Donny McCaslin "Fast Future" Quartet
Ferrara - Torrione Jazz Club - 19 marzo 2016
di Niccolò Lucarelli
Donny McCaslin - sax tenore
Jason Lindner - pianoforte e tastiere
Matt Closey - basso elettrico
Nate Wood - batteria
C'è una sottile linea di fuoco che
unisce un taxi che strattona nel traffico di Manhattan alle calde periferie delle
metropoli nordamericane, il chiaro di luna sull'Hudson al nastro d'asfalto di un'autostrada
del Michigan. Una linea sottile di rabbia, ambizioni, fantasia, sofferenza, che,
come un romanziere di razza, Donny Mccaslin intercetta e immette nel suo
jazz a tinte forti, specchio di un'America vitale ma insofferente. Un'America cui
non manca il saper guardare le stelle, che per magia si avvicinano negli omaggi
a David Bowie (con cui McCaslin ha collaborato in Blackstar). Da queste premesse,
scaturiscono due set dove il sax di McCaslin si muove su virtuosismi urbani, a riprodurre
lo stridio del traffico, le sirene della polizia, per poi elevarsi verso le luci
dei grattacieli, su e giù lungo il registro acuto toccando lievi distorsioni. Un
sax che è un'elegia urbana modulata su eccitazione e sentimento, a metà fra The
Howl di Ginsberg e i paragrafi allucinati di Ellis, un'elegia che scalda il
sangue nelle vene e aumenta il battito cardiaco, sviluppando una tensione latente
anche grazie ai frequenti dialoghi con l'elettronica di Lindner, che aggiunge elementi
di ruvida concretezza dell'architettura urbana. La batteria di Wood è il cuore pulsante
dell'America contemporanea, costantemente affiancata dal basso elettrico di Closey.
L'atmosfera non è però scontata, perché So angry è introdotta da una romantica
linea di pianoforte, cui si affianca il meditato sax di McCaslin che avanza sul
registro grave; si torna alla consueta concretezza urbana, quando il pianoforte
prende corpo, e la batteria passa a un dinamico 3/4. Queste inflessione poetiche
dei brani, apportano alla serata momenti di straniante sospensione, atmosfere simili
ai voli delle api di Salvador Dalì. Perché il jazz è arte, è colore, e Nate Wood
alla batteria sembra impugnare le bacchette come Rothko impugnava il pennello, spandendo
nell'aria metaforiche campiture rosse e gialle.
Worse Hour è aperta da un dialogo di sax ed elettronica dalle oscure atmosfere
preraffaellite, quasi un'elegia per un suicidio nei boschi del New England, quando
la campagna di metà ottobre brilla per il rosseggiare degli aceri campestri. Wood
sostituisce una spatola a una delle bacchette, e pizzica le percussioni con metallica
dolcezza. Nella seconda parte, il brano subisce un'accelerazione: Lindner al pianoforte
spazia su tutto il registro cromatico, mentre il sax è un volo di rondine sugli
Adirondack.
"Con questa roba, ti ci puoi fare un'overdose". Sembra quasi di sentirli, Jean-Michel
Basquiat e Charles Bukowski che si scambiano un parere nell'intervallo, mentre ad
occhi chiusi ripensano le note di questo jazz contemporaneo strutturato come un
romanzo che include la tenerezza di David Foster Wallace, l'allucinatezza urbana
di Bret Easton Ellis, la sofferenza di Tennesee Williams, la rabbia di Allen
Ginsberg, e che non sarebbe dispiaciuto a Pier Vittorio Tondelli, leggendario
cantore della Bassa degli anni Ottanta.
Il secondo set è introdotto da 54 Cymru Beats, cover da Aphex Twin, è caratterizzata
in apertura da un a solo di sax sullo stile "sregolato" di Coleman Hawkins,
inserito però nelle atmosfere progressive già immaginate da Twin. Domina l'aggressività
della batteria, accompagnata nota per nota dall'elettronica, mentre il sax rientra
nei ranghi con passaggi minimalisti.
Ma a caratterizzare la seconda parte della serata, i due omaggi a David Bowie, ancora
senza un titolo ufficiale, ma splendidamente intensi per le emozioni che suscitano.
Due brani leggermente influenzati dal pop, comunque non scevri di spigolosità urbana,
e caratterizzati da intensi dialoghi fra la batteria e l'elettronica, mentre il
sax interviene quasi in punta di piedi.
In chiusura, Midnight Light, il cui titolo è stato ideato dalla figlia settenne
di McCaslin; un brano lunare, meditativo, caratterizzato da un sax sui toni gravi,
supportato da un caldo pianoforte minimalista ma efficace, e da una batteria cadenzata,
incentrata sulle percussioni. Un brano che contrasta fortemente con i precedenti,
ideale chiusura di un concerto fortemente coinvolgente, all'insegna di un jazz innovativo,
specchio di un'epoca e di una Nazione, intriso di rabbia e di poesia, di commovente
bellezza e di nostalgia.
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Data pubblicazione: 16/04/2016
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