Intervista a Filippo
Cosentino luglio 2018
di Marco Losavio
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Filippo, qual è il tuo background culturale
e artistico?
Ho studi classici e successivamente mi sono avvicinato alla musica blues, che ho
suonato per tanti anni, insieme al funk e al rock. Contemporaneamente ho avuto la
fortuna di essere nato in una famiglia che mi ha sempre fatto conoscere le melodie
e i ritmi delle proprie terre d'origine, Sicilia e Calabria. Ho poi studiato conseguendo
le lauree in Organizzazione ed economia dello spettacolo e successivamente in Musicologia,
infine mi sono laureato al Conservatorio G.B. Martini di Bologna sotto la guida
del M° Tomaso Lama, summa cum laude. Culturalmentesono quindi
molto legato alla melodia dell'Opera italiana, alle melodie popolari, alla musica
programmatica e al tempo stesso attratto dal linguaggio dell'improvvisazione e da
quello che può creare artisticamente l'empatia culturale e musicale fra le persone.
Da L'Astronauta ad Andromeda, cosa è cambiato nella musica
di Filippo Cosentino? "L'Astronauta" è stato un bel lavoro di cui sono tutt'ora soddisfatto ma
basato sulla composizione di brani più legati alla tradizione degli standard jazz;
ovvero mi ero concentrato molto sulla composizione dei temi attorno ai quali ruotavano
le improvvisazioni. Andromeda invece è per me il disco che avrei sempre voluto scrivere,
nel quale sono riuscito a incidere finalmente delle idee che avevo in mente da tanto
tempo ma su cui ancora sentivo la necessità di lavorare: sono tornato a pensare
a molteplici aspetti che contribuissero a dare ad ogni brano varietà e imprevedibilità:
su tutti "Soul" o a "Caught 22" ma anche "Dancing". In breve
ho lavorato molto alla composizione dei temi e all'interazione fra le parti cercando
di creare un disco che mi rappresentasse veramente e caratterizzato quindi dalla
pluralità dei linguaggi utilizzati e dalle atmosfere sonore differenti. "Andromeda"
è un disco che sono felice di aver scritto e inciso e ringrazio tantissimo la Nau
Records per avermi dato questa possibilità di andare in studio a registrare il materiale.
Qual è il filo rosso di Andromeda?
Melodia, imprevedibilità, suoni e atmosfere legate alla mia personale storia personale
e musicale.
Al tuo fianco una terna di musicisti europei. La tua musica
è più vicina al jazz europeo rispetto a quello statunitense?
Si, in studio sono stato affiancato dai musicisti Ekkehard Wölk, Johannes
Fink e Andrea Marcelli con cui ho condiviso alcune belle e importanti
esperienze nell'aerea berlinese, e che ringrazio per la disponibilità nell'incidere
questo disco con me. Ci siamo divertiti nel tempo passato in studio. Mi sento inevitabilmente
e anche per onestà intellettuale decisamente più vicino alla tradizione del jazz
europeo: nelle mie composizioni convergono musica classica, colori e suoni della
tradizione popolare, ritmi dell'area del Mediterraneo. L'improvvisazione è una componente
che in questo mio stile può esserci ma non è una necessità, come nel caso di Dancing
che ha un tema piuttosto classico al quale segue una parte di improvvisazione molto
aperta in dialogo fra pianoforte e chitarra con colori e atmosfere decisamente diverse,
oppure all'esatto opposto c'è La mia terra, unico brano del disco Andromeda dove
non è non è prevista. Il jazz europeo ha grandi Maestri, fra i miei preferiti
Garbarek,
Esbjörn
Svensson, Ulf Wakenius e, purtroppo deceduto in questi giorni,
il trombettista Tomasz Stanko.
Un progetto che è sicuramente più legato alla musica da
te composta, che non ai musicisti che ti accompagnano. Hai anche pensato a un'eventuale
sostituzione di strumenti?
Il bello della musica è che il contenuto può avere svariate forme, permettendoci
di imparare sempre qualcosa di nuovo dalle nostre stesse composizioni. Al tempo
stesso trovo affascinante e stimolante confrontarsi con il proprio repertorio con
varie modalità. Il disco l'ho presentato prima al Roero Music Fest con Marcelli,
Wölk e Carlo Chirio al basso, successivamente sono andato a Hong Kong
dove ho tenuto una serie di concerti con musicisti residenti ed chiuso il tour in
Asia con il concerto di Andromeda in chitarra baritona sola all'Istituto Italiano
di Cultura di Pechino. Ci sono comunque già molte altre date nel tour di presentazione
di Andromeda e alcuni di questi concerti saranno l'occasione per ascoltare il mio
lavoro arrangiato per quartetto d'archi o come a fine agosto a Vie di jazz a Boves
in chitarra sola, baritona e classica.
