Tra tanti virtuosi, attenti più che altro alle
prodezze tecniche, Mark Weinstein si è sempre distinto per il caldo
e suadente tono latino, fondendo con gran sensibilità le atmosfere tropicali con
le blue notes: a lui si deve oggi l'affinamento della ricerca per
il flauto latin jazz in quanto il suo sound non è originato solo da
intuizioni o dall'amore per il "bel suono", quanto più da un'interessante capacità
di composizione e d'arrangiamento, così come dai notevoli spunti di originalità
evidenti nella tecnica esecutiva.
I brani proposti in "Lua e sol" possiedono
una spiccata logica narrativa che si dipana attraverso la predilezione per un pluricromatismo
di personale dimensione espressiva, per un fraseggio coerente e gradevolmente "discorsivo".
In tal modo "Canto de Ossanha" rimane un'immagine
non scalfita dal tempo ed il modus con il quale lo presentarono Baden Powell
e Vinicius De Moraes viene enucleato nella sua contagiosa forza emotiva; un clima
ideale per sprigionare tutta l'eleganza del proprio flautismo, come anche negli
evergreens "Upa Negrinho" di Eduardo
Lobo e Gianfrancisco Guarnieri o "Choro da Gafieira"
di Pixinguinha.
In nome di un "tradizionalismo progressista" il flautista cura l'esecuzione
secondo un buon gusto semplice nell'esposizione, a volte energico, talora vitale,
talaltra swingante, dilatato in soli ideati di getto, senza calcoli né trucchi:
un convinto fervore, una fede tenace nel senso profondo dei pentagrammi prescelti,
sostenuta dal formidabile interplay con una formazione estremamente esplicativa
in tal senso (la chitarra classica di Romero Lubambo, l'acoustic bass
di Nilson Mata, le percussioni brasiliane di Cyro Baptista).
Weinstein non insegue l'attuale a tutti i costi, non ama lo sgargiante cabaret
di tanti solisti; sceglie di articolare l'album secondo un groove curato
ed entusiasta, attuale nei sussulti armonici, improntati ad un'identità al di fuori
degli schemi e tutt'altro che narcisistica, proprio là dove sembra farsi luce l'intenzione
di "spiegare" all'ascoltatore ogni fase dei propri processi creativi, delle proprie
emozioni.
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 15/03/2009
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