JI: E' da parecchio tempo che la scena mondiale delle voci jazz maschili aveva bisogno di un nuovo rappresentante. E poi, miracolosamente,
KURT ELLING arriva a rinnovare un jazz vocale che si stava avvicinando sempre più alla musica pop piuttosto che al bop! Hai avuto anche tu la stessa impressione quando ti sei avvicinato alla scena musicale?
K.E.: Sarebbe troppo dire che ho pensato a me stesso come a un "salvatore" di qualcosa. Comunque ho pensato, e lo penso ancora, che non ci siano abbastanza veri esploratori nel vocal jazz. Ed è doppiamente vero tra le voci maschili, che sono numericamente inferiori, tanto per cominciare.
JI:
Secondo te, essere un cantante è una professione o una missione?
K.E.: E' più una missione – avere una professione significa avere un lavoro. Essere un artista significa immergere la tua intera vita nel tuo lavoro.
JI: Per comprendere che i tuoi CD consistono di cose veramente originali, uno deve solo leggere i titoli dei brani che includi nei tuoi album, o notare gli autori e i musicisti con cui collabori. Che tipo di progetto c'è alle spalle che ti permette di ottenere un tale risultato?
K.E.: Io sono un compositore, non solo un cantante. E un compositore ovviamente desidera e ha bisogno di comunicare la sua visione attraverso il proprio lavoro. Questo non può essere fatto solo ripetendo o ricreando degli standard jazz.
JI: Grazie alle tue esecuzioni molti standard hanno riguadagnato una nuova verve; intendo brani quali " April in Paris", "My Foolish Heart", "Close Your Eyes", "Easy Living", "Nature Boy"…. Come hai affrontato questi standards senza rischiare di offrire lo stesso vecchio stampo, o al contrario, senza rischiare di danneggiarli?
K.E.: Io non scelgo un brano pensando "Beh, cosa posso fare con questo pezzo?". Io sento che il
brano già prende una nuova forma nella mia immaginazione nel momento stesso in
cui lo ascolto. Queste sono macchinazioni della creatività.
JI: Cosa associ alla parola "jazz"?
K.E.: La libertà e la gioia e il rischio di una nuova musica che fa il suo ingresso nel mondo attraverso l'improvvisazione, accompagnata da una disciplina ferrea e una visione profetica.
JI: Che tipo di jazz apprezzi maggiormente? Lo swing, il blues, il bop….
K.E.: Mi piacciono vari artisti provenienti dai vari momenti di sviluppo del jazz. Uso tutta la storia del jazz per apprendere ed orientarmi nel futuro.
JI: Secondo te, la musica che suoni potrebbe essere ascoltata in un teatro o in un club?
K.E.: Sono entrambi adatti. Siamo artisti, ma siamo anche gente del jazz.
JI: Che tipo di musica ascolti?
K.E.: Ho gusti piuttosto vari- da Johnny Hodges a Wayne Shorter, da
Bing Crosby a Babs Gonsales a BETTY CARTER, da Stevie Wonder
ai King Crimson a Frank Zappa, da Byrn Terfel a Renee Fleming
a Maria Callas, da Claude Nugaro a I Muvrini a Celia Cruz
fino alla leggendaria/o
Fayrouz.
JI: Ti senti come se stessi prendendoti dei rischi quando concepisci un nuovo progetto?
K.E.: Ogni incisione è piena di rischi artistici.
JI: Pensi che un brano mediocre possa raggiungere un buon livello grazie a un buon arrangiamento, oppure pensi che gli arrangiamenti non possano nulla se non c'è alla base un brano valido?
K.E.: Ti rispondo con una citazione che ho sentito da Cootie Williams "Il materiale è immateriale".
JI: Può secondo te un cantante mediocre avere successo per mezzo delle giuste conoscenze oppure anche queste non possono nulla se un cantante non ha talento?
K.E.: Commercialmente parlando, sì. Capita piuttosto spesso...
JI:
Quando hai iniziato, che situazione hai trovato? Hai dovuto fare delle scelte? Che tipo di scelte?
K.E.: Mio padre era un musicista di chiesa, e a tutti noi fu dato uno strumento da suonare e ci furono impartite delle lezioni. Io non mi ricordo di un periodo prima del canto. Mi è stato detto che componevo parti e arrangiavo inni in chiesa, ma queste sono probabilmente informazioni apocrife. Ma la musica è sempre stata gioia per me, perché mi veniva naturale e mi rendeva felice.
Poi, mentre ero al college, alcuni ragazzi si trovavano a suonare Dexter Gordon,
Herbie Hancock, Dave Brubeck, gente così. Succedeva nel periodo in cui stavo attivamente iniziando ad ascoltare altre cose – oltre alla musica classica, con la quale avevo una buona familiarità. E accadde che fui in grado di cominciare a collaborare con alcuni piccoli gruppi proprio nel momento in cui avevo iniziato ad ascoltare intensamente. I ragazzi erano gentili, e il pubblico si entusiasmava alle mie imprese. Figuravano pochissimi cantanti sulla scena (accadeva al
Gustavus College in Minnesota) che tentavano di fare dello scat, dunque stavo portando qualcosa di nuovo e di piacevole per il pubblico.
JI: Per te è importante che la Blue Note
produca il tuo lavoro?
K.E.: Sono molto felice di avere avuto tutte le mie incisioni su etichetta
Blue Note. E' la più grande etichetta Jazz al mondo, e questo ha aiutato enormemente la mia carriera.
JI: Chi ha visto in te per primo un talento musicale?
K.E.: Io direi che è accaduto accettando di suonare al "Milt Trenier's", un club alla
Fairbanks & Ohio in Chicago. Questo accadde durante la graduate school, e significò smettere di studiare per la scuola, e l'inizio del farmi le ossa per la vita Jazz. Mi sono esibito una volta alla settimana, a intermittenza per due anni circa, guadagnando da 0 a 20 dollari a notte. Suonavo con il pianista della casa,
Karl Johnson, che aveva diretto ai suoi tempi la sua All-Black USO Big
Band. Mi prese sotto la sua ala, e mi mostrò, sia conversando con me che direttamente sul palco, cosa volesse dire essere un musicista Jazz professionista.
Potete leggere di Karl nella sezione relativa alla seconda edizione dei Guerilla Diaries
sul mio sito internet (www.kutelling.com). Incontro ancora Karl di tanto in tanto, e ne sono molto felice ogni volta.
JI: Come hai formato la tua educazione musicale, vocale e culturale?
K.E.: Ho svolto parecchio lavoro corale a scuola fino alla graduate school. Non ho mai frequentato scuole musicali, e non ho mai preso molte lezioni individuali per la voce. Ho elaborato ed estrapolato dal lavoro corale, e ho imparato molto da incisioni, dal palco, e da un occasionale confronto con altri musicisti. Mark
Murphy mi ha trasmesso delle informazioni molto importanti, come anche Jon Hendricks. La maggior parte delle cose le ho assorbite ascoltando, osservando, e lavorando sodo su me stesso.
Vorrei avere nel mio bagaglio più informazione musicale scolastica. Passerò la mia vita a cercare di recuperare in quel senso. D'altro canto, se avessi frequentato una scuola musicale e non un buon liberal arts college, e non fossi poi passato alla
University of Chicago for Div. School, dubito che sarei stato in grado di sperimentare la più ampia consapevolezza letteraria e filosofica che ho conseguito. Molto spesso, gli studenti mi chiedono dove vado a prendere le idee che ho. Bé, sorgono dall'avere una carriera intellettuale ragionevolmente varia e interessante. Leggo molto, e cerco di stare al corrente in generale. Inoltre, si dovrebbe nutrire curiosità verso ogni cosa.
Dovrei anche specificare qualcosa circa i miei studi universitari. Ho frequentato la
University of Chicago Divinity School, studiando la Filosofia della Religione (Philosophy of Religion), che è una categoria accademica specialistica di studio che si trova a metà strada tra la teologia e la filosofia. Non la frequentavo per diventare un prete, ma un accademico, un professore. Avendo detto questo, posso dire di essere stato là per cercare di trovare delle risposte a delle profonde domande di significato che mi stavo ponendo. Se da una parte non sono riuscito a rispondere totalmente a queste domande, come in effetti molte delle più importanti non trovano risposta che al momento della morte, sono comunque arrivato a delle risposte soddisfacenti sulle quali lavorare.
Mi pare che questi studi abbiano affinato la mia mente, e le mie capacità analitiche e di scrittura. Mi hanno fornito gli strumenti per sondare questioni di significato, e leggere spessi volumi. Non è stata la mia nicchia infine, ma è stata un'esperienza di profonda esplorazione. Sono orgoglioso del tempo che ho trascorso lì, e mi trovo ancora regolarmente alla
Divinity School's Visiting Committee.
A parte questo, qualsiasi "influenza" dovuta alla prolungata discussione riguardo questioni metafisiche possa avere avuto sul mio lavoro, o è evidente nel lavoro stesso, oppure è francamente irrilevante quanto alla pubblica discussione sul mio lavoro attuale. Come disse
Saul Bellow, "l'interiorità (dell'artista) dovrebbe essere, e merita di essere un segreto sul quale nessuno deve entusiasmarsi".
JI:
Chi consideri dei modelli per te stesso? Hai avuto l'opportunità di studiare con qualcuno di essi?
K.E.: Mark Murphy è certamente la porta attraverso la quale ho scoperto l'ampia varietà di possibilità di cantare il jazz. Con questo intendo dire che Mark ha distillato un gran numero di cose che lo avevano preceduto, e poi ha dimostrato come si potessero puntare nella direzione delle proprie nuove ed originali idee. Ha ricreato dei classici da songbook, hippando del bop nei suoi fraseggi, arrangiando ed utilizzando un sorprendente ingegno vocale. Mark dimostra a tutti noi che l'arte del cantare non ha mai finito di evolversi. Ci ha dimostrato quanto possa essere toccante e drammatica una serata di canto jazz. Inoltre attraverso Mark, sono divenuto più consapevole di
Kerouac e dell'intera Beat/Jazz connection. Ha passato una vita a sfornare album di vocal jazz veramente grandi e innovativi, e continua a innovare:
di Mark Murphy io consiglio
Beauty and the Beast,
Bop for Kerouac I and II,
September Ballads,
I'll Close My Eyes.
Jon Hendricks, ovviamente, ha perfezionato l'arte del vocalese, che riguarda la stesura e l'esecuzione di testi adattati a un solo strumentale precedentemente inciso. Il suo straordinario lavoro come paroliere non ha rivali in questo campo, per l'ingegno ritmico e per il coraggio. Il suo lavoro come leader del trio vocale
Lambert, Hendricks e Ross non può essere sottovalutato. Jon
è uno dei grandi cantanti improvvisatori di tutti i tempi, ed è il primo cantante showman nel Jazz. Qualsiasi brano Lambert, Hendricks e Ross è un classico. Inoltre, Jon ha inciso svariati dischi come solista, e sono grandi. Se vedi il nome di Jon su un disco, è importante.
Frank Sinatra è l'esempio nello swing e nel fraseggio naturale per tutti quelli che sono abbastanza intelligenti per saper dove guardare. Non dimenticate di ascoltare Big Frank. Amo soprattutto i suoi risultati live ( At The Sands With The Count Basie & The Orchestra,
Live in Paris, e qualsiasi cosa live
Rat Pack).
Mentre era in vita Betty Cater è stata l'esempio della cantante Jazz quale artista totale, totale bandleader e totale imprenditrice a livello commerciale. La sua incisione di " Spring Can Really Hang You Up The Most" tratto da "The Audience With BETTY CARTER" è
probabilmente la più magistrale reinvenzione moderna di una standard ballad
incisa da una vocalist.
Al Jarreau è un cantante estremamente ispirato e pieno di swing. Ho ascoltato molto Al mentre ero al college, e ho imparato (o, ho cercato di imparare) molti dei suoi fraseggi nota per nota. E' anche un grande compositore, e io continuo a controllare tutto il materiale di Al, perché ha una tendenza ad essere molto umano e molto bello. Ciò che ha fatto in " Blue Rhondo" di
Dave Bruebeck è un fraseggio virtuoso che supera ogni
categoria.
Joe Williams ha portato una raffinatezza e una naturale virilità al canto Jazz con orientamento Blues. La sua incisione live " A Swingin' Night At Birdland" (Con
Harry "Sweets" Edison) è tra le più hip disponibili. Apprezzarlo swingare con la
Basie Band su disco è un'esperienza necessaria.
Ella Fitzgerald, ovviamente, ha accostato sensibilità canora e arte d'improvvisazione, rendendo ogni misura del suo canto la cosa più naturale e necessaria al mondo. La vera dolcezza delle sua personalità viene trasmessa in tutte le sue incisioni.
Eddie Jefferson ha inventato una nuova forma d'arte. Chi arriva a farlo? Il Vocalese, l'arte di trascrivere un solo strumentale per poi adattarlo al canto con dei testi, appartiene solo ad Eddie, e sarebbe solo potuto accadere con l'avvento dell'incisione del suono. Dio benedica Eddie e i suoi genitori per averlo portato in questo mondo.
Tony Bennett continua a colpire ogni audience con il dono totale che fa di sé ogni volta con ogni pubblico, senza tenere indietro nulla. E' il suo grande dono, quello di aprire il suo cuore talmente totalmente ogni notte e ad ogni canzone. Io amavo Tony da prima. Comunque devo ammettere che i suoi dischi di ritorno, in situazioni di piccoli gruppi con il
Ralph Sharon Trio sono i migliori.
Andy Bey: la sua arte è del più alto ordine di intelligenza e di soul. Un grandissimo cantante/musicista che follemente non è stato diffuso dal consorzio Jazz più ampio. QUALSIASI disco di Andy Bey è un gran disco.
Avete sentito parlare di
Nancy King? Dovreste. E' una meravigliosa, arguta, cantante Jazz liberata che vive nel
Pacific Northwest, ed è grande. E' un crimine che non le sia mai stato offerto un contratto dalle maggiori etichette. Vi dico che renderebbe molta gente felice se solo potessero avere in mano qualche sua incisione. Cercate di ascoltare i suoi dischi in duo con il mio amico Glen Moore (dal super group
Oregon).
E non dimentichiamo la mia splendida amica Sheila Jordan. Anche lei è una cantante Jazz liberata del tipo più fine. Ci sono molte lezioni di libertà e saggezza da imparare da un disco di Sheila
Jordan. Raccogliete qualsiasi cosa di suo che possiate trovare.
Ho ascoltato molto anche Chet Baker. E' un grande maestro che ci dimostra quanto un bel brano possa comunicare in profondità con pochissimi "fronzoli". Chet è stato un Maestro minimalista, eppure le sue esecuzioni non perdevano una virgola del loro potere espressivo. Sebbene il lavoro da lui svolto in giovane età sia quello più ricordato dal pubblico, io consiglio l'ascolto di " Let's Get Lost", da lui eseguito un anno prima della sua morte (accompagnato da uno straordinario
McCoy Tyner al pianoforte).