Un disco polistilistico, dalle diverse sfaccettature. Forse
questo è un elemento che ti caratterizza, musicalmente parlando.
Decisamente sì, il suono che voglio ottenere è qualcosa che c'è nella mia mente
sin dall'inizio della composizione ed è quindi ovvio pensare di utilizzare diversi
strumenti (nel mio caso chitarre) e/o stili a seconda di quello che si vuole dire
o raccontare.
La successione dei brani così come presenti nel disco,
sono una tua scelta? Quando inizi i concerti segui lo stesso andamento?
Sì, è una mia scelta, avevo pensato ad una scaletta alternativa ma questa mi convince
appieno. Dal vivo seguo la medesima scaletta, sono estremamente legato alla musica
programmatica quindi ogni composizione ha un preciso significato e anche l'ordine
dei brani.
Ci sono alcuni brani di Andromeda che hanno un'immediata
cantabilità. Hai pensato a metterci anche delle parole? Nel caso, cosa racconterebbero?
E' una domanda curiosa questa perché seppur facendo musica strumentale, sono molto
legato alla canzone d'autore italiana e non, sia per esperienze lavorative che per
ascolti. Penso ad esempio che sia l'ultima forma di poesia per musica rimasta. I
miei brani sono pensati in effetti come una storia, un racconto e sarebbe interessante
e ne sarei felice se ci fosse occasione di mettere delle parole sopra la mia musica.
La tua musica da dove trae spunto?
Dal quotidiano, dalle cose semplici e dalla mia famiglia.
Nelle tue composizioni quanto incide il fatto che le tue
radici mettono insieme, geograficamente parlando, tutta l'Italia?
Molto. Nonostante le difficoltà vissute nel far accettare la propria diversità,
è incalcolabile la fortuna che hanno le persone che possono avere contemporaneamente
due o tre modelli culturali con i quali confrontarsi. Per me questa è una delle
grandi esperienze fatte sino ad ora. Il jazz è la mia possibilità di far coesistere
elementi solo apparentemente differenti, disomogenei: andando a fondo gli elementi
di coesione sono tanti e creano legami indissolubili. Questa è una grande lezione
che ci dà la musica.
Sei particolarmente legato alla chitarra baritona, tant'è
che di recente è stato pubblicato anche un tuo metodo in proposito. Cosa ti attrae
in particolare?
E' uno strumento molto affascinante perché offre delle sonorità differenti, più
basse di una quarta o di una quinta a seconda di come la si accorda, se vogliamo
più intime a cui non siamo abituati con la chitarra tradizionale. Costringe a ripensare
il rapporto fra melodie e bassi e aumenta lo spettro delle possibilità offerte a
un chitarrista insegnandoci a confrontarci con suoni comuni anche ai bassisti. Nel
libro c'è una sezione dedicata all'accordatura che utilizzo io ovvero la Nashville
tuning, cara ai cantautori degli anni Sessanta e Settanta per rimanere in tema con
la domanda 8, grazie alla quale le due corde centrali della chitarra sono accordate
esattamente un'ottava sopra: di fatto rende questo la chitarra baritona accordata
cosi, uno strumento nuovo che necessita di uno studio dedicato. Ringrazio Volonté&Co.
per la pubblicazione e il confronto avuto durante l'ultima stesura del metodo. In
"Andromeda" ho usato la baritona in due brani e trovo affascinante il suono
creato insieme al pianoforte contrabbasso e chitarra baritona di "Andromeda"
e "Perseo".
Svolgi anche un'intensa attività didattica in tutto il
mondo. Qual è lo stato di salute della didattica jazzistica?
Il jazz è insieme un linguaggio e un repertorio comune ovunque, è un grande aggregatore
culturale capace di far dialogare culture diverse, differenti e lontane. La capacità
di penetrazione nella società e nell'anima delle persone di questa musica è imparagonabile
se pensiamo alla possibilità che offre a tutti noi di ripensare il nostro repertorio
tradizionale (intendo la musica popolare con i propri suoni e colori) con alcune
caratteristiche alla base di questo linguaggio musicale. Nelle mie esperienze di
didattica all'estero parlo sempre di questa possibilità. Gli studenti e appassionati
che ho incontrato in Italia e all'estero sino ad ora mi hanno comunicato una grande
curiosità verso elementi più gli elementi più diversi, da come deve essere affrontato
lo studio di un tema al significato dell'improvvisazione. Quello che c'è di bello
è che ovunque vada vedo sempre molta gioia nel far musica insieme e nella voglia
di migliorare grazie al confronto che questi studenti hanno.
