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Marco Tindiglia Quartet
Happy Jazz

 1. Happy Jazz (Tindiglia) - 3:18
2. Masa's Teaching (Tindiglia) - 4:07
3. Next to the Pool (Tindiglia) - 6:07
4. Ninna Nanna (Tindiglia) - 2:36
5. St. Valentine's Day (Tindiglia) - 2:56
6. Cycles (Weinstein) - 8:39
7. Easter Eggs (Tindiglia) - 3:06
8. Non Stop to the Bus Stop (Tindiglia) - 4:29
9. Evielein (Tindiglia) - 5:12
10. El Segundo (Weinstein) - 6:13
11. Jungle Fever (Tindiglia) - 5:57

Marco Tindiglia - guitar
Matt Renzi - tenor sax
Masa Kamaguchi - bass
Jimmy Weinstein - drums


Lo sai da subito che con
Jimmy Weinstein alla batteria questo quartetto capeggiato dal chitarrista italiano Marco Tindiglia deve essere qualcosa di speciale. Il chitarrista chiama il suo album "Happy Music", eppure quando lo ascolti ti accorgi che ha una qualità dolceamara che ti affascina, e una malinconia che quasi ti gela le ossa. In parte è dovuto alle pigre composizioni ad andamento lento incessante, e in parte agli arrangiamenti che prevedono un sax tenore e una chitarra in primo piano. Il tenorsassofonista Matt Renzi può anche essere poco conosciuto, ma il suo sound fluido e in parte etereo si inserisce bene nei concetti di Tindiglia. E' molto attento nel non riempire i suoi spazi di troppe note, rimanendo fedele alle melodie, la cui leggera spigolosità ricorda Monk. Jimmy Weinstein è un maestro della batteria, che discende direttamente dalla sensibile scuola nel lignaggio di Paul Motian, e mantiene il sound del gruppo ben equilibrato. Non tutto prende forma altrettanto bene, e ci sono un paio di pezzi abbastanza mondani, ma qui c'è qualità sufficiente per soddisfare i curiosi. Tindiglia evita le strade già battute, optando per melodie lievemente oblique che rappresentano dei veicoli che si prestano egregiamente all'improvvisazione. Sebbene non vi siano metriche o tempi eccezionalmente insoliti, il modo in cui le melodie vengono accarezzate e scolpite, fa emergere questo gruppo dalla folla.
**** Steven Loewy - AllMusic (trad. by Eva Simontacchi)




Come nasce questo disco?

«Nel 1990 ero a Boston, per frequentare il Berklee College of Music e lì ho conosciuto Jimmy Weinstein, con il quale ho condiviso per un anno i 40 metri quadrati dell'appartamento. Da quest'incontro è nata un'amicizia che non si è persa nel tempo: quando ho deciso di registrare il disco l'ho subito chiamato».

E rispetto al precedente "Tindi & Altro"?
«Intanto sono passati quattro anni ed ho due figli in più. A parte questo, i musicisti di "Happy Jazz" li sento più vicini a me: con loro è nata l'idea di fare questo disco, di "fotografare" in musica alcuni momenti della nostra convivenza, a Boston».

Bei tempi, quelli di Boston?
«La mia camera era diventata una sorta di sala prove. Ore passate ad ascoltare Davis, Coltrane, Coleman, Bley, Motian».

C'è una certa vena malinconica.
«E' solo un aspetto della mia musica che sa anche essere ironica e gioiosa».

In un mondo dove tutti corrono, chitarristi compresi, lei privilegia la lentezza e l'intensità espressiva.
«E' vero, perché prediligo lo spazio. Solo questa dimensione ti permette di ascoltare gli altri; se suoni da forsennato e a velocità supersonica in realtà ascolti solo te stesso».

Stesso discorso per l'ostentazione virtuosistica?
«La musica deve venire prima di tutto. Il virtuosismo fine a se stesso è tipico di una fase adolescenziale. Io al contrario ho lavorato a lungo per imparare a togliere anziché aggiungere».

Le sue sonorità e l'uso del "pedale" richiamano artisti come John Scofield e Bill Frisell.
«Sono due chitarristi che apprezzo molto, anche se ad influenzarmi maggiormente sono stati Wes Montgomery e Jim Hall, vero maestro dello spazio».
Paolo Battifora - Il Secolo XIX - 23 giugno 2001

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Data pubblicazione: 17/04/2003





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