Ravi Coltrane Trio
Piacenza Jazz Fest 14 marzo 2010
di Andrea Gaggero
foto di
Giorgio
Alto
Arrivata al suo giro di boa la bella rassegna Piacentina propone un appuntamento
foriero di grandi aspettative: il rodato quartetto di Ravi Coltrane, per
l'occasione ridotto a trio per la defezione del pianista Luis Perdomo. Le aspettative
degli organizzatori non sono andate deluse: la sala si è rapidamente riempita e
il pubblico ha risposto positivamente. Premettiamo subito che la defezione non ha,
in alcun modo, modificato o inficiato la proposta musicale semmai ha obbligato ad
un maggior lavoro il gruppo: in particolare il bravissimo Drew Gress impegnato
in assoli consistenti ad ogni pezzo. I sette lunghi brani, più un bis, si sono snodati
in un ora e mezza di musica, senza interruzioni: in scaletta temi propri alternati
a "Nothing Like You" di Bob Dorough (registrato in una delle più singolari
sedute d'incisione davisiane ad inizio anni '60), "Satellite" e "Giant
Steps" del padre John e il classico monkiano "Epistrophy".
Ravi Coltrane è musicista dalla solida preparazione
e di grande determinazione, il suo gruppo si è mosso con maestria, sapienza ed una
sicura proprietà di linguaggio in territori generalmente noti: la musica di Ravi
appare radicata in un passato "glorioso" con radici profonde in un mainstream di
stampo hardboppistico-modale. A questi riferimenti si sovrappongono personali tentativi
di rendere più attuale la proposta: un più vario ed aggiornato controllo delle dinamiche
e poi la tendenza alla rarefazione ed all'astrazione motivica con l'impiego, persino
troppo insistito e ripetuto, di brevissime cellule ritmico-melodiche. Abbiamo rilevato
infine la ferma volontà di destrutturare il beat regolare facendo scontrare le proprie
progressioni con un ritmica tesa a spezzare o alterare il tempo. Il tentativo citato
a quali risultati musicali conduce? Che musica propone oggi il quarantacinquenne
secondogenito di John e Alice Coltrane?
Chiariamo
alcuni equivoci: Ravi non è un musicista lirico, non è un musicista "spirituale",
non è passionale, né torrenziale, né possiede grandi doti comunicative; non è un
musicista pervaso da quella che veniva chiamata "urgenza espressiva": in
una parola non è un coltraniano o forse lo è solo nel senso più superficiale, cui
fa riferimento Marangolo, oltre quando cita l'uso di patterns. Ravi è musicista
dotato di grande intelligenza, buona padronanza della materia musicale, degli aspetti
ritmico armonici soprattutto, e poi della gestione delle dinamiche e della conduzione
di un gruppo affiatato. La sua è, oltre e sotto la superficie, una musica asciutta,
quasi prosciugata, smembrata, sfilacciata, a tratti insicura, persino nel capolavoro
monkiano. Pare, in ogni istante, una musica alla ricerca di una modernità piena,
con la consapevolezza dell'impossibilità di ritrovarla: in questo paradosso sta
forse la sola modernità, meglio post-modernità, di una proposta tutto sommato prevedibile.
Dei tre musicisti il più solido è parso il bravissimo Drew Gress,
musicista di grande intelligenza, sicura tecnica e sensibilità, nonché importante
autore. E' impressionante l'elenco delle collaborazioni e partecipazioni che include
diverse tra le migliori proposte degli ultimi 30 anni: Tim Berne, Dave Douglas,
Uri Caine,
Marc Coplan, e poi Fred Hersch in una dozzina di dischi e diversi altri incluse
proprie importanti formazioni.
Batterista leggero e raffinato, EJ Strickland ha convinto in accompagnamento
per l'aggiornata concezione timbrico-coloristica della batteria, per la grande capacità
di ascolto, quindi interplay, e per l'efficacia del drumming ottenuta con una grande
economia di mezzi. A chiudere il concerto, prima del bis, un prevedibile assolo
di batteria che, come mille altri sembra aver come unico scopo quello di suggellare
un concerto-rituale e strappare un applauso più sonoro e caloroso degli altri; applauso
regolarmente e prontamente ottenuto.
Ravi Coltrane e l'originalità del jazz di oggi:
Ravi Coltrane, di cui si è potuto innanzitutto
apprezzare l'atteggiamento composto ed elegantemente umile, ha presentato
a Piacenza un repertorio basato su proprie composizioni più qualcosa
del padre e un brano di Monk. La sua scrittura è piuttosto articolata
e questo è segno di una vena compositiva ricca di spunti ritmici e armonici
ma carente dal punto di vista melodico. Lo stesso si può dire del suo
solismo. Ravi ha un fraseggio fluido ma si accontenta di un suono né
bello né brutto e si affida, come fanno oggi tutti i sassofonisti, a
una serie di patterns certamente moderni ed "esterni" alla tonalità
in linea con il jazz di oggi ma antichi alle orecchie di chi, come suo
padre o
Ornette Coleman, parecchio inascoltati e praticamente
senza seguaci, vorrebbe portare la musica avanti piuttosto che indietro.
A mio avviso il jazz migliore è quello in cui partendo da un tema anche
banale ma melodico si riesce, attraverso l'improvvisazione, a costruire
una cattedrale (vedi Rollins). Imbrigliarsi invece in strutture complesse
impedisce al solista di prendere il volo. Il risultato conclusivo è
questo: ogni assolo somiglia al precedente fino al termine del concerto.
Così va il jazz oggi (guai a essere originali?!?). Ravi Coltrane
è di certo stato molto apprezzato a Piacenza.
Antonio Marangolo
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Data pubblicazione: 21/03/2010
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