Carla Bley Big Band
22 luglio 2006 Roma Jazz Festival - La Palma Club
di Daniele Mastrangelo
foto di Alice Valente Visco
Carla Bley quando si è presentata sul palco sembrava un cerino luminoso,
esile, ossuta, con un grande e lungo casco di folti capelli bianchi. Osservandola
mentre dirige l' orchestra ci si poteva meravigliare dell'equilibrio che permettono
due gambe così sottili come stecchini oppure restare catturati dal suo modo di segnare
il tempo a palmo chiuso, come se dovesse imbeccare degli uccellini. Complessivamente
la si potrebbe immaginare come una creatura uscita da un film di Tim Burton quando
inclina al gotico sepolcrale.
Esiste
un isomorfismo fra la sua natura fisica e la musica che si ascoltava, fra il suo
aspetto surreale e le composizioni dominate da una cifra parodistica verso la tradizione
del jazz. I numi tutelari che sono stati evocati corrispondono ai nomi di Duke
Ellington e
Charles
Mingus, di fronte ai quali la Bley sta come una rivisitazione
del dramma classico da parte di un teatro di Pupi siciliani.
Ad Ellington la lega soprattutto l'influenza dell'armonia blues sviluppata,
arricchita, resa elegante ma sempre mantenendo la traccia della sua origine povera,
sentimentale e melanconica. Inoltre questi caratteri erano rafforzati grazie ad
arrangiamenti che sfruttavano il vigore espressionista di musicisti come Soloff,
Sheppard, Puschnig e soprattutto del trombone di Gary Valente.
Basta tornare con la propria memoria musicale alla vocalità del più grande
trombonista di Ellington, Cootie Williams, immaginare di riascoltarlo nei
suoi "discorsi parlati" e si avrà un'idea di come Valente ha introdotto
Goodbye Pork Pie Hat, quel sommesso pianto funebre
che Mingus
dedicò a Lester Young. L'ha introdotto attraversando come in una dissolvenza
quel limite sottile che dall'andamento del parlato porta all'articolazione del canto
e così, intensa è stata l'evocazione.
Dalle stagioni dell'avanguardia a quelle dell'impegno politico, oggi la
Bley sembra aver risolto queste esperienze in una rielaborazione della tradizione
classica ironica e distaccata. Negli anni cinquanta era la cigarette-girl
al Birdland e quei maestri poteva ammirarli tra il pubblico proprio come
noi oggi ammiriamo lei e la sua capacità di ricordarceli.
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Data pubblicazione: 11/11/2006
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