Lester Young: These Foolish Things (Cronostoria
di un errore)
di Marco Bonini
"devo al mio omonimo il titolo di questo libro e a
Lester Young la libertà di averlo modificato [...] una sera
in cui Lester riempiva di fumo e pioggia la melodia di Three Little Words,
sentii più che mai cosa rende
tali i grandi del jazz: quell'invenzione che rimane fedele al tema mentre lo
combatte, lo trasforma e lo
irida. [...] adesso Lester sceglieva il profilo, quasi l'assenza del tema,
evocandolo come forse
l'antimateria evoca la materia. [...] con il jazz esco sempre allo scoperto,
mi libero dal carapace
dell'identico per acquistare spugnosità e simultaneità porosa, una
partecipazione che in quella sera
di Lester era un andirivieni di stelle, di anagrammi e palindromi che a un
certo punto mi restituirono
inspiegabilmente il ricordo del mio omonimo e d'improvviso [...] fu il giro
del giorno in ottanta mondi
perchè per me l'analogia funzionava come per Lester lo schema melodico che lo
lanciava sul
rovescio del tappeto, là dove gli stessi fili e gli stessi colori si
intrecciavano in modo diverso.
Julio Cortàzar, il giro del giorno in ottanta mondi
Ormai è risaputo. lo sanno tutti ed è scritto su tutti i manuali di storia
del jazz: il capolavoro di Lester Young (Woodville,
Mississippi, 27 agosto 1909 – New York, 15 Marzo 1959) è
These Foolish Things, così come il
"manifesto" di Coleman Hawkins (Saint Joseph,
Missouri, 21 nov 1904 – 19 mag 1969) è Body
And Soul. Già, ma mentre nel caso di Hawkins sappiamo bene di
quale registrazione si parla qui su Lester abbiamo un po' di confusione. Ecco
dove comincia questo scritto e l'errore compiuto da chi scrive.
In un'epoca dove la tecnologia ha superato di gran lunga anche le stesse
profezie Benjaminiane sulla riproducibilità dell'opera d'arte, ci si ritrova a
volte, noi poveri mortali consumatori di musica a basso costo, a cliccare su
qualche iconcina, pur sapendo di compiere un atto ai confini con l'illegalità, e
scaricare qualcosa nel nostro PC che non ha supporto materiale o tangibile. Vale
a dire non abbiamo copertina, non abbiamo notizie sull'anno, sui musicisti che
hanno partecipato all'incisione etc etc. abbiamo un file senza "supporto ",
musica pura. O meglio, numeri che tradotti da una macchina si trasformano in
musica. Meraviglioso e affascinante in un certo qual modo ma........ L'errore in
cui si è incappati è al contempo divertente e simbolico ed è il motivo per cui
ve lo raccontiamo. Letto sul Polillo che il capolavoro di Lester sarebbe
questo These Foolish Things, surfando in internet ne scarichiamo
una versione tratta da un Best Of.....(se è sul best of sarà
quella no? che ne dite voi?) e di fatto ci si trova davanti uno dei brani
musicali più belli mai ascoltati. Il buon Lester è in uno stato sublime, lirico
ma anche vigoroso pur senza perdere l'intimismo che lo contraddistingue. Bene,
fatto sta che questa "versione" di These Foolish Things rimane nel
PC per un annetto, con la presunzione di essere LA versione. quella "buona"
quella "storica". I problemi cominciano ad affacciarsi quando si cerca di capire
quali fossero i musicisti che partecipavano alla seduta. Su Internet, si sa, le
notizie non sono sempre controllate, ne' verificate ne' verificabili. Spuntano
svariate versioni di These Foolish Things di Lester Young.
Improvvisamente la cartella del PC si riempie di versioni tutte diverse dello
stesso brano. Ma qual è quello vero? Quello famoso?
