Intervista a Massimo Nunzi
Ostia 14 Aprile 2004 "Jazz Istruzioni per l'Uso"
di Franco Giustino
FG: L'idea di una manifestazione come "Jazz istruzioni per l'uso" è la prima in Italia. Una bella responsabilità oltre che un notevole impegno. Come è nata?
MN: Nasce dalla esperienza di approfondimento personale, applicata alla vita di tutti i giorni, dal desiderio di portare una luce di conoscenza. Provengo da una famiglia molto semplice, di origini contadine, l'unico approccio avuto con la musica è stato tramite mio nonno, per il resto non avevo genitori che possedessero dischi di Jazz o altro. Ho cercato di reperire le informazioni da riviste specializzate o acquistando dischi, piano piano mi sono costruito una piccola discoteca. Oltre ad acquistare libri che mi hanno permesso di acquisire i segreti di questa arte magica che è il Jazz. Intorno agli anni '70, la RAI principalmente in Radio, trasmetteva delle trasmissioni divulgative grazie a personaggi come
Mazzoletti, Marcello Rosa, Nunzio Rotondo, Carlo Loffredo; poi queste trasmissioni sono scomparse, e con loro sono scomparsi anche alcuni dei pochi luoghi dai quali attingere informazioni. E' stata comunque la volontà di poter divulgare e raccontare a tutte quelle persone che come me non hanno avuto accesso, anche per una difficoltà iniziale di approccio con il Jazz. Ritengo che con delle informazioni semplici - come semplici erano alcuni famosi Jazzisti con cui ho suonato come
C. Baker, D. Gillespie, L. Bowie, persone normali con delle loro storie da raccontare -, si possa far arrivare il messaggio del Jazz a tutti i livelli. Non è corretto ridurre il Jazz ad una musica elitaria, è musica del popolo e deve essere fruita da tutti, certo è un genere che richiede, rispetto ad altri generi musicali, un minimo di conoscenza e di attenzione in più. Ho sempre trovato problemi nel soddisfare la mia voglia di sapere, con "Jazz Istruzioni per l'Uso" ho cercato di ovviare al problema della carenza di divulgazione.
FG:
Dopo una partenza relativamente in sordina, questo progetto ora registra il tutto esaurito ogni sera, con gente in lista di attesa per entrare. Ti aspettavi un tale successo di pubblico?
MN:
Veramente no, non credevo ci fosse la possibilità di avere tutto questo seguito, probabilmente l'onestà del rapporto che ho con il pubblico, la semplicità ed il modo diretto con cui racconto gli avvenimenti, può aver suscitato delle simpatie, con tutti i limiti di non aver mai fatto il presentatore. Credo si percepisca che, sia io come ideatore del progetto che tutti i musicisti sul palco amiamo questa musica. Ritengo sia importante capire, in un momento come questo che stiamo vivendo dove esiste una grande crisi morale e di valori, che non bisogna scoraggiarsi vedendo nei mass-media, le storie raccontate, i personaggi che diventano famosi per meriti inesistenti. Noi abbiamo lavorato tutta una vita per poter fare quello che facciamo, ogni nota che suoniamo è frutto di anni di lavoro. Per me è un obbligo quello di tornare a far sentire alla gente cosa vuol dire saper suonare uno strumento o dirigere una orchestra. Sono troppi i falsi miti creati dal marketing e dalla pubblicità. Lo scopo di questo progetto è anche questo, evidentemente la gente lo intuisce, vede che sul palco c'è gente che fatica che versa sudore, lo apprezza e quindi viene volentieri ad ascoltarci.
FG:
A questo proposito, la Jazz Orchestra ha dato prova di essere composta da ottimi elementi. Come hai assemblato il collettivo?
