Il cannibalismo musicale pervade questa magna opera di
Gregg Kofi Brown per la
Nicolosi Production. Un lavoro ebbro di musiche, colori, voci profumi. Ma con un tema comune: la monotonia. Già, perchè nonostante il nutrito ventaglio di musicisti che corollano questi dieci brani, al lavoro manca qualcosa.
Un'orda di collaborazioni: da Sting a Stanley Jordan, da Billy Cobham ad Emanuele Cisi passando per Des'ree e Gabrielle, Airto Moreira e Dominic Miller e tanti altri.
Ombre di jazz elaborato, rivisto, corretto con misture pop – parecchio - funky, smooth a tratti ballabili. Accenti di buona fattura anche compositiva, ma soprattutto esecutiva.
Apre Lullaby to an anxious child dell'inconfondibile
Sting. Un brano che non si può mettere in discussione, forse. Ma è il biglietto da visita dell'intero lavoro. La presenza dei Novecento pervade l'album ed infatti li ritroviamo subito anche nelle track 2 e 3, rispettivamente Live as One e World Spirit che non lasciano spazio ad alcuna fantasia.
Di particolare pregio sicuramente gli interventi di Emanuele Cisi sia al soprano che al tenore, soprattutto nella discreta Midnight Flyer (ancora i Novecento) e nell'accompagnare le voci di
Des'ree e Gabrielle in Wake up the morning.
Una menzione a parte merita la traccia Shadow che vede l'accoppiata Billy Cobham – Fabrizio Bosso che trascina il brano con un solo senza respiro, illuminante.
E poi un brano fra tutti: Sky Flower con Stanley Jordan che mette il turbo e inietta adrenalina.
Il groove di Mimmo Campanale e Riccardo Fioravanti che rischiarano, con alcuni loro interventi, i lati più oscuri del disco.
Una koinè di suoni, si diceva. Troppi artisti, troppa carne a cuocere però.
Gregg Brown un po' scompare in mezzo a questo mare magnum di artisti, stili e generi.
Madre Africa si ascolta solo in sottofondo, a parte la robusta evocazione di Airto Moreira in Aya A.
Gregg Kofi Brown ha una storia alle spalle. Una storia fatta di World Music e Jazz (Osibisa), fatta di collaborazioni d'ogni genere e questa sua prima prova ne è un quasi riassunto.
Alla fine, però, rimangono molte perplessità ed un senso di ciclopica "fame" di originalità.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia