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Quattro chiacchiere con Aisha Ruggieri
febbraio 2012
di Alceste Ayroldi

Dove sei nata, cresciuta?
Sono nata e cresciuta a Padova, ma essendo le mie origini del sud, ho risentito positivamente molto di questo dualismo nord-sud.

Hai una formazione classica, e ciò risuona nella tua tecnica. Quanto ha influito nelle tue scelte compositive e nel tuo approccio al jazz?
In realtà, la mia formazione è un po' curiosa, perchè è vero che ho cominciato con il classico ma, essendo mio padre appassionato di blues, soul e musica brasiliana, mi sono avvicinata molto giovane ad altre musiche e ho lasciato presto il classico, che ho invece ripreso in modo intenso in seguito al mio primo disco "A-Symmetry". Sentivo che volevo di più dal pianoforte, volevo una consapevolezza maggiore del suono e delle possibilità dello strumento, che a mio avviso solo la musica classica (pianisticamente parlando) può fornire. Ora, quando studio, trascorro la maggior parte del tempo a studiare musica classica e sento che questo mi avvicina paradossalmente molto di più al jazz; posso dire quindi di aver fatto il percorso inverso.

Quando ti sei "innamorata" della musica jazz?


La prima folgorazione è avvenuta intorno ai diciassette anni, grazie ad alcuni musicisti che frequentavano la mia casa, dove spesso i miei genitori facevano feste/jam session dove si suonavano tutti i generi musicali; una volta venne a trovarci un jazzista belga che eseguì "Take The "A" train" sul mio pianoforte di allora e, quando vidi la sua mano sinistra suonare un walkin bass così impetuoso ne fui affascinata e turbata; era un linguaggio musicale che mai avevo sentito prima al pianoforte. Il giorno dopo andai da un amico sassofonista e gli chiesi cos'era il jazz; lui mi diede due dischi, "Olè Coltrane" ed una raccolta di Musica Jazz di Bill Evans contentente "Peace Piece", "Blue In Green", "Israel", "Interplay", "Solar".... Persi la testa, ascoltai solo quei due dischi per tanti mesi e poi decisi che sarei diventata una jazzista.

Chi sono i tuoi pianisti di riferimento? E, invece, quali artisti?
Per me è un po' difficile rispondere a questa domanda; ho sicuramente dei capisaldi, quali Bill Evans, Herbie Hancock, McCoy Tyner, ma nella mia vita ho sempre avuto dei periodi più o meno lunghi in cui ne ascoltavo uno in particolare, da Ahmad Jamal a Bud Powell, da Chick Corea a Petrucciani a Red Garland a Tristano.... So che sembra forse un po' riduttivo dire "mi piacciono tutti", ma è così; ognuno di loro mi ha sempre colpita, incuriosita, entusiasmata...se parliamo invece di coloro che toccano determinate corde, che mi emozionano sempre, posso dirti Coltrane, Bill Evans, Ahmad Jamal, Dexter Gordon, Miles Davis nell'ambito più jazzistico e, più in generale, Stevie Wonder, Ramsey Lewis, Jimi Hendrix, Led Zeppelin...amo molto anche il rock, il funk ed il gospel.

Il tuo debutto discografico è "A-Symmetry" del 2005, registrato a New York e pubblicato dalla londinese 33 jazz records, tra l'altro licenziato con lo pseudonimo Aisha H.R., è un lavoro con molto swing, non particolarmente spigoloso, piuttosto diverso rispetto agli altri tuoi lavori successivi. Può dirsi una sorta di preparazione o rispecchia la tua reale natura musicale?
La mia reale natura musicale è un qualcosa che ancora sto cercando e spero di farlo finchè campo su questa terra...mi rendo conto che è, come primo lavoro, piuttosto orientato in una determinata direzione; quel disco fa parte di un periodo in cui cominciavo a studiare molto la tradizione, ascoltavo Cedar Walton, il periodo iniziale di Herbie Hancok, i dischi in trio di McCoy Tyner...mi piaceva quel sound, frequentavo a New York musicisti che prevalentemente si esprimevano con quelle scelte stilistiche e mi piacevano molto; inoltre, gli anni precedenti quel disco si erano susseguiti frequentando musicisti molto diversi e quindi, durante la preparazione di "A-Symmetry", avevo desiderio di immergermi in quel suono di trio classico, tradizionale che tanto mi aveva fatto avvicinare al jazz. Sicuramente però ti posso dire che la tradizione fa parte del mio gusto musicale così come il desiderio di ricerca e credo che questo si evinca da tutto quello che ho registrato; amo quel disco e le persone che mi hanno seguito durante quella prima session della mia vita mi hanno insegnato tantissime cose, che continuo a pensare e mettere in pratica anche quando lavoro in direzioni più "trasversali". E' tuttavia innegabile che l'inesperienza di quel periodo e la paura di fare un primo disco non adatto ad un debutto, mi abbia portato comunque a limitarmi ad un linguaggio più morbido.

