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Guido Michelone
Black music
Le sonorità afroamericane 1896-2012
Educatt 2012
Sono usciti a pochi mesi uno dall'altro due libri con lo stesso
titolo, uno di Amiri Baraka e questo che porta la firma di Guido Michelone, realizzato
per un master di specializzazione universitaria.
Neil Postman, famoso sociologo e massmediologo
americano sosteneva che non erano mai stati pubblicati così tanti libri sulla civiltà
indiana fino a quando il popolo pellerossa non era stato costretto a vivere in riserva,
allorché non poteva più rappresentare sé stesso e la sua cultura, ma doveva sottostare
alle regole imposte dal governo degli Stati Uniti dopo un vero e proprio etnocidio.
Il pensatore newyorkese è autore, fra l'altro, de "La scomparsa dell'infanzia" in
cui esprime una tesi tanto provocatoria quanto suggestiva che prefigura il progressivo
annullamento di questa età, soffocata e distrutta nella nostra epoca dal potere
inquinante della televisione e al tempo stesso al centro di dibattiti e di studi.
Scrivere di Black Music vuol dire, allora, estremizzando, per estensione, argomentare
di un qualcosa che sta scomparendo o è sul punto di morire? Sicuramente no, anche
se la globalizzazione impone alti prezzi a quello che si vuol preservare intatto
e puro e le contaminazioni, derivate anche dallo sviluppo sempre più diffuso della
comunicazione, tendono all' omologazione dei messaggi e dei contenuti artistici
provenienti da ogni parte del mondo, oggi più che mai.
Michelone non ignora le peculiarità della situazione odierna
ma si ripropone lo stesso di comporre "una breve introduzione..." con molto coraggio,
vista la complessità e la vastità dell'argomento. L'autore, per semplificare, ma
non per banalizzare, struttura il testo in tre parti distinte. Nella prima traccia
una storia della musica afroamericana divisa in blocchi di dieci anni, analizzando
con brevi cenni le vicende politiche e buttandosi, poi, a capofitto nell'elencare
gli stili, i protagonisti, i mutamenti fra un periodo e l'altro con un dispendio
notevole di nomi e informazioni. Per ogni periodo non mancano i salti in verticale,
con riferimenti all' attualità, ma soprattutto in orizzontale attraverso l'aggancio
con quanto sta succedendo in contemporanea nel resto del pianeta con un occhio di
riguardo per la scena nazionale.
La seconda parte è dedicata alle "correnti black fondamentali".
Pure qui, volendo sintetizzare al massimo, si vola da un musicista all'altro con
poche righe ma significative sul suo excursus artistico. Non mancano, in proposito,
le scelte personali o di campo, con la valorizzazione di alcuni filoni apparentemente
meno pregnanti accanto ad altri di più consolidata caratura artistica. Vengono,
infatti, attribuite lo stesso numero di pagine al modern jazz come alla produzione
della "Motown records". Forse, invece, è proprio la volontà di spiegare tutto con
lo stesso metro di giudizio a unificare nell'importanza personaggi di culto e altri
di nicchia, eroi popolari e musicisti per palati fini.
Dove si possono aprire discussioni infinite è, però, nell'individuazione
dei dodici grandi protagonisti della Black Music. Accanto ad Armstrong, Ellington
o Davis, inamovibili, figurano, infatti, Sinatra, Quincy Jones e Michael Jackson.
Chiaramente sono scelte di tendenza, difficili da sostenere, ma con una loro logica.
Sinatra (un bianco!) viene visto come " il" cantante jazz, la voce più originale
della musica afroamericana. Quincy Jones è "dentro", invece, per le sue capacità
di produttore, di scopritore di talenti oltre che per aver arrangiato i migliori
album di Michael Jackson. Quest'ultimo interprete, compositore e ballerino, re della
disco music, viene considerato un vero genio oltre che da Michelone pure da
Enrico Rava
di questi tempi. Si leggano in proposito le dichiarazioni del trombettista a corredo
del suo ultimo cd ECM "On the dance floor", omaggio al celebre Jacko.
Insomma il libro come introduzione alla black music assolve ampiamente
il suo compito. Michelone, forse, poteva evitare quella pletora di nomi e di titoli
di dischi, quasi volesse parare il colpo di chi lo poteva accusare di aver trascurato
questo o quel musicista, questa o quell'incisione. Un approccio più agile, magari
meno informativo, ma più selezionante o selezionato avrebbe giovato al testo. Purtuttavia
bisogna dar atto al giornalista e scrittore di essersi documentato seriamente e
di aver inserito, ad ogni modo, una chiave di lettura piuttosto equidistante, non
eloquentemente schierata, per avvicinare potenziali lettori anche distanti, in partenza,
dalla conoscenza e dell'approfondimento della musica afroamericana. In più ha allargato
lo sguardo estendendo il suo raggio d'azione all'Africa e all'America del sud, per
non privare il potenziale fruitore di alcun collegamento storico e geografico.
Una chicca, per finire, con una citazione dal paragrafo riservato
al funk: "Se si dovesse scegliere il momento che riassume il meglio di ciò che esprime
il funk, si sarebbe tutti concordi per l'introduzione del chitarrista Wah-wah Watson
in "Theme from Shaft " di Isaac Hayes..." Siamo certi che proprio tutti concordino
?...
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 14/01/2013
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