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Intervista a Gendrickson Mena
Milano, Blue Note 8 giugno 2007
Testo di Eva
Simontacchi
Fotografie di Mario Livraghi
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Eva Simontacchi:
Sei in Italia da dodici anni. Quale è stato il tuo percorso in questi dodici
anni, e come è maturata la tua esperienza musicale in questo arco di tempo fino
ad oggi? Ovviamente avrai assorbito delle influenze e dei linguaggi diversi qui
in Europa…..
Gendrickson Mena:
Penso di avere senz'altro subito delle influenze. A volte si fanno dei bilanci,
ci si guarda indietro perché, come penso capiti a tutti i musicisti ci si vuole
render conto se si sono fatti dei passi in avanti. A volte capita di pensare "no,
non sono cresciuto, non mi sono evoluto, o non ho migliorato degli aspetti musicali".
Quindi trovo che sia positivo guardare indietro al passato per rendersi conto del
percorso che è stato fatto. Io penso che questi dodici anni qui in Europa mi siano
serviti tantissimo come scuola, nel senso che sono arrivato in Italia il 1 luglio
del 1995, e il 1 luglio del
2007 sono 12 anni giusti. Sono una persona che
guarda tanto indietro, ma che guarda sempre comunque anche in avanti. Da quando
sono arrivato è stato un imparare continuo; in questi 12 anni ho lavorato tantissimo
sullo studio, sulla tecnica, sul linguaggio, e soprattutto sull'informazione,
perché
venendo da Cuba, a Cuba non abbiamo tanta possibilità di ascoltare tanti artisti
e tanti progetti o seguire degli artisti in modo capillare, seguendo la crescita
e l'evoluzione di ogni artista avendo sempre a disposizione gli ultimi dischi o
gli ultimi progetti. Qui in Italia ho avuto la grande occasione di riuscire ad approfondire
maggiormente il percorso musicale e l'evoluzione di tanti artisti che ascoltavo
quando ero piccolo. Tanti li ho visti anche dal vivo.
E.S.: Facci qualche nome…. Quali artisti sei
riuscito a conoscere maggiormente attraverso una migliore informazione? Quali artisti
ami ascoltare?
G.M.: Per esempio ascoltavo tantissimo George Benson e gli Earth
Wind and Fire, Petrucciani, il trombettista Freddy Hubbard, Oscar
Peterson – mi ricordo che mio padre da piccolo mi faceva ascoltare i suoi dischi
– Ron Carter, Miles Davis, Coltrane, eccetera. Chiaramente poi mi
sono reso conto che in questi dodici anni ho avuto anche io una evoluzione. Ciò
che capivo fino a un certo punto nel '95, ora
lo comprendo assai più a fondo e in maniera più completa. Parlo anche dei linguaggi
e dei vari modi di suonare. Adesso per esempio, un solo di Coltrane lo capisco
molto più approfonditamente e in modo più dettagliato. Capisco maggiormente cosa
ha voluto fare musicalmente, capisco quando lavora in maniera atonale, capisco le
scale sulle quali ha lavorato, il fraseggio, e quindi mi godo di più ogni solo che
ascolto e ogni artista. Questo mi fa capire che in questi anni ho maturato molta
più esperienza e comprensione del linguaggio. Tanti anni fa non riuscivo a dividere
gli strumenti o gli arrangiamenti quando ascoltavo un disco. Adesso ascolto un disco
e sento tutto. Non è che voglia essere presuntuoso, ma mi rendo conto di aver lavorato
tantissimo su questi aspetti in questo arco di tempo. Poi devo comunque molto anche
a mio Padre, Pedro Mena, chitarrista, arrangiatore, compositore e polistrumentista.
Da lui ho imparato davvero tantissimo, prima a Cuba, poi anche nei primi anni qui
in Italia, periodo in cui ho continuato a collaborare molto con lui e la sua orchestra.
Lui per me è sempre stato un forte punto di riferimento, e da lui ho imparato molto.
E.S.: Si è affinato l'orecchio.
