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Brus & Knaster
Das Taxibåt
Brus & Knaster 021 (2013)
1. Das Taxibåt
2. Cowboy Song
3. Johansson's Temptation
4. Bobo's Temptation
5. Sergio Giorgini
6. Christney's Bass Lesson
7. Positiv Man
8. Safir
9. Quicky
10. Gone Fishing
Daniel Karlsson - pianoforte, organo, tastiere Kristian Lind - contrabbasso Fredrik Rundqvist - batteria
Daniel Karlsson Trio, Das Taxibåt: il talento compatto di un grande pianista
Autorevole, ispirato, virtuoso, di piglio. Un album firmato finalmente con nome
e cognome dopo una carriera lunga e luminosa nel jazz scandinavo che conta: da Oddjob,
una delle band scandinave più innovative dell'ultimo decennio, alla collaborazione
con Magnus Öström (Esbjörn
Svensson Trio) per lo strepitoso album "Searching for Jupiter". La carriera
di Karlsson comincia prestissimo, e prima di compiere trent'anni ha già vinto il
Grammy svedese con l'album d'esordio di Oddjob, e due anni dopo il "Nobel" della
musica aggiudicandosi lo "Swedish Jazz Musician of the Year Award" con il quale
finanzia il suo primo lavoro solista, presentato con il nome di Pan-Pan. Prima e
dopo, nessuna interruzione per la sua carriera, spesa in decine di altri progetti
con star tanto del mondo scandinavo quanto internazionale, come Nils Landgren,
Ernie Watts, Peter Erskine
e Till Brönner.
Finalmente ora un nuovo disco tutto suo, con un trio di stampo classico (piano,
contrabbasso e batteria) eppure lontano da un'idea di standard per molti
motivi, a cominciare dall'autorevolezza e modernità compositiva di Karlsson, che
lo rende libero e originale, persino quando omaggia altri musicisti. Si ha la sensazione
che questo pianista, pur non essendo certo rimasto "sacrificato" nel suo estro fino
ad oggi, abbia comunque accumulato una grande propulsione espressiva, e che una
volta stappata la bottiglia l'acqua sia difficile da contenere: "Das Taxibåt" è
un album ricco di variazioni e ispirazioni, filtrati attraverso un pianismo estremamente
ritmico e percussivo, più che melodico o etereo. Non che manchino momenti più soffusi
o elegiaci, ma ciò che rende riconoscibile il suo tocco tra tanti è proprio quello
di un approccio molto scandito e impetuoso sulla tastiera, che riesce quindi a fondersi
e amplificarsi con la sessione ritmica, affidata al contrabbassista Krister Lind
e al batterista Fredrik Rundqvist, abili nel dare forza alla personalità di Karlsson,
rendendo il tutto ancora più riconoscibile e originale.
Dieci brani con un ampio spettro di variazioni di ispirazione e metrica, che iniziano
con una title track dinamica ed elastica, a dare la cifra stilistica di questo
lavoro. Troviamo infatti subito il piglio forte di Karlsson, che oltre al piano
suona organi e tastiere, con un filo di elettronica che si infila impercettibilmente
nella trama.
Il secondo brano, il più morbido del disco, ha nel titolo l'immagine narrativa che
racconta: "Cowboy Song" sembra proprio un incedere lento, quasi stanco, di cowboys
a cavallo, al tramonto; ripartita in tre sezioni, ha una intro di puro piano che
si ripete nella seconda sessione insieme agli altri strumenti, mentre la terza parte
comincia con un organo celestiale per concludersi percussiva e incalzante, con uno
dei migliori pezzi di batteria. Il terzo brano, invece, è un po' un gioco di parole
con l'inglese: uno dei piatti più famosi della tradizione culinaria svedese (Janssons
Frestelse, la "tentazione di Jansson") diventa titolo tradotto e corretto in
"Johansson's Temptation", un omaggio al debito che quasi qualsiasi pianista svedese
deve riconoscere al maggiore innovatore del genere a partire dagli anni Sessanta:
Jan Johansson. Poco (ri)conosciuto all'estero (è comunque anche l'autore del motivo
di Pippi Calzelunghe!) ha tuttavia impostato un solco in cui tutti i più prominenti
pianisti jazz si sono insediati, tra cui anche lo stesso
Esbjörn
Svensson. Un tribute dichiarato, quindi, dove il piano è così
percussivo e croccante da duettare con la batteria, intanto che con la mano destra
Karlsson costruisce merletti improvvisativi che trascinano irresistibili il finale.
