[Dylan Different è un'esclusiva italiana per MicrocosmoDischi distribuito da IRD]
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Ben Sidran
Dylan Different
1. Everything is broken
2. Highway 61 revisited
3. Tangled up in blue
4. Gonna serve somebody
5. Rainy day woman #12 & 35
6. Ballad of a thin man
7. Maggies farm
8. Knockin' on heaven's door
9. Subterranean homesick blues
10. On the road again
11. All I really want to do
12. Blowin' in the wind
Ben Sidran
- Vocals, Piano, Wulitizer, Hammond B3, Fender Rhodes
Alberto Malo - Drums and Percussion
Marcello Giuliani - Acoustic and Electric Bass
Rodolph Burger - Guitar, Vocal on "Blowin' in the Wind"
Bob Malach - Tenor Saxophone, Flute, Bass Clarinet
Michael Leonhart - Trumpet, Flugelhorn
Amy Helm - Background Vocals
Georgie Fame - Vocal and Organ on "Rainy Day Woman #12 & 35"
Jorge Drexler - Vocal on "Knockin' on Heaven's Door"
Leonor Watling & Luca - Background Vocals on "Knockin' on
Heaven's Door"
Leo Sidran - Horn Arrangements, Additional Guitar, Hammond
B3, Piano, Koto
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Le tracce scelte per Dylan Different risalgono alle più importanti canzoni
del periodo 1963-1989,
intervallo di tempo durante il quale il mito di Like a Rolling Stone andava
dilagando a dismisura, influenzando non solo la produzione di testi, le formazioni
musicali e la musica dei gruppi rock, ma anche i lavori artistici di più ampio raggio,
arrivando perfino a coinvolgere la pubblicità. A quei tempi, John Berg, art director
della Columbia Records, chiamò Milton Glaser per l'assegnazione della messa in opera
di quel poster che divenne successivamente il simbolo per eccellenza di Dylan e
della sua generazione. A distanza di 40 anni «non sono mai riuscito a capire perché
certe immagini continuano a rimanere nella nostra cultura, mentre altre scompaiono
senza lasciare traccia» si chiede sorpreso Glaser. E sempre 40 anni dopo, Sidran
afferma che Dylan « oggi è come un virus, che staziona in ogni più piccolo angolo
della musica pop» tanto che, pur avendoci messo tutti questi anni per riuscire ad
pagare musicalmente il suo debito a Dylan, è qualcosa che avrebbe voluto fare già
da molto tempo.
Dylan Different è stato registrato in una fattoria
dell'Alsazia con il contributo di amici come Radolphe Burger, Jorge Drexler
e Georgie Fame. Un tocco di stelle in più lo aggiungono il sax di Bob
Malach, già bagnato dalla fortunata collaborazione con Stevie Wonder e la tromba
di Michael Leonhart.
La percezione del disco è molto particolare: da un lato si avverte il lavoro
meticoloso per accordare sullo stesso sentimento dylaniano le personali esperienze
ricollegabili all'ascolto dei brani storici, perchè il tutto fluisca in maniera
riconoscibile; dall'altro, si riconosce un tocco soggettivo e una volontà di sperimentare
una strada alternativa rispetto all'interpretazione originaria dei pezzi scelti.
Insomma, qualcosa di innovativo si intravede, ma è una sensazione poco netta e la
bellezza della musica, che sicuramente ne risulta a prescindere dal tentativo di
essere una differenza da Dylan, fa nascere il dubbio su quanto la paternità rivoluzionaria
di questo rock possa essere rivisitata.
Ben Sidran ha un curriculum
intoccabile: pianista, organista e cantante jazz di fama mondiale, collaboratore
di artisti rock, jazz e blues del calibro di Eric Clapton, Rolling Stones, Steve
Miller Band, Van Morrison, Rickie Lee Jones,Marcus
Miller, Peter Erskine,
Phil Woods e Georgie Fame, è stato poi premiato broadcaster americano
per la serie "Jazz Alive". Non solo produttore, studioso, scrittore e giornalista,
Sidran è anche uno dei più grandi esponenti del jazz moderno, del rock e del pop.
Con una tale esperienza certamente il coraggio e la competenza per lanciarsi in
un'impresa come questa non poteva mancare. L'ambizione a fare tanto è chiara ad
una grande fetta del pubblico, forse un po' meno ai più giovani, perchè: «non
si può comprendere pienamente quanto Bob Dylan sia stato importante per l'America
tra il 1961 e il 1967 se non si era lì, in carne ed ossa, in quegli anni»,
per dirlo con le parole testuali di Sidran. C'è quest'uomo venuto fuori da chissà
dove, che inizia a parlare di cose magiche, ultraterrene; e che spinge con il suo
esempio, un mucchio di persone alla stessa cosa. Si può dire che quest'uomo debba
ritenersi personalmente responsabile del fatto che a causa sua, centinaia di persone
abbiano iniziato a scrivere canzoni. «In quegli anni io ero un fanatico del jazz
ma accanto a Kind Of Blue e A Love Supreme ascoltavo anche ogni album che Dylan
faceva; sicchè, quanche anno fa, ho iniziato a suonare qualcuna delle sue canzoni
dal vivo, per la prima volta. E ho trovato che non solo erano divertenti da cantare,
ma anche le persone amavano sentirne i testi "vestiti" di nuovo».
Eppure, all'interno delle regole di questo gioco, esiste anche una "maledizione"
dalla quale è impossibile probabilmente liberarsi.
Dylan spesso non era contento dei suoi rapporti con la Columbia Records, così
fornì all'industria discografica il suo castigo: Los Angeles fu travolta da una
serie di reazioni poco felici per chi produceva musica all'epoca. Dopo il primo
ascolto di Like a rolling stone, Frank Zappa voleva abbandonare la musica.
Patty Smith, suonando quella canzone dal vivo per la prima volta durante un concerto,
qualche anno dopo,a metà pezzo si mise a piangere perché non riusciva a cantarla.
Dylan stesso si aprì a commentare che prima della sua canzone, nessuno ne aveva
mai scritto davvero. «Elvis liberò i nostri corpi» dichiarò un quarto di
secolo dopo Bruce Springsteen, ma Dylan ha fatto di meglio realizzando qualcosa
che «liberava finalmente le nostre menti». A Londra, mentre contemplavano il premio
"Ivor Novello" appena vinto per Cant' buy Me Love, John Lennon e Mc Cartney
ascoltarono attentamente l'ondata americana di rivoluzione, elevando il loro livello
creativo con una successiva Rubber Soul per sfuggire all'isterismo del Nuovo
Continente. Insomma, furono anni di fermento e scombussolamenti, ma il risultato
è riassunto in quel ritratto fatto con cartoncino nero e ritagliato di profilo,
incollato su fasci di colore in stile pop-art di Glaser, il cui simbolo, al pari
di I love NY, è universalmente legato ad un periodo musicalmente considerato
Mito e forse, romanticamente, intoccabile.
Come si potrebbe pensare di proporre una soluzione musicalmente diversa ai testi
di Dylan dati questi presupposti? Mentre sta concludendo la stesura de Gli ebrei,
la musica e il sogno americano, Ben
Sidran ci regala, con Microcosmo Dischi in esclusiva italiana,
un album speciale dedicato alla storia di Bob Dylan, che con il suo personalissimo
taglio in chiave jazz, prova a suggerirci una risposta.
[L'idea simbolo della generazione Like a Rolling Stone di Milton
Glaser ]
Rosanna Perrone per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 24/04/2010
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