http://www.moonjune.com
Assiduo sperimentatore ed esploratore del suono, strumentista e compositore
di rango (Facelift, Kings and Queens, Virtually... l'elenco sarebbe lunghissimo)
Hugh Hopper non ha certo bisogno di presentazioni, forte di una quarantennale
carriera indissolubilmente legata all'avventura sonora nota come Soft Machine.
Al fianco delle emanazioni di quella indimenticabile
stagione (da Gilgamesh a Soft Heap, fino ai più recenti Soft Works e Soft Machine
Legacy), l'attività parallela del bassista di Canterbury non ha disdegnato, in particolare
negli ultimi tempi, la pratica dell'improvvisazione (quasi) radicale: ne sono testimonianza
queste due prove discografiche, pubblicate dall'etichetta
Moonjune.
L'uscita più recente è "Dune", frutto
di due sessioni a cavallo fra il 2007 e il
2008, nelle quali il bassista di Canterbury
è affiancato dalla poliedrica performer Jumi Hara Cawkwell, ex psichiatra,
qui vocalist e tastierista, ma attiva anche in diversi contesti sonori (drum'n'bass)
come DJ Anakonda.
I dieci brani del disco ci restituiscono un Hopper in buona forma,
ancora ispirato e creativo, che armato del fido strumento elettrico dispensa a più
riprese suggestivi paesaggi sonori, conditi dal solito, sapiente uso delle distorsioni
e da un misurato e incisivo uso di loops campionati.
Più di una perplessità, invece, desta la prova della partner, il cui apporto
appare qui condizionato da un ventaglio espressivo limitato, caratterizzato da un
pianismo spesso monocorde, involuto e privo di dinamica, ai limiti della naiveté,
nonostante i vari titoli e dottorati in composizione acustica ed elettroacustica
citati nelle note biografiche.
Ne risulta, nel complesso, un disco dagli esiti disuguali, che alterna momenti
ben riusciti (Seki no Gohonmatsu,
Hopeful Impressions of Happiness) a fasi in cui
il percorso dei suoni si avvita su sé stesso, restando allo stadio larvale.
Ben altra sostanza, a nostro avviso, si ritrova in "Numero
D'Vol", senz'altro il titolo giusto per chi abbia voglia di ascoltare
le alchimie di Hugh, in analogo contesto, con il supporto di talenti più consolidati.
La registrazione di queste 11 tracce risale al 2002,
ma la pubblicazione avviene ben cinque anni dopo. E' l'unica occasione in cui i
quattro abbiano suonato in questa configurazione, organizzata e fortemente voluta
da Hopper, che aveva già incrociato le strade dello storico drummer Charles
Hayward e del tastierista Steve Franklin (rispettivamente, nel progetto
Oh Moscow! di Lindsay Copper e nelle prime formazioni In Cahoots di
Phil Miller). A completare l'organico, il sassofonista Simon Picard.
Siamo nell'ambito della composizione istantanea, affrontata con piglio energico,
pienezza di volumi e timbri, uso marcato del riff e della tensione ritmica. Ne risulta
un oggetto sonoro affascinante e godibile, mutevole alle diverse prospettive d'ascolto
(rilassato, analitico, critico, fazioso), che riesce a scompaginare le abituali
coordinate senza mai accelerare oltre misura il passo o divenire sterilmente puntillista,
come può accadere quando idee e/o tecnica latitano.
Al contrario, qui il controllo dei materiali è evidente in ogni situazione,
dalla sorprendente partenza della title-track, quieta e venata di un tocco
dub-ambient, alla evolvente e "progressiva" On The Spot,
che in rapida successione ci presenta il fuzz-bass di Hopper a introdurre uno
sfrangiato tappeto minimalista delle tastiere che ricorda Terry Riley, per proseguire
su un'ostinata pulsazione della batteria che sostiene lo sviluppo di un incisivo
solo di sax.
Sfogliando le altre pagine, molto belle anche Free
Bee e Bootz, quasi lineari
nel loro svolgersi, lacerti di spurio jazz che vedono Picard in grande spolvero
e il trio a rendere angoloso il tutto, con le liquide note del piano di Franklin
ed i mutevoli accenti di basso e batteria.
Anche se la forza del disco sta nell'ottima interazione fra i quattro, riteniamo
doveroso rimarcare le prove dei singoli, a partire dai due nomi meno noti, Franklin
e Picard, che forniscono una prestazione superba, potente e nitida, all'altezza
dei più celebri compagni di viaggio: Hayward, la cui fantasiosa intensità
ritmica risulta determinante anche in un contesto diversissimo da quelli a cui ci
ha abituato (come This Heat o Camberwell Now), e Hopper, brillante e misurato,
nume tutelare di un progetto probabilmente irripetibile, fatto che accresce il valore
già alto di questo "Numero D'Vol".
Alfonso Tregua per Jazzitalia
http://www.moonjune.com
http://www.myspace.com/humimyspace
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Data pubblicazione: 02/09/2008
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