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Intervista a Rossana Casale
di Marco Losavio
photo by Alberto Gottardelli (Blue Note, Milano)

Incontriamo Rossana Casale durante un breve tour in Puglia per presentare il nuovo CD "Billie Holiday in me" dove ha suonato con Mario Rosini al piano, Mimmo Campanale alla batteria e Paolo Romano al contrabbasso.

JI: Partiamo da quest'ultimo lavoro. Hai scritto "Billie Holiday ha tracciato le mie scelte in musica, ancora oggi è così". Di fatto in "Jazz in me" hai eseguito una bella versione di Don't Explain, poi hai cantato Strange Fruit in "Strani Frutti" e ora questa esplicita dedica a Billie Holiday. Cosa ti ha fatto decidere?
R.S.: Mah, sai, come tutte le cose della vita, quando arrivi finalmente ad una cosa è stato il destino a portatici. Non avevo in progetto di realizzare questa cosa, è stato un insieme di coincidenze: Luciano Milanese ed io ci sentiamo a giugno e ci ripromettiamo di tornare a suonare insieme. Non suonavo jazz puro, diciamo così, da parecchi anni perchè avevo fatto altri progetti dove magari c'era il profilo jazz ma non facevo jazz puro almeno dal '94 o '95. Quindi Luciano ed io cominciamo a suonare di nuovo insieme e così penso che magari possa nascere un "Jazz in me 2". Mentre sto scegliendo i brani mi accorgo che molti sono di Billie Holiday così dico a Luciano: "Che ne dici se facciamo un concerto su Billie Holiday?". Lui accetta e così cominciamo a portare in giro questo progetto con poche tappe perchè io nel frattempo stavo ancora promuovendo "Riflessi" e Luciano stava suonando con Gianni Basso. La casa discografica viene ad un concerto e propone di registrarlo. Nel frattempo io stavo preparando un altro lavoro che sarebbe dovuto uscire a Natale, sui cantautori italiani, mi accorgo che è tardi, non facciamo in tempo e...ecco il destino, prendo la decisione di entrare in studio e registrare questo CD con l'apporto di Luigi Bonafede al pianoforte, Luciano e Carlo Milanese, Andrea Pozza, Claudio Capurro, Aldo Mella, Fulvio Chiara, Massimo Baldini. E così è stato. Quando poi ho deciso che sarebbe stato questo il lavoro che doveva uscire a Natale mi sono ascoltata ore e ore di musica di Billie Holiday, mi sono studiata la vita, ho fatto proprio un viaggio dentro andando a scoprire le cose che fai come studio, le cerchi e ne fai un'opera di approfondimento. Il fatto che lei abbia tracciato la mia vita in musica è più come modo di affrontare la sua vita in musica. Lei è una persona che ha vissuto totalmente di musica, senza compromessi e con tanta sofferenza, tanta fame, con quel tipo di compromessi dove il suo amore per la musica diventava il dover lavorare per mangiare. Però la sua musica non ha mai accettato compromessi, lei ha fatto quello che sentiva, ha cantato quello che voleva cantare e ha vissuto insieme ai musicisti con cui lei voleva vivere, ha condiviso con loro i giorni peggiori che si possano immaginare ma anche i più bei momenti di tuffo nell'universo che probabilmente noi neanche riusciamo a conoscere. Noi viviamo in un altro tipo di epoca, sicuramente molto presi con la vita di tutti i giorni per cui fare musica diventa un momento di abbandono, una scelta, un luogo dove andare. Anche per me, io sono mamma, sono artista, ho il commercialista, photo by Alberto Gottardellil'avvocato, la macchina, faccio la spesa ecc...e poi vado ad immergermi con la musica. A quei tempi non si faceva questo, si viveva lì e basta. Lì si mangiava, lì si dormiva, lì si soffriva, lì si gioiva, lì si faceva tutto. E questa cosa per me è stata sempre un grande punto di riferimento, cioè capire che la musica non deve essere un lavoro. Se avessi scelto di fare la cantante per lavoro avrei fatto un altro tipo di strada, avrei lavorato per essere prima in classifica. Vedere la vita di questi artisti, di Billie Holiday che poi è una donna, per me è stato importante per fare le scelte che ho fatto, per non cadere in certi meccanismi, non accettare quei compromessi e seguire il sogno di essere e di vivere in musica, almeno fino a dove posso, e crescere dentro la musica. Ciò mi ha dato molta felicità, devo dirti, la notte dormo, son contenta di quello che faccio. In questi giorni sto facendo molta musica e torno a casa con molti regali che sono le emozioni vissute in questi giorni. Questo è stato per me quando dico che lei ha tracciato le scelte della mia vita in musica. Ho sempre sognato di essere lontana dalle prigioni che gli altri ti propongono e l'ho fatto grazie ad artisti come lei ma anche come un Chet Baker, John Coltrane, per esempio, ma non solo jazz...anche artisti come Janis Joplin, persone che hanno vissuto veramente solo camminando dentro la musica.