MN: Siamo come una grande famiglia. Nella musica quella vera, intendo quella suonata da professionisti, ci sono molte cose che non si conoscono. Noi musicisti abbiamo un grosso problema: non possiamo essere raccomandati, nel senso che o sai suonare o no. Nessuno ti salva, è forse l'ultimo dei mestieri dove esiste il valore individuale. Se sul palco sbagli, o sei lì per motivi diversi da quelli artistici, sono gli stessi musicisti che non ti consentirebbero di suonare con loro ad alti livelli, come nel caso di questa orchestra. Ognuno è un campione nel suo genere, ed i campioni non sono tanti e quei pochi si conoscono. Cerco tra l'altro di dare molto spazio ad i giovani, sono molto orgoglioso di averne scoperti alcuni tra cui il sassofonista baritono che si chiama Marco Guidolotti è veramente un fenomeno, oppure
Fabio Punzo il secondo contralto, entrambi giovanissimi. Senza dimenticare anche tutti gli altri della vecchia guardia. Sono i migliori che si possono trovare sul mercato.
FG:
A quanti anni hai iniziato a suonare? E come mai la tromba?
MN: Vivendo in un piccolo paese dell'Umbria, Otricoli, ho iniziato con la banda del Paese dove tra l'altro suonavano: mio nonno il bombardino, uno zio la cornetta, ed un altro la fisarmonica. Ho iniziato a sei anni con una "trombetta" trovata in casa. Mio nonno è stato il primo a laurearsi in Paese, pertanto suo Padre per regalo decise di mettere su una banda acquistando gli strumenti musicali per tutti.
FG:
Quale è stato il tuo primo approccio con il Jazz? Ed ispirato da chi?
MN: Ho frequentato il Conservatorio per un breve periodo ma a causa di un pessimo rapporto con il mio Insegnante preferii lasciare. Mi stavo appassionando al Jazz e questo mi creò delle incomprensioni con questo Insegnante. Un giorno mi trovò con un libro di Jazz ed arrivò addirittura a stracciarmelo in classe davanti a tutti.
Me ne andai. Esisteva all'epoca, parliamo degli anni '70, una sorta di Apartheid attuata degli Insegnanti - di solito musicisti classici -, nei confronti del Jazz: pensa che i suonatori di contrabbasso venivano chiamati "pizzicagnoli" perché suonavano senza l'ausilio dell'archetto.
Per fortuna questi tempi bui non esistono più. Molti musicisti provenienti dalla classica suonano il Jazz, anche io nella mia orchestra ne ho diversi, ad esempio ho uno dei più bravi trombonisti classici Italiani
Roberto Pecorelli, che collabora tra l'altro con Ensamble Internazionali. Intorno al 1977, dopo aver abbandonato lo studio, quasi casualmente andai in una delle prime scuole Jazz di Roma, il
Missisipi Jazz Club. Qui ebbi come insegnante Luigi Toth il quale mi aiutò molto: ripresi gli studi. Una sera al
Music Inn, locale di Pepito Pignatelli, venni letteralmente catapultato, con un calcio nel sedere, sul palco trovandomi a suonare con Tony Scott e Art Farmer, mi sembra di ricordare che qualcosa riuscìi a suonare, avevo circa 14 anni. Devo molto sicuramente al mio Maestro Pete Rugolo.
FG:
Cosa ascolti maggiormente? Il tuo Artista preferito (o di riferimento);
MN:
Duke Ellington è senz'altro il mio artista di riferimento. Egli diceva "la musica si divide in due categorie, quella buona e quella cattiva". Ascolto esclusivamente la musica buona, che può essere dall'ultimo disco dei R.E.M. ad un DJ Giapponese, a Max Gazzè a Nicolò Fabi: se è buona musica mi piace ascoltare di tutto. Questo forse anche grazie al fatto di essere libero dal giogo del Conservatorio, avendo intrapreso il mio percorso da solo, mi sento libero di andare dove voglio senza preclusioni. C'è del buono e del pessimo in tutta la musica, dalla classica alla contemporanea al Jazz. Cerco preferibilmente di ascoltare chi mi da una emozione. Potrei definirmi "bulimico", cerco di nutrirmi di tutta la musica purchè mi trasmetta una esperienza positiva.
FG: Mi indicheresti 5 dischi che porteresti su di una isola deserta.
MN: E' un pò difficile: direi qualunque cosa di
Bach in ogni formazione, dal solo alla grande orchestra; "Ko-ko" di
C. Parker; qualunque incisione di Hot Five o Hot Seven di L. Armstrong;
Beatles ogni cosa. E perché no Aphex Twins che trovo sia un grande musicista. Può essere sconvolgente ma spazio su vari generi, così come ti dicevo.
