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La Grande Storia del Jazz
L'Espresso - Repubblica



L
'Espresso sta pubblicando, a puntate settimanali, una nuova "Grande Storia del jazz".  Di fronte ad iniziative di questo genere di l'appassionato, specie quello non giovanissimo, ha due tipi di reazione. La prima è, ovviamente, quella della curiosità e dell'interesse. L'altra è quella della perplessità. Il mercato ha periodicamente riproposto collane dedicate alla musica afro-americana, spesso interessanti e ben curate, ma con il limite della ripetitività, della monotonia. Alzi la mano chi non ha perlomeno iniziato una delle tante rassegne degli ultimi decenni. Più concretamente; chi scrive, seguendo le suggestioni dell'edicola ha accumulato una serie di dischi tutti abbastanza uguali uno all'altro. Tutti infarciti di classici tipo West End Blues, Night in Tunisia, St. Thomas e così via. La pubblicità della nuova collana parlava tuttavia anche di DVD, oltre che di Cd. Così il vostro cronista, incuriosito per l'ennesima volta, ha tentato la sorte ed ha acquistato il primo cofanetto. Il cd, tanto per cambiare, partiva proprio da West End Blues e terminava con il glorioso Stardust di Satchmo del 1931. Passando per Tiger Rag di Nick La Rocca, Wolverine Blues di Jelly Roll, i ragtime di Scott Joplin e via ripetendo. D'accordo, il disco era corredato da un booklet ben curato, ben scritto e storicamente approfondito: ma questo non attenuava la prevista delusione.

A quel punto, un po' scettico, ho inserito il DVD nel mio computer. E qui è arrivata la sorpresa piacevole. La sezione cinematografica dell'opera, scritta da Massimo Nunzi e girata da Elena Somarè è infatti davvero buona e suggestiva. Filmati e materiali fotografici inediti, un approccio alla storia del jazz molto originale e poetico, non meramente storico o giornalistico, che tenta di inserire la nostra musica nella vita quotidiana degli Stati Uniti dell'inizio del XX secolo stabilendo contatti con il cinema muto, l'opera lirica, con l'emigrazione europea (italiana in particolare). E poi interviste ben curate a partire da quella di Marcello Piras che con la consueta, chirurgica precisione tenta di stabilire, una volta per tutte l'etimologia della parola jazz. Ma la parte preminente nelle interviste la hanno i musicisti, che raccontano, da musicisti, il loro approccio al jazz e le caratteristiche del loro strumento (Bellissime la performance di Pieranunzi nel primo e di Mirabassi nel secondo volume), sollecitati da Nunzi. Più che interviste vere e proprie si tratta quindi di piccole jam session in cui un artista ne interroga un altro. Forse sarà vero, come diceva Arrigo Polillo, che i musicisti sono i peggiori critici immaginabili. Resta però il fatto che sanno raccontare bene le cose e riescono ad affascinare, a volte, più degli storici e dei critici stessi...

Ho chiesto a Nunzi, compositore e direttore d' orchestra qualche ragguaglio in più su questo lavoro. Da notare che Massimo, tre anni fa, aveva diretto al Sistina di Roma una serie di concerti intitolati "jazz, istruzioni per l'uso". Quella esperienza è stata documentata (Libro e cd) in un volume edito da Laterza.

"Si tratta in effetti della più grande storia multimediale del jazz mai pubblicata al mondo. Quella edita dalla American Congress Library, curatada Ken Burns, consta infatti di "soli " 10 cd contro i nostri 12. Hanno lavorato con noi, in tre anni, 350 persone: sono intervenuti 180 musicisti. Abbiamo 600 ore di girato riversate in 12 dischi della durata complessiva di 24 ore. Un lavoro davvero enorme. Sento quest' opera come il miglior disco che abbia mai inciso, come il mio maggior contributo al jazz. E' Un lavoro volto a comunicare l' essenza di questa musica, basata su un mix unico di intelligenza ed emotività, di tecnica e di corporeità. Ma anche a scoprire nuovi elementi della sua storia, nuovi approcci emotivi, nuove curiosità. Le prossime puntate riserveranno molte sorprese agli appassionati.

Sul jazz si pubblica tuttavia moltissimo, i contributi storiografici sono sempre più frequenti, anche in Italia ed escono anche opere di alta divulgazione, come quella di Stefano Zenni

"Vero, ma non basta. Il panorama che abbiamo davanti a noi è desolante. La prossima estate vedrà senz' altro un taglio dei bilanci dei festival, mentre il pubblico, bene o male, è sempre quello, come nella classica. Un pubblico anagraficamente non giovanissimo, che non cresce numericamente. Si pubblicano molti dischi è vero. Ma anche qui c'è stanchezza e pochezza di idee. La maggior parte dei giovani musicisti pensa che il jazz cominci dal bop ed ignora quanto è nato prima di Bird. O rinnoviamo il pubblico e lo allarghiamo, rendendolo al contempo più consapevole, o la musica di qualità, compresa, ripeto, la classica, è destinata a declinare. C'è un patrimonio enorme di talenti jazzistici, soprattutto in Italia. Dobbiamo valorizzarli, dobbiamo far capire a tanti giovani, che non lo hanno nel cuore, quanto il jazz sia ricco e vitale".

Parole chiare, del tutto condivisibili. Tradotte in un'opera di eccellente divulgazione, che sfrutta a pieno la magia delle immagini e della documentaristica vintage e coglie il fascino profondo della musica, l'urgenza dell' improvvisazione, la magia di un'arte povera e raffinatissima al tempo stesso.  Pazienza se poi, per ragioni editoriali, ci ritroveremo in casa l' ennesimo Body And Soul di Coleman Hawkins. Siamo poi così sicuri che tutti coloro che si dicono jazzofili (ed anche molti musicisti…) lo conoscano?

Marco Buttafuoco per Jazzitalia







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Data pubblicazione: 27/03/2009

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