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Michele Francesconi
"Pianoforte complementare in stile
pop jazz"
Quali sono stati gli elementi che ti hanno spinto a scrivere
questo metodo?
Direi la necessità di dare una schematizzazione alla didattica, per quanto lo studio
del jazz e della popular music debbano necessariamente seguire dei percorsi dettati
dalla creatività. C'è da dire però che, oltre a chi suona per diletto, anche molti
studenti dei corsi superiori dei conservatori mostrano notevoli lacune nella grammatica
di base, per cui ho pensato che un libro di questo tipo potesse aiutarli a comprendere
meglio alcuni elementi per accompagnarsi al pianoforte.
Quali sono gli aspetti che hai ritenuto di trattare in modo principale?
Il sistema che ho sviluppato si ispira a due criteri principali. In primo luogo,
la praticità: l'intero metodo nasce dall'esperienza con gli studenti e risponde
alle loro esigenze, ai loro problemi sullo strumento. In secondo luogo, ho cercato
di renderlo il più sintetico possibile, perché credo che la sintesi sia una delle
risorse più preziose da sfruttare nei processi di apprendimento. Queste considerazioni
mi hanno portato a dare al libro un taglio il più possibile concreto e schematico
e a concepirlo con un approccio da accompagnatore - arrangiatore (da qui trae il
titolo – pianoforte complementare) per distinguerlo da un tipo di studio, vastissimo,
che prenderebbe in esame la sfera gestuale legata all'improvvisazione. Il repertorio
preso in esame si concentra esclusivamente sull'accompagnamento basilare delle pop-
ballad e sull'armonizzazione delle song, terreno nel quale è possibile elaborare
la materia armonica in maniera anche molto complessa.
Nel metodo vi sono due brevetti. Ce ne vuoi parlare?
Si tratta di due piccoli accorgimenti utili per lo studio. Il concetto di "nota
perno" è uno schema applicativo per disporre gli accordi in modo coerente con la
melodia del brano che si sta suonando; il secondo, invece, è un metodo di scrittura
che permette di appuntarsi un voicing su una lead sheet facendo uso di lettere per
scrivere le note suonate con la mano sinistra.
Quanto l'aspetto visivo delle posizioni e delle combinazioni di tasti è ritenuto
importante?
I disegni della tastiera che si trovano all'inizio servono più che altro per imparare
l'impostazione iniziale delle triadi e delle quadriadi. In una fase successiva si
ritiene che lo studente possa a poco a poco sviluppare delle basi minime di lettura
e coordinazione per affrontare l'armonizzazione dei brani.
Il libro è rivolto anche ai musicisti classici. Cosa può concretamente ottenere
un pianista classico dallo studio di questo metodo?
Sicuramente i mezzi per codificare il siglato e iniziare a sganciarsi dalla partitura.
Nel jazz o nel pop la scrittura della musica è più un mezzo che un fine, perché
il risultato finale lo si ottiene solo con l'orecchio, non avendo niente di definitivo
da eseguire in maniera prescrittiva.
Pensi possa adottarsi anche nei conservatori?
Mi auguro di si. Io tuttora insegno in tre conservatori e i miei studenti lo usano.
C'è un programma di divulgazione previsto?
Durante la promozione con l'editore Volontè abbiamo spedito il manuale a molti colleghi,
e, nel caso lo trovassero utile, potrebbero adottarlo, o quantomeno segnalarlo.
Pensi ad un possibile seguito per una seconda edizione?
Credo che la mia avventura editoriale si debba fermare qui. Questo libro è comunque
il frutto del lavoro di oltre vent'anni come docente e, dal mio punto di vista,
per quanto possa essere ampio l'argomento, è un discorso concluso, e spero coerente
con l'impostazione che mi ero prefissato. In futuro vorrei dedicarmi ai miei progetti
artistici, anche se personalmente non ho mai ritenuto la didattica come qualcosa
di disgiunto da un percorso di ricerca, anzi, spesso attraverso gli allievi ho imparato
delle cose... queste parole però non le ho dette io, ma un signore molto più importante
di me in un manuale del 1911.
Marco Losavio per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 01/11/2016
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