G.M.: Sì, riesco a cogliere tutti gli accordi,
anche quando il solista, sopra al piano, fa questi passaggi armonici, il gioco che
si crea passando da un accordo all'altro. Fanno questi fraseggi e queste cose talmente
belle che tante volte non tutti le capiscono. Tanti amano la sonorità e dicono:
"Mi piace il jazz", ma trovo che sia bellissimo capire cosa fa un artista
quando si esprime, sia a livello melodico che ritmico e anche per quanto riguarda
i colori. Per esempio per dare colore un trombettista può eseguire un suono lungo
che può essere una nota comune di quattro o cinque accordi che si susseguono a livello
armonico, e mantenendola ferma per quattro o cinque cambi di accordo può dare un
colore, una sonorità veramente molto bella, come anche per i fraseggi veloci. Quindi
io ho avuto questa possibilità e ringrazio veramente Dio per avere trascorso questi
anni in Europa, perché mi sono serviti come scuola e continuo ancora a studiare
tantissimo, ad approfondire, a guardare tanti video di tanti artisti e ad ascoltare
tanti dischi. E mi è servito moltissimo perché quando sono arrivato nel
'95 avevo un modo di suonare un po' meno profondo
e un po' più elementare. Avevo un fraseggio più semplice, più scolastico. Ho imparato
a rendere più interessante il fraseggio. Il fraseggio deve maturare con il tempo.
Dunque in questi anni ho cambiato il mio modo di suonare, anche e soprattutto da
quando ho iniziato a suonare il flicorno. Tanti pensano che sia come la tromba,
ma non è così!
E'
uno strumento proprio diverso. Ha degli armonici, è più morbido. Secondo me per
un trombettista è molto importante suonare il flicorno perché ti fa cambiare strada.
Però, questa strada, quando la metti insieme alla strada della tromba, ti arricchisce
molto perché si tratta di due mondi diversi che però possono aiutarsi ad evolvere
in entrambe le direzioni. Dato che il suono del flicorno è molto scuro, devi proprio
cambiare modo di suonare. Il flicorno l'ho acquistato nel
2000, e il primo anno è stato un disastro, perché è diverso. Bisogna
soffiare di più perché il bocchino è più ampio, e anche il cambiamento tra i due
tipi di bocchini non è semplice. Inoltre anche l'impugnatura dei due strumenti è
diversa mentre si suona. Per cui durante il primo anno sbagliavo sempre, non riuscivo
a controllare bene il suono. Ho dovuto studiare tantissimo e lavorare molto. Sai,
studiavo la tecnica della tromba e improvvisazione, e pensa che cosa curiosa, non
ho mai studiato il flicorno com'è tecnicamente. Ho invece lavorato molto suonandolo
sulle basi jazz. Dopo avere lavorato con la tromba, prendevo in mano il flicorno
e andavo avanti un paio d'ore semplicemente suonandolo. Io penso che anche questo
sia un modo per studiarlo; non studiandolo come uno strumento tecnico, ma facendone
l'esperienza diretta. E' comunque un mondo totalmente diverso, e penso che anche
questo abbia contribuito a farmi evolvere. Nel 2000
suonavo ancora con Tony Martinez, e anche loro si sono resi conto di questo
cambiamento. Poi chiaramente quando ho iniziato a suonare la tromba e ho conosciuto
il jazz, ho conosciuto questo trombettista che si chiamava Freddy Hubbard
emi piaceva tantissimo. All'inizio con l'improvvisazione non sapevo da dove incominciare,
quindi ho iniziato a trascrivere e imparare i soli da questo disco che avevo – anzi,
no, non era un disco ma una cassetta. Ho iniziato a studiare a 10 anni, ma quando
ho iniziato a cimentarmi con il jazz avevo 15 anni e proprio a quell'età
ho iniziato a studiare i soli di Freddy Hubbard.
Lui
usa spessissimo il flicorno, e si vede che m'è rimasta questa sonorità, questo modo
di suonare. Io in effetti sono molto influenzato da lui, ma ovviamente ho ascoltato
tanti altri trombettisti. E mi piace anche ascoltare altri musicisti e altri strumenti.
Per esempio se ascolti un chitarrista, cambia il fraseggio, cambia il sound, cambia
il concetto, e quindi ho imparato ad ascoltare i chitarristi, pianisti, i batteristi.