JI: Dee Dee Bridgewater ci ha detto che quando ha interpretato Billie Holiday ha avvertito come una specie di possessione e ciò la prostrava, analogamente Ami Stewart ha detto che ritornava dalle prove letteralmente spossata poichè forse troppo coinvolta nella parte...
R.S.: Be', loro hanno anche una cosa in più rispetto a me. Billie Holiday ha vissuto fortemente la tragedia del razzismo, dell'essere nera, e loro ovviamente capiscono molto meglio questo, anche se io ho gridato forte dentro di me allo schifo dell'essere umano e a come si può comportare in maniera ignobile, però sicuramente è una cosa che puoi sempre vedere da fuori finchè non sei così, per cui sicuramente Amii e Dee Dee pur vivendo in un'epoca che non presenta gli stessi gravi problemi del tempo capisco che possono aver avvertito un senso di coinvolgimento assoluto. Considera che Billie Holiday doveva entrare dalla cucina, non poteva rimanere sul palco quando non cantava, lei doveva cantare e andarsene, doveva mangiare in un altro posto ecc...ecc...ecc.....oggi non si vivono più queste cose ma il razzismo c'è ancora, per cui sentire la sofferenza di Billie Holiday addosso deve essere stato molto forte, immagino...le capisco.

JI: Essere cantante è una missione o una professione?
R.S.: per me vivere è una missione e sempre bisognerebbe considerare le cose come una missione, mai come una professione. La professione ti arriva naturale perchè lo fai da tanti anni e sei una professionista per come ti comporti per come pensi per l'esperienza che hai addosso ma per me portare musica alla gente vuol dire fare del bene, farli andare a casa che stanno bene, che sono felici, questa è la grande conquista. Il vero benessere lasciato alla gente è quello che si portano fino a casa, fino al letto, se riesci a farli addormentare sereni allora sei riuscito a fare un buon lavoro, altrimenti è come fare il solletico ad un bambino, ride in quel momento e basta, poi si dimentica, capisci? Per me questa cosa è importante, anche se ti rendi conto di essere un'artista piccola in confronto a grandissimi nomi della storia, però il giorno dopo magari incontri una persona per strada e ti dice che sono tre giorni che vive di quelle quattro note che hai suonato: è importante questo! E' molto più importante, ecco perchè è una missione. La musica in fondo è vibrazione e la vibrazione è vita, devi riuscire ad incontrare la vibrazione degli altri per farli camminare insieme a te, armonizzarti con gli esseri che hai davanti, devi capire il pubblico che hai davanti e domarlo, adattarti. Il pubblico va ascoltato, si capisce subito da prima del concerto che tipo di pubblico hai davanti: se ha bisogno di dolcezza, se ha voglia di giocare, se è distratto, se è nervoso, se vuoi lo puoi capire e quindi il concerto lo puoi adattare.

photo by Alberto GottardelliJI: C'è una dimensione che preferisci tra Jazz Club, teatro...
R.S.: il teatro è il numero uno! Il teatro è magico. Il Club è...è una coccola, sa sempre più di essere umano...puzza un po'...ecco...sa di vita per cui ti piace anche andare nei club. Il teatro ha il silenzio dove qualsiasi suono è percepito.

