Piacenza Jazz Fest 2010
Roswell Rudd Quartet
27 febbraio 2010
di Andrea Gaggero
Giunto alla sua settima edizione il Piacenza Jazz Fest, momento "pubblico"
e apicale dell'attività annuale del cittadino Jazz Club, rappresenta una realtà
particolarmente ricca, (decine di concerti sparsi nell'arco di un mese), stimolante
(jazz nostrano e internazionale abilmente mischiati, a cui si affiancano convegni
e mostre grazie anche a collaborazioni preziose quali quelle con la SIdMA e con
Europe Jazz Network) nel panorama della promozione jazzistica italiana odierna.
Ad aprire la stagione
2010, sabato 20 febbraio una gloria nazionale (Enrico
Rava) e poi il sabato successivo il Quartetto di Roswell Rudd,
di cui parliamo, in collaborazione con la rassegna itinerante Crossroads.
Occasione rara e irrinunciabile quella di poter ascoltare dal vivo
Roswell Rudd: il concerto è un regalo, una gioia ed una occasione, rara, di
contatto con un Maestro assoluto - oltrechè fine intellettuale - di questa musica.
Il
quartetto in cartellone è, esclusi forse i gruppi dixieland degli inizi, la formazione
più swingante e "tradizionale" che Rudd abbia mai diretto e anche se ci aveva abituato
a ben più originali impasti timbrici, l'inconsueto quartetto "drumless" formato
da trombone, voce, basso e pianoforte, è scelta vincente: viene così ulteriormente
posta l'accento sul tono cameristico (verrebbe da dire "liederistico") della proposta.
E' il "lied" (il canto) l'elemento fondante della non recentissima proposta di Rudd;
la stessa formazione incideva nel 2007 un bel
disco per la Sunnyside, sorretta da uno swing esplicito e trascinante, grazie principalmente
al contrabbasso scuro, poderoso e insieme agilissimo di Ken Filiano. Quella
di Rudd oggi è musica rasserenata, ecumenica e insieme dal carattere marcatamente
"epico"; Rudd è "grande vecchio", sopravvissuto a mille battaglie, che ha visto
passare sotto i suoi occhi mezzo secolo di storia dell'America e della sua musica
e infine dopo i tardivi giri del mondo e rinnovati incontri con le musiche (le collaborazioni
con Toumani Diabatè e la Mongolian Buryat Band ne sono la viva testimonianza) torna
rasserenato, commovente e visibilmente commosso.
La sentita, perché partecipata e vissuta nel profondo, medley ellingtoniana
è manifesto di poetica e chiarifica ulteriormente gli intenti, in realtà abbastanza
espliciti, della musica odierna di Rudd: la musica come linguaggio di fratellanza
planetaria, come momento di ricomposizione dei conflitti, di riconciliazione e integrazione
tra le genti, la bellezza della poesia (anche musicale) come elemento catartico.
Visione di ampia sintesi quella di Rudd, che non esclude l'impegno culturale e sociale
(Blues For Planet Earth). Visione da cui discende direttamente il carattere
"epico" della proposta che ha il suo punto debole, dispiace sottolinearlo, nella
voce di Sunny Kim, "giovane" cantante coreana di buone qualità vocali, discrete
doti interpretative e sicura intelligenza musicale. Sunny si trova di fronte ad
un compito "impossibile", quello di sintetizzare ed esprimere compiutamente il mondo
musicale, spazialmente e temporalmente dilatato, di Roswell Rudd. Più agevole
il compito di Lafayette Harris e Ken Filiano i quali possono sottrarsi
al canto e a ciò che ne consegue. Pianista raffinato e sensibile il primo, dotato
di sicura e sentita conoscenza della storia del jazz è parso sempre a suo agio,
particolarmente nella citata medley ellingtoniana. Contrabbassista poderoso ed agilissimo,
dalla tecnica strabiliante e dal suono scuro e profondo, FIliano è sostegno ritmico
armonico di grande valore. Ma la formazione si regge e prende senso completamente
dal suono enorme di questo giovane settantacinquenne che non ha perso nulla della
potenza di emissione e della visionarietà fuori del tempo che lo hanno da sempre
caratterizzato. Per comprendere meglio Rudd bisogna riandare al "Trombone Cholly"
di Bessie Smith con Charlie Green, suo primo e unico maestro, a forse Joe Nanton.
E il carattere epico quasi programmatico della musica di Rudd tocca un
vertice nel "Come Sunday" ellingtoniano, irriproponibile oggi e, invece,
candidamente riproposto (anche se impossibile per la brava Sunny), ed anche nel
conclusivo "brano sacro" "The Light Is With Me", scritto da Rudd.
Così Bessie Smith: Roswell Rudd!... "Blow that thing!/I mean that
slide trombone./Make it talk, make it sing/Where did you get that tone?/If Gabriel
could hear you blow/He'd let you lead his band, I know".
A presto Roswell.
Inserisci un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 2.897 volte
Data pubblicazione: 06/03/2010
|
|