Ovviamente, nulla di questo sarebbe potuto accadere senza Pops. Louis Armstrong
ha indicato la direzione a tutti noi, infondendo l'arte di cantare della sua
totale consapevolezza di musicista. E' stato un grande musicista e
improvvisatore a tutti i livelli. Era trasparente dinanzi al suo pubblico. E grazie a questo, divenne un amico per tutto il mondo.
JI: Ti piace ascoltare le tue esecuzioni?
K.E.: Non di regola. Devo farlo quando stiamo preparando una incisione da diffondere, per un controllo della qualità. Le incisioni dei concerti le archivio.
JI: Il tuo peggior difetto e la tua migliore qualità….
K.E.: Sono impaziente. Questa è la mia qualità peggiore e migliore assieme.
JI: Considerando la scena del jazz contemporaneo,
Diane Reeves, Cassandra Wilson, Diana Krall, Dee Dee Bridgewater, e te stesso, pensi che questo sia un momento fertile per il jazz? Oppure pensi che questo genere di musica difetti di qualche cosa per uguagliare il successo dei grandi del passato?
K.E.: Io penso che non sia un buon momento per il jazz in quanto la cultura di massa non sostiene e non appoggia un vivo interesse in questo genere musicale. Dunque si fatica per lavorare, si fatica per produrre qualcosa di nuovo e piacere al pubblico, e si fatica per mantenere una forma d'arte viva e vitale. Non è colpa del jazz. Ci sono sempre cose nuove che superano le vecchie, nuovi artisti che guardano al futuro. E ora devono faticare ancora di più perché alla cultura di massa viene detto: "le più grandi cose sono accadute nel passato, e non potranno mai essere eguagliate". Allora, per continuare a lavorare, o essere delle "star", alcuni artisti si inginocchiano a questo altare, perpetuando il problema e derubando se stessi della vera grandezza. Non sto parlando necessariamente delle persone che hai elencato. Sto parlando di un problema sistemico.
JI: Che cosa avevano Ella, Betty,
Sarah, Billie e Louis che non è riproducibile al giorno d'oggi?
K.E.: Un richiamo di massa di ampia portata, radicato e sostenuto da una base jazzistica sana e varia.
JI: Pensi che dopo la morte di Betty Carter, il vocal jazz abbia perso l'unica cantante che osasse fare ciò che sentiva senza alcun compromesso? Chi merita di succederle?
K.E.: Non direi l'unica cantante che abbia osato, ma direi una delle più ardite. E' stata una grande artista. Ci sono sempre pochi grandi artisti.
JI: Pensi che sia importante per un/a cantante sentirsi il/la leader del gruppo in cui canta?
K.E.: Dipende dal tipo di visione che ha il cantante. Non penso a Norma
Winstone come a una bandleader, ma è certamente un'ottima cantante, e un valido contributo al jazz.
JI:
Hai lavorato con Lawrence Hobgood dal tuo primo disco: siete davvero così ben affiatati? Cosa lo rende possibile?
K.E.: Devo dire che Lawrence conta pienamente ½ dell'equazione per il successo della mia/nostra carriera. E' un musicista super-geniale, praticamente onnipotente al pianoforte. E' enormemente dotato d'orecchio nel comporre melodie ed armonie. Abbiamo sempre continuato a lavorare assieme fin dal primo disco, ed è chiaro che nessuno dei miei dischi sarebbe stato tanto completo, intelligente e personale senza l'inestimabile lavoro di Lawrence. Inoltre, abbiamo anche lavorato assieme sui palchi per oltre dieci anni. A questo punto, quando siamo in scena, l'intesa è quasi telepatica.