JI: La tua voce è riconoscibile dopo poche sillabe, per cui hai una tua unicità. Come si fa a diventare unici?
R.C.: Non lo so! Io credo che siamo tutti unici. Non credo che si diventi, bisognerebbe fare quello che uno sente veramente, io ho lottato brutalmente per fare questo. Non avevo altra scelta perchè quando non l'ho fatto sono stata talmente male che non era possibile per me. Probabilmente sarebbe bello portare questo messaggio ai ragazzi che vogliono fare musica. invece di assomigliare agli altri, cercassero di individuare la loro essenza, il loro suono base. Ognuno di noi, come dicevo prima, ha una sua vibrazione e quindi un suono, ognuno di noi è una "nota" e in più abbiamo la nostra esperienza personale. In musica si deve portare questa cosa agli altri. Purtroppo oggi c'è molto "il diventare famosi" e spesso si cerca di somigliare a qualcuno ma alla fine vince sempre la personalità, che è ciò che regala qualcosa in più al mondo, all'evoluzione musicale stessa. Non c'è un modo per crearsi una personalità, si è una personalità, bisogna solo sentirsi forti di ciò. Io quando salgo sul palco mi sento forte, mi sento un leone, mi piace.

JI: Pensi che una canzone mediocre possa diventare buona grazie ad un buon arrangiamento, ad un'ottima interpretazione?
R.C.: No, penso che una canzone mediocre rimanga mediocre ma non necessariamente da buttarla via, nel senso che anche una canzone mediocre può fare il gioco suo in un certo momento della vita, come il vedere un film stupido una sera può fare bene. L'importante è che sia un momento.

JI: E' importante cantare quello che piace?
R.S.: Io penso che Eros Ramazzotti sia Eros anche quando è a casa. Lui è quello che si vede, lui si mostra al pubblico così com'è, non è costruito e questo al pubblico piace. Ricordo, ad esempio, Toquinho. Lui cammina sempre con la chitarra, ce l'ha sempre, va al ristorante ed ha la chitarra. Una sera stavamo camminando e a Piazza di Spagna c'erano dei ragazzi che suonavano, lui si è seduto, ha chiesto la chitarra e si è messo a suonare con loro! E io ero lì...Un personaggio vero la gente lo sente.

JI: Spesso una critica che viene effettuata alle jazz singer non americane è la pronuncia. Patti del duo Tuck & Patti dice che si sente non tanto il difetto di pronuncia in sè, quanto un certo distacco dal significato delle parole che si cantano.
R.S.: certo, io ci tengo molto al significato del testo. Sono sicuramente agevolata per quanto riguarda l'inglese, la pronuncia, ma io spiego anche ai miei musicisti che cosa stiamo cantando perchè secondo me anche un musicista non può fare un bell'assolo se non sa di cosa parla il pezzo. Puoi fare una bella serie di note ma non necessariamente dire con le tue parole quello che sta dicendo la canzone. photo by Alberto GottardelliE invece jazz è anche quello, improvvisare sul tema. Per cui adoro fare questa cosa e dire ai musicisti di cosa parla un pezzo anche per poter decidere l'arrangiamento. Ho sentito fare Love for Sale a bossa nova, ma Love for Sale parla di una prostituta che vende il suo corpo. Io lo faccio esponendo il tema da sola col piano e poi sulla nota finale parte il gruppo con un altro tempo ma a quel punto c'è un significato. Io racconto il brano così com'è, perchè è nato, il suo aspetto drammatico e i musicisti rappresentano la rinascita. La musica deve avere un senso e il jazz in fondo è questo. Anche Billie Holiday quando faceva musica, era già dentro la rinascita, una cosa era il suo pensiero e le sue esperienze, ma quando faceva musica lei cercava la vita, era speranza, così come faceva il blues analogamente faceva il jazz.

JI: Senti di rischiare quando penso ad un nuovo progetto?
R.C.: C'è molto giudizio da parte degli altri. Oggi è uscita una recensione di Gabriele Ferraris sulla Stampa molto bella dove consiglia il mio disco dicendo che è un disco assolutamente valido e poi dice "comunque compratevi Billie Holiday". Allora Ferraris parteggia per me però poi si "preoccupa" del pensiero dei suoi colleghi e dice "Billie Holiday rimane Billie Holiday" pertanto va ascoltata lei. E' ovvio, si sa che io non ho voluto certo prendere il posto di Billie Holiday. C'è molta più libertà per gli stranieri di fare quello che vogliono che per noi. Ad esempio quando ho fatto Strani Frutti, un altro giornalista che si chiama Gino Castaldo, mi ha detto "hai fatto un ottimo lavoro ma Strange Fruit non avresti dovuto permetterti di cantarla." Ma perchè? E lui mi ha detto che quello è un brano che non si deve toccare. E io gli ho detto che non credo che Billie Holiday volesse questo perchè siccome quella era una canzone che le faceva male, era la sua denuncia, allora più denunce si fanno e meglio è. Io non l'ho cantata per dire che io la canto meglio di lei, l'ho cantata perchè quella era il suo vestito, il suo dolore, quella era la canzone che la rappresentava. Comunque poi arriva un momento in cui il tuo cervello ti abbandona e ti dice "vai, fregatene, fai quello che senti e che pensi sia giusto per te". Adesso riascolto questo lavoro e mi rendo conto a distanza di un mese delle cose che potevo fare meglio e che potevamo modificare però questo è quello che testimonia i tre giorni di registrazione, che sono un attimo, una fotografia.