Perché tanti magari quando ascoltano un solo di batteria si fanno prendere dalla
cosa visuale dello spettacolo, mentre ascoltando il suono della batteria esiste
anche il canto, la melodia, e anche la logica di un solo. A volte un batterista
ha un messaggio che desidera trasmettere, ma lo capiscono in pochi. Anche tra i
percussionisti, con le congas, i timbales, esistono anche le melodie, come per un
cantante. Poi ho lavorato non solo sulla melodia ma anche sul ritmo, per cui, al
di là del fatto che questa è una intervista, si tratta di un consiglio anche per
i jazzisti, per chi sta studiando: secondo me non devono fissarsi soltanto sull'idea
del tipo: "sono un cantante e ascolto solo i cantanti", perché questo non
ti può dare il concetto completo della musica, del modo per esprimerti. Io penso
che se qualsiasi musicista ascolta tutti gli strumentisti, dal sassofonista al trombettista
al trombonista, tutto questo ascolto lo rende più ricco e gli dà più idee. Poi un
altro consiglio è quello di ascoltare tanti generi di musica diversi tra loro.
Se
un jazzista ascolta anche il funky, il reggae, il rock, la musica cinese e tanti
altri generi, al di là che questo ascolto arricchisce sicuramente la persona, a
livello musicale lo può anche aiutare nella composizione perché tutto ciò che si
è ascoltato entra a far parte dell'esperienza e dunque diventa molto più facile,
naturale e immediato creare colori o sonorità più varie. Ovviamente, come per lo
studio, anche i risultati dell'ascolto vengono fuori dopo anni. A volte si studia
tantissimo, tutti i giorni per mesi, e non si sperimenta il grande cambiamento che
ci si aspetterebbe. Invece, anche se non accade subito, succederà con il passare
dei mesi, degli anni. I risultati si manifesteranno. Ed è lì che un musicista si
rende conto di essere cresciuto. A volte fa delle cose e poi pensa "Mamma mia
non me ne sono nemmeno reso conto". Dunque in questi 12 anni ho lavorato moltissimo
su queste cose. Poi chiaramente essendo una persona un po' curiosa, ho avuto in
questi anni la possibilità – che non avevo a Cuba – di vedere tanti di questi artisti
dal vivo, tipo George Benson e Freddy Hubbard. Ho assistito a tanti
concerti, anche fuori dall'Italia ed è stata un'esperienza molto forte, che poi
ti rimane. Quindi sono fatto così: sono un ricercatore e mi piace molto sperimentare,
e mi piace soprattutto ascoltare musicisti di valore che mi fanno venire la pelle
d'oca. In questi 12 anni le mie esperienze sono state tantissime, non soltanto a
livello di ascolto e studio, ma sono stato fortunato, e ho avuto la possibilità
di suonare con tanti progetti, musicisti e cantanti, che tante volte non c'entravano
con ciò che io desideravo fare, ma queste esperienze anche un po' diverse da ciò
che avevo in mente per me mi hanno arricchito tantissimo, non soltanto musicalmente
ma anche a livello personale e umano. Quando ho lavorato con Vinicio Capossela
e altri grandi musicisti, sul palco ho imparato tante cose. Vedevo questi cantanti
leader come si comportavano sul palco, cosa dicevano, come si relazionavano con
le situazioni e anche questo è molto importante, non soltanto salire sul palco e
fare tutte le note che hai studiato per una vita.
Bisogna
anche sapere come comportarsi, come impostare il concerto, come trasmettere le cose.
Non si tratta solamente di suonare. Molti musicisti suonano e restano lì sul palco
statici, però secondo me è anche bello creare movimento sul palco e fare un po'
di spettacolo, creando delle tensioni, delle atmosfere. Queste cose le ho imparate
e le sto ancora imparando, e l'ho visto fare da tanti artisti tipo Miles Davis,
Santana, e altri.
Non lo dico con presunzione, mi rendo conto di essere molto cresciuto e maturato,
al di là del fatto che sento che ho ancora da crescere e maturare e migliorare.
Per cui continuerò a lavorare per crescere tanto perché spesso sento che posso dare
tanto ma devo ancora fare tante esperienze, conoscere ancora tanti progetti, tante
persone. Questo è l'unico modo in cui uno può crescere.
Suonare
tanti generi diversi di musica e fare tanta esperienza, passando da musica cinese,
indiana, russa o balcanica per esempio. Poi sono tutte sonorità e contaminazioni
che si manifesteranno molto più avanti nella vita nelle composizioni di un artista.
Come dice Capossela ho fatto quest'esperienza …. Ho imparato un po' la musica
della Macedonia e dei paesi croati, che è un modo di suonare la tromba molto particolare
che non è la tromba jazz, e tra l'altro è difficilissimo. Quindi penso che lui mi
abbia trasmesso questa cosa, che ogni tanto mi viene fuori quando suono, ma non
è una cosa voluta. Ho vissuto questo tipo di esperienza ed è rimasta dentro di me.