Per quanto riguarda la composizione, ogni caso è a sé. A volte mi porta qualcosa che ha già scritto, qualcosa che ha scritto pensando alla mia voce. Mi è capitato di scrivere dei testi molto tempo dopo il periodo in cui fu composto il brano, come nel caso di " A Prayer For Mr. Davis" (The Messenger). Lawrence compose la musica alcuni giorni dopo la morte di
Miles, e io non la ascoltai che alcuni anni più tardi. A volte, come è capitato con "Never Say Goodbye" (Close Your Eyes), compongo qualcosa io. In questo caso, qualcosa che avevo suonato durante alcuni gig con una diversa sezione ritmica. Poi LH ed io (e
Rob Aster, il nostro grande bassista) ci siamo messi assieme ed abbiamo effettuato dei cambiamenti, e l'abbiamo arrangiato per l'incisione. A volte uno di noi sente un groove o una frase e ci lavoriamo sopra assieme. Di questi tempi, è generalmente Lawrence che si occupa della musica, ed io dei testi. Ci stiamo focalizzando sui nostri punti forti. Ma rispettiamo molto l'uno i giudizi dell'altro per quanto riguarda ogni cosa, e cerchiamo sempre di ascoltare e comprendere ciò che l'altro sta cercando di conseguire.
Lawrence dice che si ricorda di avermi incontrato per la prima volta quando stavo ancora lavorando per gli
Affordable Movers (n.d.r. impresa di trasloco), e stavo scroccando un pasto gratis allo Hyatt, dove lui suonava il piano. La prima volta che c'incontrammo, musicalmente parlando, fu al
Mill, dove Lawrence suonava regolarmente il pianoforte per la Ed Petersen Band
tutti i lunedì notte. Penso di essere stato il primo cantante mai invitato ad esibirsi una sera come
guest artist, e penso che LH sia rimasto un po'
scioccato nell'apprendere che l'insignificante traslocatore incontrato una
settimana prima allo Hyatt avrebbe partecipato alla serata. Ma dopo un set, i
suoi timori si erano almeno sciolti. Durante la pausa iniziammo una
conversazione musicale che dura tutt'ora.
JI: Pensando alla tua carriera, come ti senti oggi?
K.E.: Sto lavorando sodo!
JI: Durante questi anni, hai raggiunto i tuoi obbiettivi oppure non ancora?
K.E.: Non ancora.
JI: Tra i grandi nomi con cui hai lavorato, chi ti ha fatto il miglior complimento?
K.E.: In una master class con Mark Murphy, lui fece alzare tutti in piedi per cantare, uno alla volta, e diede specifici, e, a volte prolungati suggerimenti ad ognuno. Quando arrivò il mio turno, esclamò semplicemente "Mio Dio! E' un cantante jazz. Tutti quanti cercate di fare un po' di più come Kurt". Ecco tutto ciò che disse. Era molto presto per me, ero ancora in graduate school. Questa è una cosa che ricorderò per sempre.
JI: Pensi che il canto jazz si sia evoluto o pensi che sia rimasto fermo a un particolare periodo?
K.E.: E' più fermo che in movimento verso il futuro – guarda cosa sta facendo
Wayne Shorter. E poi osserva cosa stanno facendo la maggior parte dei cantanti. E' un peccato.
JI: Cosa desideri comunicare mentre canti? E come artista, qual è l'obbiettivo a cui stai tendendo?
K.E.: Tutti noi nella band abbiamo in animo di dare l'esperienza musicale della più alta qualità al nostro pubblico – suonare e comunicare in questo modo il meglio delle nostre capacità. Desidero che la gente resti sorpresa, che rimanga toccata, che rida, che ricordi qualcosa d'importante che possa avere dimenticato. Desidero che abbia ciò di cui ha bisogno.
JI: Se fossi Ministro della Musica, tre cose che vorresti fare a favore del jazz.
K.E.: Darei uno strumento, una band e un insegnante ad ogni bambino della scuola. Userei la musica per insegnare matematica, lettura e "life skills". Farei in modo che i ragazzi potessero ascoltare un'ora al giorno di grande musica proveniente da tutto il mondo, con una particolare attenzione da porre sulla storia del jazz fino ai giorni nostri.
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Data pubblicazione: 26/05/2003
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