sul palco dell'accogliente cine-teatro Politeama di Bisceglie.
Il trio è una vera e propria fusione di stili e di culture essendo composto oltre che da Cuong Vu anche da un bassista giapponese trasferitosi in America per studiare jazz,
Stomu Takeishi ed un batterista "tutto" americano Ted Poor. Inevitabile che le esperienze di ognuno confluiscano nella musica e Cuong Vu dà una spinta sperimentale al trio in una ricerca volta ad estendere la sonorità e il ruolo stesso della tromba verso forme musicali dal linguaggio articolato tra la sintassi jazzistica, le svariate influenze degli autori classici e le forme di fusion e di funky più estreme.
L'evento è piuttosto atteso ed il pubblico jazzofilo riempie la sala del Politeama a tal uopo destinata. L'assetto architettonico consente di avere una decisa intimità con gli artisti e di potersi maggiormente immedesimare nel progetto musicale del trombettista.
Vina's Lullabye apre il concerto, un brano dalla grande forza interiore, che mette subito in evidenza le impronte elettroniche della loop station sapientemente manovrata da
Cuong Vu, oltre che il suo algido comportamento. Il trombettista non si scompone mai, al contrario degli altri due componenti, conferendo una voluta freddezza all'ambiente.
A tale rigidità esecutiva si contrappone il drive di Ted Poor, apparentemente ispirato, ma soprattutto l'esperta scioltezza di
Stomu Takeishi, vera sorpresa della serata ed asse portante del trio. Il bassista utilizza il proprio strumento sia come elemento ritmico che armonico, sollevandolo dal
"solito" compito d'accompagnamento. Il suono del suo basso fretless percorre una strada propria fatta di crescendo armonici, frammenti di scale e, all'abbisogna, giri completi. Tale forza ritmica ed armonica prende corpo immediatamente e, già durante l'esecuzione del secondo brano Brittle like twigs si riesce a comprendere la sua insolita posizione centrale rispetto al resto del trio.
L'attache funky/fusion di Too much red conferma la ricerca verso un crossover di stili che il trombettista vietnamita effettua. La percussione di
Poor è esaltata dai giri armonici vigorosi di Takeshi, mentre Cuong Vu
prosegue imperterrito nella manipolazione elettronica della voce della sua tromba. Però questo è l'unico brano in cui il leader lascia ascoltare degli ottimi fraseggi bop scevri delle solite alterazioni elettroniche.
It's mostly residual
chiosa la prima parte dell'esecuzione e lascia intravedere delle tinte metheniane con il tema portato dal solito Takeshi che lo esegue, rigorosamente scalzo come per tutto il concerto, anche farfugliandolo a guance gonfie. Il brano ha delle sonorità dance elettronicamente precostituite che lo rendono ballabile ed intrigante.
La seconda parte ha inizio con Still ragged, brano dal sapore metropolitano, degno del miglior prog-rock.
Con Patchwork ritorna il suono "world-age" di Metheny, sempre trasportato dall'infaticabile
Takeshi che si sposta con noncuranza tra il vortice quasi "metallico" ed il fluttuare melodico ed armonico.
Le costruzioni free di Expressions of a nevrotic impulse, però, sono piuttosto deludenti: suoni e ritmi nervosamente già ascoltati, riproduzioni piuttosto artefatte di improvvisazioni già viste. L'uso delle distorsioni per la tromba di
Cuong Vu dovrebbero attenuare questo deja-vu, ma ciò con scarso successo.
Again-Again-Again è il brano del bis (richiesto a piene mani) che, però, replica le scale dell'improvvisazione del precedente, ma evidenziando la potenza ritmica dell'ottimo
Ted Poor (che ha dovuto fare i conti, per l'intero concerto, con la cassa "ballerina"), il quale, dopo aver scardinato il rullante, senza perdersi d'animo, ha proseguito indefesso a percuotere i tamburi e sferzare i piatti.
Sicuramente l'interplay del trio ha dato maggiore calore alla freddezza del leader (molto timido e schivo) che con lo sguardo controllava gli altri componenti e ne dettava i tempi. La particolare abilità di
Takeshi (41 anni, il più "vecchio" del trio) ha del tutto eliminato, ove vi fosse, la mancanza di uno strumento armonico.
La musica di Cuong Vu ci spinge in territori diversi, a volte perduti, insegue linguaggi policromi.
La struttura dei brani è ampia, forse un po' troppo esasperata appare la ricerca timbrica e, in alcuni casi la forza creativa appare appannata e lascia spazio a delle sonorità sicuramente non vicine all'indole del trombettista.
Alcune composizioni evocano degli scenari apocalittici, degni da colonna sonora per film-cult.
Un plauso all'organizzazione che ha avuto il coraggio di puntare, come al solito, su delle sonorità alternative.