...una volta appurato che la rete non è un terreno sicuro per quanto riguarda
questi aspetti, decidiamo di abbandonare lo schermo per consultare qualche libro
e qualche vecchio negozio di dischi. La situazione comincia a schiarirsi. Il
Polillo non menziona i dati su quale versione del brano è da considerare
"valida" mentre Walter Mauro nel suo "Jazz e universo negro"
sostiene che la versione da considerare è quella incisa nell'ottobre
1945 con Dodo Marmarosa al piano,
Freddie Green alla chitarra, Red Callender e Tucker Green,
rispettivamente al basso e alla batteria. Già ma su Internet e su altri libri
vengono indicate anche versioni con Nat King Cole, quella con Oscar
Peterson etc.. fatto sta che la versione che era nel computer non
apparteneva a nessuna di queste e sopratutto sembrava molto molto interessante,
addirittura sembrava più interessante rispetto a quella che fino ad ora aveva
vinto il premio di ufficialità, vale a dire quella del '45. Peccato che
nessuno parlava di questa versione, ne' se ne trovava traccia in alcun modo. La
nebbia cominciò a dipanarsi quando recuperando nel rimosso un po' di conoscenza
della lingua inglese ascoltiamo con attenzione l'introduzione di questo brano
dove un improbabile presentatore introduce i musicisti. Ascoltando bene,
Lester Young, titolare dell'esecuzione, dice che suonerà These Foolish
Things con il Nat King Cole Trio più Buddy Rich alla batteria.
A questo punto il gioco diventa semplice e infatti si riesce a scoprire che il
disco originale è un complete recordings di Nat King Cole e
Lester Young della Definitive Records, dove sono state aggiunte
alcune "trascrizioni" di programmi radiofonici molto rare che giustificano la
presenza di un "presentatore" all'inizio della traccia audio. Più
approfonditamente questa versione appartiene a quelli che venivano chiamati
Jubilee Shows una serie unica di intrattenimenti radiofonici destinati agli
uomini e alle donne appartenenti alle forze armate statunitensi durante la
seconda guerra mondiale. Nessuno dei programmi era trasmesso sui network
"regolari" statunitensi ma su specifiche stazioni radio sparse in tutto il
mondo. Alcune di queste registrazione sono state trasferite (da qui il termine
"trascrizione") dagli originali dischi Vinylite 16" ed è questo il motivo della
loro rarità.
La voce all'inizio è del comico Ernie "Bubbles" Withman che serviva da
presentatore dei vari segmenti delle serate, e il gruppo è costituito da
Lester Young al sax tenore, Nat King Cole al piano, Oscar Moore
alla chitarra, Wensley Prince al contrabbasso e Buddy Rich alla
batteria. L'anno è il 1946 e Lester sta per
suonare per le forze armate statunitensi dopo che era appena tornato dalla leva
dove aveva avuto non pochi problemi per la detenzione di alcol e droghe. Da
quell'esperienza dicono che non tornò mai quello di prima, alcuni addirittura
dicono che musicalmente non raggiunse mai più quell'apice anche se la cosa è
confutabile proprio per questa registrazione e per altre effettuate fino
all'inizio degli anni '50 dopo i quali invece si può denotare una certa perdita
di brillantezza del tutto giustificata dalle fragili condizioni di salute.
Lester era stato chiamato alle armi nel 1942
ma non gli era stato permesso di suonare il sassofono neanche nella banda. In
Alabama fu trovato in possesso di marjuana e alcol e la corte marziale scoprì
che era sposato con una donna bianca cosa che non andava a genio alle menti più
conservatrici sopratutto nel sud degli Stati Uniti. Lester non reagì alle accuse
e fu dichiarato colpevole. Stette un anno nelle caserme di detenzione ("detention
barracks" che ispirarono il suo D.B. Blues) dopodiché fu congedato con
disonore nel 1945, pochi mesi prima di questa registrazione. Il brano è una
delle ballad favorite di Lester ma paragonata ad altre versioni questa è
leggermente più veloce, meno rarefatta, con un senso dello swing accentuato
forse grazie alla presenza di Buddy Rich, vero e proprio funambolo del
batterismo in quegli anni. L'introduzione è affidata a Cole con otto misure di
introduzione su di un semplice turnaround nella tonalità di impianto del brano
poi entrano tutti insieme. La prima frase del tema è abbastanza rispettata da
Lester anche se già densa di abbellimenti e ritardi ritmici, ma tra la quarta e
quinta battuta del tema c'è già una presa di posizione ben precisa. Lester
altera l'accordo di dominante, usando la sostituzione di tritono, e arriva alla
quinta battuta sulla nota del tema creando un effetto abbastanza straordinario
in un'esposizione tematica. Ancora nella chiusura della prima sezione A del
brano Lester abbandona completamente la melodia originale per creare un'ellissi
che riesce ad essere al contempo lirica e rilassata ma armonicamente molto
avanzata, quasi dissonante che rende il suo modo di suonare e in particolare
questa esecuzione veramente interessante.