Perché hai scelto un'etichetta inglese?
Avevo inviato il master a diverse etichette e l'unica che mi rispose che desiderava interamente produrre il disco fu la 33 Jazz Records; quel disco non trovò mai distribuzione in Italia.

Perché uno pseudonimo e cosa significano "H.R."?
photo by Alessandra LazzarottoCome ho avuto modo di dire prima, quel periodo fu molto particolare ed intenso per me; spesso si prendevano decisioni in modo del tutto improvviso e "giocoso", era una fase nuova della mia vita, in cui ero affascinata dai tantissimi imput che mi provenivano dal viaggiare continuo negli Stati Uniti; questo mi fece desiderare per un periodo di trovare una nuova identità che non riuscivo a trovare qui in Italia. H.R. nacque da una presa in giro; alcuni dei miei amici mi prendevano in giro per la mia inesauribile energia di conversare per ore con chiunque e dovunque, curiosa fino al limite verso la vita e le persone, tanto che arrivarono a chiamarmi "Human Resource", da qui Aisha H.R. Era insomma uno "sfottò" verso me stessa...

Puoi parlare del Gas Trio e di Faces? Lavoro molto interessante e del tutto differente rispetto al precedente. Ipotizzi di poter proseguire anche su questa strada?
Il Gas Trio si colloca in un periodo ben diverso da "A-Symmetry". Quello fu un periodo di grande introspezione, di ricerca più verso l'interno che verso l'esterno di me stessa. Il lavoro con Silvia e Giovanni fu meraviglioso; c'era una grande affinità sia musicale che umana, ridevamo molto e passavamo molto tempo a provare; inoltre, io e Silvia abbiamo lavorato a lungo insieme, questo ci permise di entrare in sintonia piuttosto in fretta per la registrazione del disco. Anche qui, tuttavia, come in "A-Symmetry", non mi posi grandi interrogativi in merito alla musica da comporre per la recording session; mi limitai a scrivere ciò che avevo in testa, al suono che questo trio evocava in me ed a trovare un modo per far convergere le nostre differenze stilistiche; credo che i miei compagni in quella circostanza abbiano fatto lo stesso; infatti, sia le mie composizioni che quelle di Silvia trovano un loro punto d'incontro tutto sommato in modo naturale e non forzato, nonostante le nostre differenti scelte stilistiche e derivazioni musicali. Giovanni fu poi un musicista di straordinaria sensibilità nel fungere da collante nel suo drummin' sensibile ed attento. Sia le prove che i concerti che la registrazione furono sempre dei momenti di serenità, ricerca e comunicazione. Mi piacerebbe certamente fare un "Gas trio bis"...chi lo sa, magari in futuro...tutti e tre abbiamo seguito altre direzioni negli ultimi due anni, ma non è escluso che ci si possa reincontrare per riprendere da dove abbiamo lasciato.

