"Dall'età di cinque anni ho la mania di copiare la forma delle cose, e dal mezzo centinaio in poi ho esposto molti disegni, ma non ho dipinto nulla di notevole prima dei settant'anni. A settantatré ho compreso un poco la forma delle erbe e degli alberi, la struttura degli uccelli e degli altri animali, insetti e pesci; perciò a ottanta mi auguro di essere progredito oltre; a novanta di aver carpito il significato segreto delle cose, così che a cento avrò raggiunto il divino mistero e, a centodieci, anche un punto o una linea saranno vivi. Prego chi di voi vivrà abbastanza di verificare queste mie parole."Sono parole del pittore ecuadoreño
Oswaldo Guayasamin, la cui opera "La edad de la ira" ha dato il titolo al progetto, nonchè ad uno dei brani contenuti nel nuovo lavoro in trio di
Antonio Flinta. Il terzo, per esattezza, e quello nel quale più si respirano sonorità "transoceaniche".
Pianista di origine cilena, ma di cosmopolita formazione (studi musicali a Madrid, a Boston e in Italia),
Flinta si trasferisce in Italia nel 1989 e nel 1993 da vita a questo pregevole trio, unitamente al contrabbassista
Roberto Bucci ed al batterista Claudio Gioannini.
La notevole esperienza acquisita, nonchè la maturità artistica del progetto in trio sono evidenti. Come già nel precedente "Tree and figure", il lavoro si compone di soli pezzi originali (sei), più un'unica cover (lì era "What are you doing the rest of your life" di Michel Legrand, qui "In front" di Keith Jarrett).
Un progetto articolato, preciso, studiato e ragionato fin nei dettagli; caratteristiche che, insieme alla perfetta interazione tra i tre (mai troppo invadenti, mai troppo presenti, soprattutto laddove, per ovvi motivi, il piano è e deve essere leader), ed al sound moderno che tanto piace al pubblico di oggi, rende il lavoro di notevole spessore.
E queste stesse caratteristiche fanno sì che anche i momenti di maggiore pathos
beneficino di una sottostante e marcata sensazione di rilassatezza, sia a livello ritmico che a livello espressivo.
In tutto il progetto si avverte chiaramente la matrice tyneriana dell'"anima musicale" di
Flinta, con cellule melodiche presenti indistintamente in tutti i brani del cd.
E anche laddove Tyner sembra cedere il passo alla scuola evansiana (vedi la cover di "In front", la quale, ad ogni modo, richiama più i variegati e numerosi discepoli che il "maestro"), è sempre lo stesso Tyner a riaffiorare prepotente nelle linee melodiche improvvisative, le quali profumano anche di alcuni lavori in trio di Brad Mehldau (cosa tutt'altro che disprezzabile).
La ricchezza espressiva di Antonio Flinta trova voce non solo a livello esecutivo, ma nelle composizioni originali presenti nel cd (tutte sue).
Tra queste ultime, merita menzione la felice intuizione (poli)ritmica di "Moove", che alterna battute regolari ad una irregolare, dando modo al contrabbasso di
Bucci di esaltarne il movimento. Gli oltre undici minuti del pezzo consentono, poi, a
Flinta di procedere in una improvvisazione "fuori", sostenuta dalla precisione della sezione ritmica, per evolvere, infine, in un ending funkeggiante sul tema iniziale.
E, ancora, il lirismo melodico di "Azul y Blanco", dove la modernità si inserisce simbioticamente nella tradizione, quale ideale trait d'union tra classico e moderno
L'artista si esprime, inoltre, con felice vena pittorica (come è facile osservare tramite la copertina del cd, che, anche qui, come nel precedente progetto, riproduce un'opera dello stesso
Flinta, "Oil and Sand").
Ma forma espressiva è anche la molteplicità dei colti riferimenti, alla pittura latino-americana, al "mondo fluttuante" dell'arte "ukiyo" di Hokusai, ai grandi Caetano (Veloso) e Pedro (Almodovar): indipendentemente delle differenze, punti di riferimento di un artista sfaccettato.
Maria Morena Ragone per Jazzitalia