JI: Che musica ascolti in questo periodo?
R.C.: Molta musica brasiliana. Oppure vado a cercare questi dischi che sono stati fatti in paesi come Capo Verde, o il Centro America...non so perchè ma sono su queste atmosfere in queste periodo.

JI: La tua giornata tipo? Studi ancora?
R.C.: Ci sono dei momenti in cui lavoro intensamente e faccio magari ricerca. Altri momenti in cui ho bisogno di rimanere come una "papera", ferma sull'acqua. Ci sono libri da leggere, musica da ascoltare, ma poi c'è bisogno anche di abbandono.

JI: Cosa si dovrebbe fare in Italia per la musica? Per la didattica. Tu hai fatto Operazione Trionfo, pensi che sia un modo idoneo per offrire un'opportunità, per aiutare un giovane a tirare fuori quanto di buono ha dentro?
photo by Alberto GottardelliR.C.: Mah, sai...quella è stata un'esperienza prettamente televisiva. Si sono presentate molte persone tra cui alcuni che volevano realmente fare musica e alcuni che volevano realizzare un sogno senza sapere esattamente che sogno fosse. Io penso che al di là dell'aspetto che questi programmi hanno e cioè che sono molto televisivi e crudeli, un aspetto positivo è che credo abbia mandato il messaggio che chi vuole fare questo mestiere non può improvvisare ma deve studiare. E questa è la cosa più importante. La musica andrebbe riconosciuta come cultura e immessa nelle scuole in maniera seria. Bisognerebbe studiare la storia della musica, capire quali sono stati anche solo nel '900 gli artisti importanti che hanno dato qualcosa. De Andrè, Ciampi, Fossati ecc.. per la musica italiana vanno studiati. La musica non può essere reputata sempre un qualcosa di accompagnamento alla vita, si deve sempre faticare perchè non ci sono soldi o non ci sono sovvenzioni, non viene mai reputata come un qualcosa che "fa parte di", capisci? Ci dovrebbero essere scuole gratis di musica date dallo Stato e si dovrebbe dare questa opportunità ai giovani, come si studia arte e altre materie si dovrebbe poter studiare musica.

JI: Quando parli di musica a cosa ti riferisci perchè in Italia ci sono comunque i Conservatori.
R.C.: Il Conservatorio è musica classica e contemporanea. E' molto difficile entrarci ma allora inseriamo nel Conservatorio anche delle classi legate alla musica moderna, non solo jazz che già in qualche modo c'è, ma anche musica pop, musica cantautorale o di altre culture in modo che ognuno possa scegliere quello che si sente di suonare. Però anche nelle scuole secondo me andrebbe inserita seriamente la classe di musica, c'è religione, c'è Storia dell'Arte, inseriamo anche la classe di musica, fatta bene non come fino alla quinta elementare che cantano le canzoncine di Natale. Fatto in modo serio, perchè anche i bambini, i ragazzi hanno bisogno di imparare ad armonizzarsi con la vita stessa. La musica va insegnata anche per come la si deve ascoltare, va insegnato a "camminare" insieme ad essa. Poi purtroppo c'è tanta ignoranza in giro, e abbiamo fatto anche un passo indietro. Avevamo conquistato delle cose con la musica, nel senso che le case discografiche si impegnavano su degli artisti, li accompagnavano per una strada artistica molto lunga e li supportavano nei momenti buoni e nei momenti meno buoni. Adesso invece quando gli artisti hanno un momento buio vengono buttati in mezza ad una strada, cioè non sei più un'artista, non vieni stimolato ad essere un artista, vieni stimolato ad essere un cantante di successo e quando non hai più successo te ne vai e devi cambiare mestiere. Questi sono danni terribili prima di tutto perchè tiri su persone che non sono destinate necessariamente a fare questo mestiere e dai loro l'illusione di esserlo perchè magari fanno una canzoncina così. Invece persone valide che sono anni che sono lì a sudare nelle cantine, nei locali a cercare di tirare fuori il meglio non vengono ascoltati. Conosco vari giovani che non riescono ad avere un contratto e che invece sono molto validi. Secondo me è un momento molto triste per la musica ma nello stesso tempo, come al solito, quando si tocca il fondo si può ben sperare di risalire.