La ritmica è estremamente rilassata ma il tempo è quasi un medium, una sorta
di walkin' ballad che sorregge il solista quasi fosse su di una nuvola di swing.
Nella seconda A Lester esaspera la tensione sugli accordi, inserisce molte
dissonanze nelle frasi che incredibilmente risolvono però in modo impeccabile e
abbandona ormai completamente il tema. La tensione è ricercata ma è sempre al
servizio della cantabilità, mai fine a se stessa. non diventa mai, insomma,
rappresentazione di qualcosa di extramusicale. Ricordiamoci che anche se nel '46
Parker era già attivo sulle scene, Lester è della generazione precedente.
Bisognerà aspettare che venga metabolizzato il linguaggio dei boppers per fare
sì che alcuni elementi musicali possano essere giustificati in maniera
"estetica". Prima di allora, fatta eccezione per alcune pagine di Ellington,
il jazz è una musica d'intrattenimento che poco aveva a che fare con la
rappresentazione della crisi in senso soggettivo e artistico occidentale. La
personalità fortissima di questi personaggi insomma (come Young, Hawkins o Basie)
non scaturisce da una riflessione estetica sul contenuto dell'opera, o su di una
presa di posizione nei riguardi del "mondo". Essa scaturisce spontaneamente,
senza filtri ideologici e senza la pretesa intellettuale di fare dell'Arte un
simulacro della condizione umana.
Lester lascia l'esposizione della B al pianismo "regolare" di Nat King
Cole anche se ormai non è più tema, è già improvvisazione. Lester riattacca
sull'ultima A richiamando alcune cellule che aveva già esposto prima, svelando e
confutando ogni idea che l'improvvisazione, anche quella non formulare ma lirica
come quella di Lester, sia un processo totalmente intuitivo spontaneo e
estemporaneo, anche ascoltando altre versione del brano incise intorno a questi
anni ci si accorge che Lester utilizza a volte veri e proprie segmenti
ricombinati ma identici e già prefabbricati, intere sezioni si assomigliano,
intere frasi ricalcate eppure la cantabilità e il sentimento non ne vengono
intaccati. La logica con cui le frasi vengono esposte è assolutamente
consequenziale. Segue un vero e proprio solo di Lester su tutto il chorus del
brano, e a parere di chi scrive sono perle di linguaggio e di invenzioni. Non a
caso lo scrittore argentino Julio Cortazar lo cita tra le sue
ispirazioni. Egli gli riconosce la capacità di coniare nuove cose, di inventare
in musica ed è curioso come questo abbia una corrispondenza nel comportamento
quotidiano di Lester in cui pare lui si divertisse ad usare una lingua tutta
sua, una sorta di slang personale con cui denominava cose e persone con parole
assolutamente inventate e apparentemente prive di senso. Questa abitudine che si
rispecchia anche nella sua musica ha portato Lester ad essere uno dei tenoristi
più originali della storia del jazz, più personali e più importanti ma anche uno
dei più incompresi, come spesso accade, uno di quelli poco alla moda e la sua
vita si fece sempre più difficile anche per colpa di un carattere timido e
introverso, che poco si sposava con un mondo del mercato molto competitivo.