Parliamo di "Playing Bacharach": come è nato questo tuo progetto?
Questo progetto è nato in me in prima battuta, in seguito ad alcuni commenti espressi da persone a me vicine, non coinvolte nella musica, che mi manifestavano il loro disagio, talvolta, nel non riuscire a seguire completamente un concerto jazz per la difficoltà dei contenuti ed a sentirsi quindi un po' esclusi, come pubblico, a meno che non vi fossero degli elementi che in qualche modo potessero aiutarli ad entrare in questo particolare linguaggio. Questa considerazione, unita alla grande stima che nutro verso questo colto compositore ed il desiderio di far qualcosa che fosse molto diverso dai due dischi precedenti, mi ha portato a proporre questa session alla Gecorecords che ha approvato subito l'idea. Inoltre, la consolidata collaborazione con il bravissimo polistrumentista Gianluca Carollo e l'apporto degli altri due eccellenti musicisti (Hebling e Beggio), mi ha permesso di scrivere in gran libertà, trasformando a mio piacimento i brani (n.b. cosa che amo fare, arrangiare!) senza alcun vincolo, tranne uno, cioè quello di rispettare la melodia, facendo si che si potesse condurre il brano dove volevamo noi e partendo al contempo da un punto che potesse aiutare l'ascoltatore a seguirci fin dall'inizio.

Una domanda che potrà risultarti oziosa: è difficile essere donna nel mondo del jazz?
Non è una domanda che mi pongo molto spesso, in questo stadio della mia vita; diciamo che non amo molto certe etichette del tipo "Festival in rosa", "Il concerto delle jazziste" o cose del genere; ho avuto modo di lavorare diverse volte in festival con questa nomenclatura e spesso ho trovato organizzazioni fantastiche, molto disponibili ma, tuttavia, ritengo che questo sottolineare la condizione femminile sia dannoso per noi, anche quando fatto con buone intenzioni. (Inviterei in tal proposito a leggere ciò che Dado Moroni ha scritto nelle note di copertina di "Faces").
Vorrei citare un aneddoto in proposito: mi è capitato una volta di incontrare un organizzatore di un locale carino dell'Emilia Romagna, che mi chiese quali fossero in previsione i miei concerti; risposi che fra essi vi era anche una partecipazione ad un festival dei sopracitati e lui rispose ridendo "Ah, si, il festival delle femmine!" Poco importa che a quel festival fossero ospiti Tony Scott, Fabrizio Bosso ed altri nomi illustri....tuttavia, non ho problemi con il mio essere donna e vedo che non è un problema nemmeno per le persone con cui lavoro; quando questo è successo, con quelle persone non ci ho più lavorato. In questo senso sono stata molto fortunata, ho avuto collaborazioni fantastiche con musicisti che mi hanno sempre sostenuta e appoggiata (e vorrei citare Gianluca Carollo, Titti Castrini, Giovanni Gullino, Fabio Morgera, Bob Bonisolo, Marc Abrams e altri) ed organizzatori che hanno creduto e promosso la mia musica. Non è stato facile, ma non lo è per nessuno, non solo per le donne.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Vorrei registrare un disco con il nuovo progetto con cui ho aperto recentemente il Padova Jazz Festival e portarlo in giro il più possibile; si chiama "Kubopower" e credo rispecchi davvero ciò che in questo momento sento di voler suonare. E' un gruppo con fisarmonica, percussioni, batteria, basso, piano e tromba. Vi sono delle caratteristiche "mingussiane" unite ad un sapore afro dato dall'unione percussioni-batteria che tanto amo; l'intersecazione di tromba e fisarmonica creano una costante evoluzione del materiale melodico e scrivere per questi musicisti è un piacere. Inoltre, ciò che mi stimola moltissimo, è la poliedricità di questi artisti, la totale apertura mentale. E poi....vorrei misurarmi con il piano solo, più avanti, una dimensione che non ho ancora affrontato in profondità. Sto anche approfondendo la mia conoscenza dell'elettronica; mi diverte suonare alcuni repertori con le tastiere, vi sono delle possibilità sonore che non conoscevo fino a pochi mesi fa. E infine, studiare tantissima musica classica. Come passione collaterale, comincerò a febbraio una collaborazione con lo storico programma radiofonico "Take Five" di Juliano Peruzy, il giovedì sera, su Radio Sherwood, su 97.8 a Padova ed in streaming. Ho sempre amato la radio e questo è uno dei bellissimi regali del 2011!







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Data pubblicazione: 25/03/2012

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