Altro tributo dichiarato per la quarta traccia "Bobo's Temptation", dedicata a Bobo Stenson. Un piano magicamente meditativo contornato da belle invenzioni
di Rundqvist, con suoni interessanti.
Il quinto, invece, "Sergio Giorgini"(nome
di stilista inesistente, inventato nella sceneggiatura della serie "The Office")
deve forse il suo titolo all'estrema eleganza e raffinatezza del suo incedere, come
quello di un gatto nel buio, con stille gelide di piano.
"Christney's Bass Lesson" invece è decisamente ballabile, non solo per il basso
che lavora sui fianchi, ma per la sua deliziosa batteria in punta di bacchetta,
fino alla lunga improvvisazione centrale, per tornare poi ancheggiante. E la voglia
di dondolarsi resta anche al brano successivo, "Positiv Man", dove il piano sembra
arrampicarsi e ridiscendere per le sue ottave, quasi indeciso su che strada intraprendere,
su una morbida e elegante linea di basso. "Safir" è una pietra preziosa incastonata
sul finire dell'album, il pezzo più malinconico e svenssoniano.
Più fusion il penultimo brano, "Quickly", con un bel groove dall'inizio alla
fine e il piano che ricama sopra virando verso l'improvvisazione, che continua a
essere centrale anche per la traccia successiva "Gone Fishing" che conclude l'album.
Base ritmica solidissima che sostiene il piano nelle sue variazioni, accelerazioni
e dissonanze, rendendo il brano uno dei meno immediati del disco.
Daniel, finalmente un lavoro di cui sei di nuovo padrone con nome e cognome:
cosa ti ha impedito di lavorare prima a questo album, e come hai scelto i tuoi partners?
Devo dire che non ho sentito molto il bisogno di essere il fulcro di una situazione,
dato che ho espresso la mia creatività molto attraverso gli Oddjob. I musicisti
li ho scelti perché ne apprezzavo molti aspetti, prima di tutto il modo di suonare,
il loro sound e il loro orientamento, ovviamente, ma anche per la loro personalità:
è importante quando vai in tournèe.
I tuoi "omaggi" a Johansson e Stenson hanno una ragione più stilistica o sentimentale?
Bobo Stensson e Jan Johansson sono i due pianisti svedesi che mi hanno più influenzato.
In effetti, io credo che il mio modo di suonare sia molto svedese, ed è per questo
che volevo dargli risalto.
Nel suonare con Magnus Öström hai, in un certo senso, "sostituito"
Esbjörn
Svensson, il musicista svedese che ha maggiormente influenzato il pianismo
jazz mondiale negli ultimi anni. È stato un pensiero che ti ha dato energia o ti
ha intimorito?
Non credo che nessuno possa sostituire Esbjörn. Di lui ce n'era uno solo, e ammiro
enormemente quello che lui e il Trio hanno prodotto. Sono consapevole che vengo
messo a confronto con lui e che continuerò a esserlo in futuro. Tra l'altro, abbiamo
lavorato nello stesso ambiente, studiato con gli stessi insegnanti e suonato nelle
stesse formazioni. Esbjörn era un artista di fama mondiale, e sarei stato il primo
a seguire con curiosità il suo sviluppo musicale, non fosse scomparso per quel tragico
incidente. E poi certo! Mi dà forza come pianista. È stato capace di rendere possibili
così tante cose.
Monica Mazzitelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 02/03/2014
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