L'impianto formale dell'esecuzione è quanto di più semplice si possa
concepire. Due chorus in totale, poi finale rallentato sugli ultimi due accordi.
sembra quasi deciso sul momento, nulla di più scarno e classico eppure, c'è
qualcosa soprattutto nell'esecuzione di Lester che lo rende incredibilmente
affascinante e dirompente. Nella B del secondo chorus Lester esegue delle frasi
che partono dal registro più basso e raggiungono quello più alto, lunghissime e
squadrate ritmicamente. Sono elementi che anticipano le ricerche del cool più
avanzato che sono stati ripresi dalla parte più bianca del jazz moderno. Non a
caso viene citato come modello di riferimento da
Lee Konitz, Warne Marsh, Lennie Tristano etc...
L'approccio rilassato praticamente privo di vibrato, l'attacco leggero e il
senso del ritmo suadente e poco staccato hanno affascinato le nuove generazioni.
Mentre andava scomparendo sempre di più il modello alla Coleman Hawkins,
più vigoroso e ad effetto. In questo frangente è interessante osservare come il
principale modello di Lester Young fu un bianco che si chiamava
Frankie Trumbauer e che suonava nel gruppo di
Bix Beiderbecke.
Frankie suonava uno stranissimo modello di sassofono in Do chiamato C-melody
sax, dal timbro pastoso e metallico, ma questo Lester non lo sapeva e cercò di
ottenere quel suono sul suo tenore. Strano è perchè all'epoca di eroi
afroamericani del sassofono ce ne erano tanti (Dorsey, Hodges, etc..) e invece
Lester sembra fin dall'inizio prediligere un approccio personale e originale.
Non si sa se questa sua personalità è stata anche la causa di tanto dolore
psichico e in conseguenza fisico, chi può dirlo, certo è che Lester era diverso
da tutti gli altri e tutt'ora spicca per originalità e per aver aperto le porte
al futuro. In questo brano egli si pone a livelli molto alti sia per ispirazione
che per maturità, egli osa, ma con sicurezza, e magari anche perchè si tratta di
una trasmissione radiofonica che non sarebbe andata in onda negli Stati Uniti, o
perchè appena congedato era felice di riprendere in mano il suo sax. Nessuno può
dirlo, eppure uno dei più grandi tenoristi di tutti i tempi morì lasciato a se
stesso senza riuscire a compiere i 50 anni.
La leggenda vuole che abbia passato gli ultimi giorni bevendo soltanto, senza
mangiare nulla; seduto alla finestra, indossava il suo lungo cappotto nero, il
cappello e un paio di pantaloni corti, e salutava i passanti che credeva di
riconoscere. Ascoltava dischi di
Frank
Sinatra (che aveva sempre ammirato), e muoveva le labbra, come se
stesse ancora suonando....Goodbye Pork Pie Hat.
These
Foolish Things (Lester Young, 1946)
(link)
Lester Young - sax tenore Nat King Cole - piano Oscar Moore - chitarra Wensley Prince - contrabbasso Buddy Rich - batteria
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COMMENTI | Inserito il 27/9/2010 alle 13.36.23 da "facchi.jazz" Commento: La versione che viene commentata è in effetti molto bella, ma quella citata da tutti i testi è un vero capolavoro ed è la versione su etichetta Aladdin del'45. L'originalità di quest aversione è che Lester parte diritto sparato improvvisando una nuova melodia, splendida, totalmente sostituitva del tema originale, mentre in quella del '46 che io posseggo in un vecchio LP SPOTLITE, parte proprio dal tema. Io comunque preferisco quella del '45 proprio per il motivo citato, ma in effetti non scherza nemmeno questa. | | Inserito il 27/9/2010 alle 13.52.38 da "facchi.jazz" Commento: Dimenticavo...antecedente ad entrambe le versione c'è quella più "lineare" incisa per la SAVOY del 1944. In effetti la cronologia è questa e si sente anche nei soli di Young in quanto nella versione del '46 dal vivo o radiofonico, almeno così pare visto l'annuncio, Young ripete ad un certo punto nel solo un'idea del solo nella versione Aladdin, anche se leggermente modificata, ovviamente, trattandosi di improvvisazione. A mio avviso la versione Aladdin è insuperabile. | |
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Data pubblicazione: 26/09/2010
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