Se sempre più rare nell'attuale panorama jazzistico sono le band stabili che superino i cinque-sei membri, anche per intuibili oggettive difficoltà di gestione ed organizzazione, ecco che dalla congerie di trii, quartetti, quintetti e
combos vari emerge un organico di quindici elementi, giovani e dotati professionisti, alcuni pure d'estrazione classica, i quali, grazie all'iniziativa della conduttrice e compositrice palermitana Marvi La Spina, si ritrovano a trasfondere la propria vivacità e voglia di fare jazz in un ardito ed affascinante progetto, la Macchina di Suoni Jazz Orchestra. Nata nel '97, sebbene allora in formazione più ridotta, con l'intento di proporre arrangiamenti con un approccio d'equilibrio fra il rigore dell'esecuzione classica e la fresca grinta delle forme del jazz, l'Orchestra della pianista palermitana con questo cd compie un importante passo nella propria carriera. Registrato circa un anno fa al teatro Politeama Garibaldi di Palermo, presentato in seno alla rassegna
Jazz Vanguard della stessa città, questo lavoro è basato sul fine dosaggio tra composizioni originali in prevalenza scritte ed orchestrate dalla La Spina e testi poetici di autori siciliani, classici e contemporanei, stilisticamente anche diversi tra loro, da Salvatore
Quasimodo ed Ignazio Buttitta a Lucio Piccolo e Luigi Capuana, fino alle
contemporanee Maria Costa e Maria Attanasio. Ed il risultato è assolutamente
di buon livello.
La musica affiora poco a poco dalla onirica ambientazione creata dal basso sostenuto e dalle percussioni di
Massimo Laguardia, lo stesso che con la sua calda voce recita
Armamentu 'i mari
per i versi della Costa colorati dal sax tenore di Raja. Dopo
Carbonio, cambio di ritmo, e di metro in metro si giunge a
Nero Barocco Nero
sullo sfondo di un blues "metropolitano" essenziale, staccato dal contrabbasso di
Luca Lo Bianco ed accentato dal grido esasperato e tormentato – come la torturata protagonista – della stridente armonia dei fiati, che svolgono nel chorus una cantabile linea melodica. Il solo è affidato alla penetrante mute-trumpet di
Giovanni Calderone che duetta quasi a distanza con il robusto sax di
D'Anna, sui gravi risaltati e prolungati dal violoncello. In coda il tempo accelera ed il tema orchestrale si fa incalzante nelle progressioni e nella voce recitante di
Anita Vitale, sfocia nella calma e più rilassante cadenza del blues, per finire sospeso nel refrain. Senza soluzione di continuità si giunge ad un dialogo fra ance nel registro alto del sax soprano – ad opera di Stefano D'Anna e Mario Raja –
apertura di
Òboe Sommerso, traccia che musica le celebri rime del
Quasimodo dando titolo all'intero album. Nonostante la
composita singolarità delle molteplici voci – il rintocco del contrabbasso, i
fiati disarmonici, il tappeto ritmico della batteria – colpisce l'organicità che
la compositrice con i propri arrangiamenti riesce a trasmettere con lucidità
agli ingranaggi della sua Macchina, in una coralità orchestrale, sapiente
amalgama di timbri, in cui tutti gli strumenti, voci comprese, incarnando il
linguaggio interpretativo, danno vita ad un'unica atmosfera sonora.
Segue Kemonia, cadenzata composizione modale della La Spina che commenta i versi di Si' funtana del Capuana attraverso un'esecuzione che, per ritmo e dinamica, a tratti evoca certa freschezza orchestrale di hancockiana memoria.
Gli interventi solistici sono qui rimessi allo spigliato tenore di Gaspare Palazzolo ed all'acutissima e sibilante tromba di
Silvio Barbara, mentre Laguardia, mattatore in questo brano, dopo le rime cantate in tono perfetto con il riff melodico, si da' ad un break percussivo di grande effetto.
Gocciolanti note di piano piovono sulle parole di
'A Brogna
(Maria Costa) scandite dalla voce recitante, poco a poco sospinta ad un ritmo più celere dalle stesse percussioni per divenire martellante in assolo, sopra dei tenui fiati, in un triangolo voce-piano-percussioni di suggestivo risultato.
L'Ammonimento, di Lucio Piccolo, è cantata dalla swingante voce di
Anita Vitale, protagonista di quest'altro tema orchestrale che con seste e none rinfresca lo smalto del ricordo di certe orchestre leggere anni '70, qui però ad esprimere un'impostazione
melodico-armonica di assoluta modernità.
Unico originale non firmato dalla "conduttrice" della Macchina
'U Misteru
(su lirica di Ignazio Buttitta), composto infatti dal sassofonista Stefano D'Anna, semplice e malinconico brano, convincente pretesto musicale sul quale l'autore espone la propria espressività tecnica e soprattutto emozionale, ripreso nell'inciso dai vocalizzi della
Vitale. Brillante il solo al soprano, anima più romantica e perciò meno rocciosa di
D'Anna. Partecipa anche il tenore dell'ottimo Mario Raja, per assiduità e
frequentazione musicale ormai ascritto all'organico della band. E le
improvvisazioni si fanno modali sulle modulazioni alternativamente ascendenti e
discendenti nell'intervallo di un tono.
Il cd non poteva che concludersi con
Quasimodo, tanto nei versi di Ed è subito sera che nello standard di Charlie Parker, con svolazzanti e "birdiane" note dei sax in forza alla Macchina di Suoni. La quale si conferma una felice promessa tra le formazioni orchestrali dell'attuale panorama jazz nazionale, per brio, idee e novità.
Antonio Terzo per Jazzitalia
photo by Leandro Lo
Bianco
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Data pubblicazione: 21/03/2004
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