E' il secondo lavoro discografico che ti vede legato alla
Nau Records. Qual è il valore aggiunto di questa label?
Un know-how messo a disposizione del musicista davvero importante, fatto di condivisione
del progetto in tutte le fasi. Ho grande stima verso questa etichetta e rispetto
per le possibilità offerte a me con questi ultimi lavori. Tutti i rapporti, di amicizia
e di lavoro, vanno coltivati ed è questo che mi piace in questi ultimi anni di collaborazione
con la Nau Records.
Sono passati quasi vent'anni dall'inizio del Terzo Millennio.
Dal punto di vista jazzistico (anche organizzativo, sociale, politico e culturale)
come li giudichi?
C'è sicuramente molto interesse verso questo settore e questo è un dato importante
da tenere a mente ma se da un lato gli eventi ben organizzati hanno una partecipazione
elevata, questi dati sono difficili da confermare quando si tratta di analizzare
quelli delle vendite dei dischi con quelle di altri settori. E anche questo è un
dato da tenere a mente con cui confrontarsi. Credo ci portiamo appresso ancora l'etichetta
di genere di nicchia, o forse non lo si vuole abbandonare. A livello organizzativo
credo si stiano facendo grandi passi avanti, a tendere mi auguro una maggiore professionalizzazione
delle figure che agiscono in questo settore per evitare sprechi economici, annullamenti
di concerto/eventi per cause prevedibili. Quello che mi piacerebbe è vedere un maggior
coraggio nelle scelte artistiche: in Italia abbiamo tantissimi bravi musicisti con
progetti veramente molto interessanti che spesso non trovano sempre facile la strada
della promozione di un proprio lavoro. In questo senso ad esempio abbiamo creato
con la associazione di cui faccio parte, Milleunanota Alba, un cartellone di eventi
nell'autunno denominato Jazz&Co. nel quale programmiamo compiendo spesso scelte
artistiche che a volte possono sembrare ardite: vedere poi la sala piena a questi
eventi ci fa capire come questa sia una strada altrettanto percorribile rispetto
ad altre programmazioni che abbiamo. Credo fermamente nel potere educativo che ha
l'arte, la musica. Lo stesso discorso vale per il mio centro didattico, Dragonfly
Studio ad Alba, nel quale ai giovani studenti facciamo incontrare musicisti italiani
e non per coltivare il dialogo e l'incontro fra culture, facciamo scoprire compositori
contemporanei senza dimenticare la nostra propria storia musicale che è inevitabilmente
legata alla tradizione classica, popolare ed oggi in dialogo con il repertorio jazzistico.
Personalmente mi ritengo fortunato ad avere la possibilità di suonare con costanza
il mio progetto artistico, farlo conoscere in Italia e all'estero e incontrare molto
pubblico interessato alla mia musica. Ma ogni cosa non esisterebbe senza un team
ben organizzato e un lavoro costante.
E, guardando nella tua sfera di cristallo, come saranno
i prossimi venti?
Ognuno di noi può essere importante per costruire un futuro sempre migliore nel
quale la condivisone di idee o e il dialogo fra le persone e le culture sia sempre
al centro della nostra vita. Dobbiamo ricordarci che la scuola e la famiglia sono
le principali agenzie formative nella nostra vita; nella prima mi auguro si possa
in futuro parlare sempre più di musica, della sua storia e dei tanti Maestri che
hanno scritto pagine di incomparabile bellezza; contemporaneamente mi auguro che
si torni ad ascoltare più musica in famiglia e che queste abbiano più occasioni
di poter offrire ai figli una educazione musicale sempre migliore. Così per me si
costruisce una società migliore. Credo anche, in relazione agli eventi di queste
ultime settimane, che ce ne sia un estremo bisogno: la musica e l'arte in generale
ci insegnano a coltivare le persone e le idee che queste hanno, non a escluderle
per le differenze ma proprio a includerle per farne tesoro, per arricchire se stessi.
Quali sono i tuoi prossimi impegni?
A fine agosto, il 19, ho una originale presentazione del nuovo disco Andromeda in
chitarra sola, baritona e classica. Poi in autunno farò una piccola tournée teatrale
che culminerà il 22 novembre al Teatro Fontana di Milano, prima sarò a Cumiana (To)
e Caraglio (Cn). Non mancheranno i jazz club con l'atteso concerto da parte mia
al jazz club Biella. Nel 2019 ci sono già numerosi
concerti fra Italia ed estero. Tutte le date aggiornate si trovano sul mio sito
www.filippocosentino.com