Questo tipo di conoscenza ogni tanto viene fuori ed è molto interessante, per cui
consiglio a tutti di fare questo tipo di esperienze, suonando anche musica afro,
africana, anche se non c'è l'armonia. Vai a suonare con 20 percussionisti e 3 fiati!
Si possono fare anche queste cose! Sai come ti arricchisci ritmicamente con la musica
africana? Tantissimo! Poi la puoi usare anche quando suoni bebop. Conosci quel brano,
"One Note Samba"? Ecco, se fai attenzione si
tratta di una sola nota che suona; quella è Africa! Stai lavorando solo su di una
nota e gli accordi si muovono e tu rimani su quella nota che lavora sulla ritmica.
E per me questa è una valida idea piuttosto che fare tante note che sono già state
fatte. Puoi fare un misto, un gioco tra queste cose. Quindi in definitiva sono molto
contento di questi 12 anni qui in Europa, perché mi sono serviti come scuola, e
quando ti capita di arrivare in posti dove sanno apprezzare questa musica, puoi
arrivare con uno scalino in più, un po' più "avanti", con una maggiore esperienza.
E.S.:
Abbiamo parlato un po' del passato. Ora parliamo del futuro. Quali sono
le tue aspirazioni e i tuoi sogni nel cassetto?
G.M.: Le mie aspirazioni sono quelle di continuare
a fare questo genere di musica, perché chiaramente, essendo Cubano non posso abbandonare
le mie origini. Anche se a volte non mi va di suonare la salsa, queste origini le
ho nel sangue. Quindi questa cosa viene sempre fuori, anche quando suono il jazz,
per cui sono un pelino più carico, ho questa energia che si manifesta. Le mie aspirazioni
sono queste: continuare a fare questa musica latin jazz con queste influenze mie
dei Caraibi, sai, la musica Cubana, aggiungendo queste contaminazioni di bebop,
funky, fusion, acid jazz, jungle e mischiare un po' tutto insieme. Però penso che
chiaramente sia sempre possibile creare qualcosa di nuovo, qualche sonorità nuova.
Quindi la mia idea è quella di cercare di fare diventare un po' più moderno il latin
jazz che è nato a Cuba, perché sento parecchi gruppi che fanno latin jazz, ma che
lo fanno nella maniera classica, con le 3 percussioni, il piano, il contrabbasso
e i fiati. Invece nel latin jazz si possono anche aggiungere le tastiere, la chitarra
rock, gli effetti strani, sempre con questa ritmica dietro. Però si può anche lavorare
su di una evoluzione del latin jazz, perché non è giusto che rimanga così come l'hanno
suonato tanti, Poncho Sanchez, Mongo Santamaria, Tito Puentes.
Bisogna ora modernizzarlo questo latin jazz, aggiungendo tutte le influenze jungle,
acid jazz, e secondo me diventa più interessante. Questa è la mia idea, e vorrei
anche portare questa musica nel mondo, produrre tanti dischi…… Mi piacerebbe che
qualcuno mi seguisse e mi aiutasse a realizzare questi sogni e portare questo progetto
grosso – perché non sarà solo strumentale ma anche cantato, perché penso che con
i cantanti, con le parole, arrivi ancora di più – in giro per il mondo. Quindi questo
è ciò che vorrei fare: portare questa musica in giro per il mondo, non fermarmi
mai, e produrre sempre tanti dischi e tanta musica, lavorare tanto su me stesso
come trombettista. E adesso mi è anche venuto in mente che vorrei cantare un pochino
e devo mettermi a studiare. Devo continuare a lavorare tanto sul pianoforte, sugli
arrangiamenti. Ho anche l'idea di realizzare un disco con una big band, ma non il
solito genere classico, ma moderno. Un disco big band diverso, con altre sonorità,
dove invece di far lavorare i sassofoni come si fanno sempre lavorare, o i tromboni
per esempio, si fanno lavorare in maniera diversa: altre ritmiche, altre sonorità,
altre cose più interessanti. Si può anche cambiare il modo di suonare la tromba
sul latin jazz funky. Solo che è molto difficile che lo capiscano le persone che
stanno vivendo attualmente…. Tanti magari dicono: "Ah, ma tu suoni in un modo che
non va bene!" Ma non è vero. Magari questo modo tra vari anni potrà produrre qualcosa
di diverso. A volte chi critica non si sofferma a pensare che potrebbe trattarsi
di una cosa nuova, però chiaramente ci vogliono tanti anni a volte perché le cose
nuove vengano apprezzate. Per cui quando sei presente si capiscono poco le cose
che fai. E quindi questo è il mio sogno. Poi mi piacerebbe tanto essere seguito
dalla gente, e soprattutto fare della bella musica melodica, ritmica, con begli
arrangiamenti, bei testi. Non fare la musica commerciale banale. Fare musica bella
con un bel contenuto ma che sia anche piacevole da ascoltare, che la gente vada
via da questo concerto felice, con gli animi arricchiti.