FG: Sei d'accordo nel definire gli anni '50 (periodo trattato stasera 14/4) come il periodo centrale nonché il più creativo del Jazz?:
MN: Gli anni '50 hanno visto alcuni piani energetici unirsi, se vogliamo definirlo spiritualmente così. Credo non ci sia mai stata una permanenza di tanti geni insieme nello stesso periodo storico. La cosa ha prodotto dei risultati incredibili. Proprio oggi stavo ascoltando un vecchio disco di
Scott LaFaro, dove insieme suonavano Eric Dolphy ed Ornette Coleman, oggi ritengo sia impossibile tentare di far coesistere tali figure. E' stato un periodo in cui si sono incrociate le migliori menti del secolo scorso.
FG: Nell'ultima serata del 24/5 tratterete le influenze che animano il Jazz negli ultimi anni. Pensi che le contaminazioni, ad esempio con il Rap o la Musica Elettronica, abbiano giovato a questo genere.
MN: E' difficile giudicarlo bisognerebbe fare un discorso storico e temporale, il meglio resta. E' pur vero che il 1900 è stato talmente pieno di eventi, ad esempio il periodo trattato stasera, dal
1948 al 1958, relativamente breve ma denso di avvenimenti. Riguardo all'influenza della musica elettronica nel Jazz, ritengo sia inevitabile, oggi è alla portata di chiunque possegga un computer poter mettere in sequenza dei brani anche senza conoscere nulla di musica. E' alla portata di tutti essere in grado di campionare dei pezzi e venderli facendoci anche molti soldi, vedi
Moby. E' inevitabile, accade e ne prendiamo atto, ci può piacere o non piacere.
Quincy Jones, ha portato molte cose dal Rap che hanno poi avuto influenza nel Jazz. Trovo che anche l'Hip-Hop abbia swing, spesso il buon Hip-Hop ha ritmo. A casa studiando a volte mi sintonizzo su MTV e spesso faccio esercizi noiosi con la tromba, mi capita di mettermi a suonare sull'Hip-Hop e trovo che quelle ritmiche swinghino. Del resto Quincy Jones, come ti dicevo, l'aveva intuito circa 20 anni fa quando fece "Back on the Block".
Il discorso è sostanzialmente questo, l'influsso esiste, esiste in tutta la musica dal Pop al Rap al Jazz Ad esempio
Norah Jones viene considerata una cantante Jazz, se ci pensi solo perché utilizza strumenti acustici: usando spazzole e contrabbasso diventa Jazz. Non è esattamente così. Comunque va bene anche questo, l'importante è che sia buona musica cantata bene, eseguita bene, abbia cioè una forma accettabile.
FG:
Cosa ne pensi dell'attuale scena Jazz in Italia, anche alla luce della tua esperienza di autore ed arrangiatore nel disco "Casa Moderna"
MN:
Casa Moderna è un disco dove io ho scritto la musica, i testi, gli arrangiamenti: praticamente l'unica cosa che non ho fatto è suonare. E' un esempio di musica orchestrale che non utilizza pianoforte e chitarra per rivalutare il valore contrappuntistico della scrittura. Lo definirei un concerto Bachiano dove la melodia e l'armonia si intersecano, ne scaturisce, come nella musica Barocca, lo scontro/incontro delle parti la consonanza e la dissonanza. E' un disco che definisce il mio stile, basato principalmente sul contrappunto. Riguardo i musicisti Italiani, cito volentieri Gianluigi Trovesi, che ha collaborato con me in un opera che ho scritto "La Tempesta",
Petrella lo apprezzo molto, Stefano Bollani, Enrico Pieranunzi, mi piace molto anche Stefano Di Battista che è anche un mio amico. Lo stesso Fabrizio Bosso, - con il quale suonerò stasera -, e tutti quelli che suonano con me nella rassegna, sono grandi amici e grandissimi artisti.
FG: Progetti futuri? Dove sarà possibile ascoltarvi?
MN: Non ne ho proprio idea!! Teniamoci in contatto.
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Data pubblicazione: 20/06/2004
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