JI: Pensi di poter essere un riferimento per i giovani, magari qualcuno ascolterà questo tuo disco e si avvicinerà al jazz...
R.S.: Me lo auguro! Mi farebbe più piacere che una ragazza, magari mentre fa i compiti, ascolti questo disco piuttosto che una persona che conosce Billie Holiday o me vada a comprare questo mio ulteriore lavoro. Mi sembrerebbe più utile, lo riterrei più importante, lo sentirei di più.

JI: Ti piace riascoltarti?
R.S.: questo lavoro forse è il primo che riesco a riascoltare. Forse perchè non ha particolari arrangiamenti e missaggi altrimenti sei sempre attenta e scopri che gli archi non sono come dovrebbero, photo by Alberto Gottardelliquello non è il vero suono del sax ecc...questo invece lo sento spesso, poi mi fa compagnia e lo ascolto anche in macchina magari con mio figlio che preferisce Comes Love. Penso che abbiamo fatto un buon lavoro.

JI: Qual è il più bel complimento che ti piace ricordare...
R.S.:....ieri sera! C'è un brano in questo disco che si chiama I'll be seeing you che ho dedicato ad una persona che ho perso due anni fa...ho spiegato il testo di questa canzone ieri sera e c'era una ragazza in prima fila che ha abbassato la testa e si è messa le mani sopra la testa. Ho detto "fai che non veda che questa ragazza stia piangendo" altrimenti è finita, crollo anch'io perchè è una canzone che mi tocca molto. Invece lei è rimasta in questa posizione tutto il tempo e poi il concerto è finito. Dopo un po' questa ragazza è venuta da me, mi ha abbracciata e mi ha detto: "ti ringrazio mi hai rimesso in contatto con mio padre"...mi commuovo ancora adesso nel raccontarlo...ed è stato molto bello. Per cui a volte non sono complimenti, sono emozioni. Il più bel complimento è quando ti dicono che sei riuscito a trasferire un'emozione.

JI: C'è qualcosa che non rifaresti o magari rifaresti per farlo meglio...
R.S.: C'è un album che è uscito tanti anni fa che mi fa un po' "orrore"...Subito dopo Didin la PFM mi ha prodotto un album che si chiama "Rossana Casale" che con me non c'entra niente. Ci sono delle cose valide ma non sono attinenti con me. All'inizio poi ti fai guidare un po' e loro hanno pensato a quel lavoro ma alla fine non è venuto fuori niente, cioè una cosa né Rossana Casale né PFM. Poi, in linea di massima, aggiusterei qualcosa, alcune cose le ho già riaggiustate, ma in fondo se guardo indietro non rinnego niente.

JI: Pensi di aver raggiunto quello che ti eri proposta?
R.S.: Sì, ma ho tanto da fare ancora! Mi piacerebbe portare questo lavoro in tournèe nei teatri e pensare che i teatri sono pieni. Avere quello "scattino" che ti fa di nuovo tornare nei teatri ed avere la sicurezza di trovarli pieni come qualche tempo fa. Oggi è più difficile perchè i biglietti costano tanto, i teatri costano tanto, l'agenzia prende tanto ed è più difficile andare in giro. Ora lo porterò un po' nei club, a La Palma a Roma il 12 gennaio e poi da aprile andremo un po' in giro per i festival di Jazz.

JI: A chi vorresti rivolgere un particolare grazie...
R.S.: Ai miei musicisti. Tutti i musicisti che hanno suonato con me. Sono stati fondamentali per la mia musica, loro sicuramente più di tutti. Poi ovviamente gli amici e la famiglia, il fan club, ma sicuramente a me i musicisti hanno dato tanto e lo dico sempre senza stancarmi che senza di loro non sarei niente.






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Data pubblicazione: 25/01/2004

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