E.S.: Adesso una domanda un po' personale: quali
sono i tuoi "punti forti"?
G.M.: Non mi piace mai parlare così perché mi sembra
di essere presuntuoso. I miei punti forti comunque sono la volontà, nel senso che
non mi stanco mai di perseguire un obbiettivo se mi sta a cuore. A volte mi indebolisco,
e mi pare di perdere la volontà in giornate particolarmente difficili, ma sono anche
molto cocciuto, e vado comunque avanti a studiare e a lavorare. Poi ci sono anche
dei giorni in cui la volontà non mi aiuta perché mi sento molto debole. Sono momenti
che per fortuna passano in fretta e mi riprendo, continuando a studiare e a lavorare.
Poi penso che anche le esperienze belle e brutte della vita, ma soprattutto le brutte
mi danno tanta forza per andare sempre più avanti. Per cui un altro punto forte
che ho è che so quello che voglio fare e quello che voglio diventare, quindi questo
mi da tanta forza. Come a volte mi sento insicuro, altre volte mi sento fortissimo,
perché mi sento molto creativo; mi rendo conto di avere delle idee molto personali
e originali e innovative. Questa cosa a volte mi rende un po' incompreso, soprattutto
con persone che restano vincolate a idee più sentite e più banali. Però capisco
che non essendo un nome a livello internazionale posso non essere compreso o capito.
Se fossi Quincy Jones con la sua età ed esperienza e proponessi la stessa
idea, magari verrei ascoltato e sarei più credibile. Però, sai, con la vita che
stiamo vivendo, se non sei una personalità grossissima non sei molto credibile.
Spesso io so quello che sono e quello che posso dare, ma finché non riuscirò a esprimere
tutte queste cose con il passare degli anni nessuno mi può capire adesso, e quindi…..
Comunque questi sono i miei punti di forza ma soprattutto la volontà, che è molto
forte e che a volte non so dove la trovo. Anche quando non ho proprio voglia di
fare, mi cimento per cui non sono una persona pigra. Non mi piace lavorare con le
persone pigre che mancano di creatività e che aspettano l'ultimo momento per fare
ogni cosa. Ho lavorato spesso con persone così, ma non mi piace, e cercherò di lasciare
le situazioni di questo tipo. Per cui sono molto sicuro su ciò che voglio.
E.S.:
Ora ti chiedo qual è il tuo punto debole.
G.M.: il mio punto debole è quello di non ascoltare
sempre il mio io quando mi chiedono di fare delle cose. A volte mi rendo conto di
andare contro il mio io per far sentire bene le persone, e in un certo senso mi
violento facendo cose che non sono del tutto mie. Dico troppo di si a tutto, invece
devo imparare a dire anche qualche no, lasciando perdere le cose che non mi stanno
bene. A volte sono un po' debole e indeciso su queste cose. Questo è un mio difetto
che devo migliorare tanto. A volte sono anche un po' egoista. Per esempio quando
insisto sul fare un arrangiamento come lo sento io, e mi rendo conto che a volte
può essere un atteggiamento che può essere un po' presuntuoso, perché anche fatto
in un altro modo potrebbe essere valido. Non sempre la mia idea può essere la migliore.
E dunque un altro mio difetto è che accetto consigli da tutti, o pareri da tutti
e a volte ricevo delle critiche che potrebbero non essere totalmente costruttive.
Alcuni me lo dicono per il mio bene, ma a volte non è proprio così…. Io ho la mia
idea su ciò che voglio fare, e se una persona non mi conosce e non è dentro di me
non può capire la direzione che sto prendendo. Sono molto aperto e ascolto un po'
tutti, ma non va bene. Devo correggermi.
