad improvvisare davanti alle immagini della pellicola che scorre come una sorta di ritorno alle origini quando all'epoca del muto si accompagnava, a suon di jazz, il film improvvisando con gli strumenti.

Ma è nell'area della fiction o racconto filmato che il jazz film trova il suo momento altamente espressivo. Negli Stati Uniti il jazz-film mette le radice nel cinema d'autore e con film come Cotton club (Francis Ford Coppola, 1984) dove si romanzano i fasti del mitico locale di Harlem degli anni Venti frequentato solo dai bianchi, dove si presentava il meglio dello spettacolo e della musica nera passando da Duke Ellington per arrivare alla spettacolarità di Cab Calloway; oppure alla grande opera di Clint Eastwood Bird (1988) la dolorosa biografia di una delle figure che contribuì alla svolta che portò al jazz moderno, quella di Charlie Parker appunto, soprannominato Bird, vista attraverso un'analisi d'introspezione psicologica del suo travaglio esistenziale.

Il successo di questo film ha tra l'altro aperto le porte ad un paio di altre opere sul grande musicista, una in realtà sempre dell'88 Bird now del belga Marc Huraux e un'altra del norvegese Jan Holan The Bird: Charlie Parker (1990) documentari in realtà, ma girati rispettivamente in stile cinematografico e televisivo. E, se negli anni Cinquanta erano sicuramente gli americani ad avere la meglio sulla creazione di questi prodotti, ora saranno gli europei a specializzarsi in questi settori. Un esempio è il film 'Round Midnight di Bertrand Tavernier del 1986 ambientato nella Parigi sul finire degli anni '50 e che vede Dexter Gordon tra i protagonisti con le musiche di Herbie Hancock.

Ma per non allontanarci troppo dagli Stati Uniti, vanno menzionate le regie di Woody Allen che sposano sempre colonne sonore jazz. Dal film Interiors (1978) ad oggi, in maniera variamente protagonista, il jazz è sempre presente. Spicca in genere uno swing anteriore al 1950, ma a volte possiamo trovare qualche accento di modernità.

Un'altra figura fondamentale americana, completamente diversa dal regista newyorkese ebreo, è quella è di Spike Lee (Atlanta, Georgia, 20 mar 1957). Egli ha contribuito fortemente allo sviluppo di una cinematografia nero-americana studiando quasi antropologicamente la cultura della gente di colore. Da She's Gotta Have it (1986) a Malcolm X (1993) più che parlare di jazz si esprime in jazz, con un modo jazzistico di vedere e fare il cinema. Figlio di in noto jazzista, Bill Lee, intercala spesso il sound raffinatamente jazz con l'hip-hop della strada e delle generazioni più all'avanguardia. Un film però, Mo' Better Blues (1990), mette sullo schermo la vita di un immaginario jazzista contemporaneo, in cui la critica sembra aver voluto vedere un personaggio somigliante al grande trombettista nero, Miles Davis, di cui non se n'era ancora realizzata una biografia in cinema. A questo proposito sarà il 2001 che vedrà realizzato l'ambizioso progetto di raccontare la vita del musicista-compositore, attraverso la regia di Mike Dibb, in un'opera dal titolo The Miles Davis Story, uscita in Italia solo di recente.




[1] Musicisti-attori girovaghi che nell'800 ebbero un ruolo di rilievo nella diffusione dello spettacolo negli Stati Uniti. Questi personaggi imitavano farsescamente il mondo negro e a tal fine si tingevano il volto di nero e parodiavano i canti afro-americani. Il successo fu tale che nel giro di qualche anno il "Negro boy" fu un numero d'obbligo nei circhi e nei teatri di varietà. Uno dei personaggi simbolo è Sambo, il nero infantile e tonto, servile e comicamente ossequioso nei confronti dei bianchi, che traduce in cliché, l'espressione di un pregiudizio razziale.

[2] I race records documentarono il miglior jazz e blues degli anni Venti. I primi dischi vennero incisi a New York nel febbraio del 1920 dalla cantante di blues classico Mamie Smith per l'etichetta «Okeh».

[3] Theatre Owners Booking Agency. Nato intorno al 1909, era un circuito di teatri per le comunità nere, in particolare del Sud, che offriva ai suoi scritturati trattamenti ingiusti e compensi di bassissimo livello. Nonostante questo il TOBA, arrivò a controllare più di ottanta teatri, procurando a numerosi artisti di colore un giro di lavoro abbastanza continuo per parecchi anni, contribuendo alla diffusione della musica nera in una larga zona che si estendeva fino al nord.

[4] Il musical è una sintesi di percorsi che vanno dalla commedia all'avventura con frequenti incursioni nella fiaba e che prevedono naturalmente l'Happy end. E‘ tecnicamente un genere complesso e spesso rigidamente codificato dalle case di produzione per le competenze e le esigenze tecnologiche. Nasce alle origini del sonoro e va via via affermandosi creando una vera epoca d'oro del musical, poiché il cinema proprio in questo genere fa il suo tirocinio nell'uso della m.d.p. che acquista gran mobilità e sperimenta nei movimenti le più varie angolazioni e novità che altri generi incoraggiavano meno. Negli anni Trenta con la Grande Depressione questo genere si sviluppa anche con evidenti scopi di consolazione e di evasione, ribadendo questa stessa poetica anche negli anni della guerra e del dopoguerra. Dalla fine degli anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta tra i titoli più indicativi se ne ricordano almeno 800. Dalla metà degli Cinquanta agli anni Sessanta si assiste alla crisi dei generi e in particolare del musical che perderà molte delle sue caratteristiche confondendosi con la commedia, il film biografico, il biopic, o percorrendo nuovi itinerari.

[5] Franco Fayenz, Il nuovo jazz degli anni '40, Roma, Lato Side Editori, 1982. Dalla nota 21 di pg.44.

[6] A questo proposito si veda nel secondo capitolo al paragrafo intitolato Il Bebop.

[7] A questo proposito vedi p. (paragrafo Bird).

[8] Da entrambe le sezioni di analisi dei film di questa tesi è stata esclusa la suddetta pellicola dedicata alla tormentata vita di Billie Holiday, rappresentate di altissimo livello del mondo del jazz, in quanto questo lavoro analizza solo le biografie dedicate agli strumentisti e non ai cantanti.






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COMMENTI
Inserito il 6/3/2010 alle 15.58.09 da "bertolienrica"
Commento:
perfetto !!!direi che è il massimo che si possa avere però vorrei ancora sapere, se possibile, quali di questi film sono rintracciabili sul mercato e come


grazie
 

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Data ultima modifica: 11/02/2008

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