E.S.:
Sei già uscito con un album nel 2003
su etichetta Ultrasound "Asi
Son Mis Sentimientos", però so che hai già anche altri progetti
pronti, sia tuoi personali sia come gruppo "Gendrickson
Mena & The New Cuban Experience". Quando pensi di uscire con
questi nuovi progetti come album?
G.M.: Penso di uscire appena troverò qualcuno che
sia interessato a produrmi, o una casa discografica o un produttore. Al di là che
non sono ancora un nome conosciuto a livello internazionale, non sono conosciuto
in tutto il mondo, ma se trovo qualcuno che sia interessato a produrmi a livello
internazionale sarebbe davvero una cosa molto bella, perché la finalità di creare
un album è questa. Il mio primo disco è uscito grazie a questo editore e musicista
che si chiama Stefano Bertolotti, che ha creduto in me, e nel suo piccolo,
con la sua piccola etichetta che si chiama Ultrasound, mi ha prodotto
il disco. Però è difficile trovarlo in commercio, e questo aspetto non aiuta certo
un giovane musicista desideroso di farsi conoscere. Se già ci fosse un po' di distribuzione
nei negozi e in giro, la gente che non ti conosce avrebbe l'opportunità di ascoltarti
acquistando il CD, e in questo modo si inizierebbe a conoscere meglio un artista,
ci sarebbero dei fan, degli appassionati. Spero di trovare qualcuno. Ho già due
o tre progetti discografici finiti, autoprodotti, e quindi sto cercando. E ti dico
un'altra cosa. I discografici dovrebbero credere un pochino negli artisti giovani,
che ce ne sono tanti. E se ci pensi, tra vent'anni questa generazione di artisti
sarà proprio quella che uscirà se sono degli artisti promettenti. Non parlo solo
per me, ma per i tanti bravi artisti promettenti che ci sono in Italia; ci sono
musicisti di un talento straordinario, e meriterebbero la possibilità di farsi strada
e di farsi conoscere. Quindi è ora che inizino a dare possibilità ai giovani perché
Ron Carter e
Herbie
Hancock non potranno certo andare avanti all'infinito. Loro sono artisti
già consacrati e bravissimi. Però ci sono giovani, gente nuova che sta iniziando
adesso che potrebbe cambiare il mondo, il modo di suonare. E' importante.
E.S.: Ci dici qualcosa riguardo il tuo gruppo
"Gendrickson
Mena & The New Cuban Experience"?
G.M.: Sono felicissimo di avere trovato queste
persone. Mi hanno dato tantissimo. Adesso continuiamo insieme e c'è una bella energia.
Parte di quello che sono in questi anni lo devo anche a loro, a tutti gli apporti
che hanno dato facendo le prove, gli arrangiamenti, l'energia, la voglia di fare
sempre, perché anche se a volte le situazioni non erano economicamente agevoli,
si sono sempre dati da fare e si sono sempre dedicati al progetto con entusiasmo.
Abbiamo fatto questo primo disco e faremo questo secondo disco prodotto da noi.
E quindi li ringrazio tantissimo. Poi volevo fare questo latin jazz non proprio
solamente con i cubani. Infatti secondo me questa è proprio la cosa che rende più
particolare il mio progetto perché ha una sonorità americana, cubana e anche un
po' europea, perché ci sono loro che sono italiani che portano la loro esperienza
e quello che hanno vissuto in questi anni nel progetto. Per cui alla fine il progetto
non è propriamente cubano, è un misto. La mia energia, messa insieme alla loro,
con Jorge e Hidelvis alle percussioni, diventa interessante
come sonorità. Infatti è un sound particolare. Non è il latin jazz di Tito Puentes
o di Ed Palmieri, bisogna fare un po' attenzione. Quando riuscirò a fare
due o tre dischi si sentirà meglio, perché questo arriva quando già sono state fatte
due o tre produzioni. Secondo me stiamo creando un sound particolare. Penso che
con loro suonerò tantissimo ancora per tanti anni perché abbiamo avuto una bella
evoluzione da quando abbiamo iniziato ad ora. Poi penso anche che questo sia il
compito di un artista, al di là che possa essere un trombettista o un cantante solista,
però se un musicista prova a tenere un progetto per 20 anni, 30 anni, si verifica
una bella evoluzione sia come gruppo che singolarmente.
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Data pubblicazione: 09/12/2007
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