Nel
prestigioso catalogo dell'etichetta Via
Veneto Jazz, è stato inserito il primo CD a nome di Sergio
Cammariere.
Cantautore crotonese ma romano d'adozione si propone agli ascoltatori con
13 brani eseguiti da un ensemble invidiabilissimo e il risultato sonoro
è eccellente, d'altronde con i professionisti intervenuti c'è solo da fidarsi.
Amedeo Ariano alla batteria e Luca Bulgarelli al contrabbasso innanzitutto c'è
da dire che suonano da anni nel SERGIO CAMMARIERE TRIO ma sono comunque una
base ritmica con oramai alle spalle tante altre collaborazioni di alto livello, Fabrizio
Bosso è uno dei leader incontrastati del suo strumento, e cioè la
tromba, Olen Cesari è un giovane violinista che, tra gli altri, ha
lungamente collaborato con Lucio Dalla e Simone Haggiag percussionista
internazionale che, oltre alla collaborazione con Alex Britti, ha anche fatto
parte della Mike Gibbs Orchestra con John Taylor, Charlie Mariano, Evan Parker,
Kenny Wheeler, Steve Swallow. Infine, appunto, Alex Britti...non ha ovviamente
bisogno di presentazione.
Cammariere è arrivato a questo CD (registrato in presa diretta) dopo anni di esibizioni in locali e
teatri e, soprattutto questa estate, ha girato innumerevoli città (anche nella
sua Crotone, il 26 agosto) proponendo le sue canzoni, risultato di una
lunga e consolidata collaborazione con Roberto Kunstler , autore dei
testi e co-autore di parte delle musiche. Sono canzoni composte nel
tempo e perfezionate sempre più negli arrangiamenti e il risultato evidenzia
una cura dei particolari che non possono non lasciare soddisfatto anche il più
"pignolo" degli ascoltatori.
Il brano di apertura s'intitola Sorella
mia e inizia con un
piano profondo, corposo, autoritario, a ritmo di tango, che entra subito nello
stomaco. Chitarra e percussioni si associano al riff introduttivo finchè inizia
l'esposizione del tema con una voce vellutata. Già si pregusta l'entrata del
contrabbasso e della batteria. E infatti, dopo le due A e la B eccoli,
dirompenti. Fa ingresso anche il violino che rimarca il riff iniziale e aggiunge
pathos al brano che si svolge ottimamente fino a giungere ad un finale
all'unisono.
Segue Tempo
perduto con le spazzole
che scandiscono un incessante 5/4. I musicisti rimangono tutti ancorati
al ritmo tranne la voce che riesce a ben ammorbidire il tempo dispari
collegando le parole senza pause e completando le frasi in modo compiuto. Questa
è una caratteristica propria del modo di cantare di Cammariere.
Via da questo mare.
C'è Britti in questo CD! L'intro è suo, scatta infatti la pentatonica
blues anche se il brano è una beguine soft con tanto di spazzole e flicorno. Bosso
e Britti si alternano nel ricamare i passaggi armonici nelle pause e
nei turnaround fino a duettare nel finale insieme a Cammariere al piano. E' in
questo brano che Sergio parla per la prima volta del suo mare, quello calabrese,
e lo fa trasmettendo il dolore e la speranza di chi ha scelto di andare via. (E camminando senza più guardare ho solo voglia di andar via da questo mare)
Del brano Cambiamenti
del mondo,
già inciso da Sergio nel '93 nel disco Kunstler/Cammariere
"I Ricordi e le persone", mi piace estrapolare questa bella frase:
Qualsiasi
lontananza è una distanza
Qualsiasi convinzione è un'opinione
Il ritmo
"sospeso" enfatizza sia il testo che il tema, "dondolante" tra E-
e A- fino alla seconda parte in cui si sposta di mezzo tono in
avanti, quasi senza farsene accorgere, su F- e Bb-. Ed è sul F-
che si crea un intermezzo con improvvisazioni del piano e del violino
finalmente liberato, dopo essere stato, fino a quel momento,
"imprigionato" intorno al tema modale. Il contrabbasso di Bulgarelli
abbandona il pedale di F mantenuto ogni tanto, durante l'esposizione del
tema, anche sul Bb- in modo da creare un'ulteriore sospensione armonica.
Il brano successivo è quello che fornisce il titolo al CD: Dalla
pace del mare lontano.
Ed ecco che Sergio riparla ancora del mare ma questa volta lo fa con un ritmo
molto sostenuto che da allegria al testo. Ariano, con le spazzole,
comanda l'andamento ritmico consentendo a Cammariere di cantare il testo tutto
d'un fiato fino ad un finale in crescendo con il piano che raddoppia le note (in
stile Corea) e conduce tutti al finale eseguito all'unisono.
La quiete dopo la tempesta e cioè:
Apri
la porta, brano che
consente all'ascoltatore di rilassarsi eseguito con piano, voce e violino.
Ma non c'è molto tempo per rilassarsi, perchè subito giunge Canto
nel vento, un samba in
cui si avverte la presenza di Bosso con la sua tromba squillante. Esegue
un intro, sfrutta qualche pausa, i turnaround, fino al finale in cui improvvisa
chiudendo all'unisono.
Un altro brano intimistico eseguito in trio è Le
porte del sogno in cui
si può apprezzare particolarmente la dinamica di Cammariere
nell'accompagnamento, abile nel riempire i vuoti, arricchire i voicing.
Ed ecco l'unico brano di cui Cammariere non è autore, bensì fine
arrangiatore: Il mare.
E' la versione italiana, con testo di Panella, del famosissimo brano La
mèr di Charles
Trenet, rappresentante scelto di quei chansonniers a cui Cammariere in
qualche modo si riferisce.
Si riparla ancora del mare quindi, ma senza riferimenti alla
Calabria. Il giro armonico predominante (I-VI-II-V) è inframmezzato dal flicorno
di Bosso che si libera maggiormente in un intermezzo ottenuto sul G(sus4)
con pedale di G per il contrabbasso, preludio ad un breve solo del piano. Da
notare il continuo spostamento del centro tonale, inizialmente in C, in avanti e
indietro che sembra simulare proprio una navigazione in su e in giù per le onde
del mare.
Il brano seguente, Per
ricordarmi di te
, blues in Re minore eseguito in trio ha come tema dominante la lontananza, il
distacco vissuti però senza drammi.
Spazio alla satira e all'ironia con Paese
di goal, brano dedicato
alla nostra nazione e ai suoi difetti. Swing sostenuto e limpido,
impreziosito dalla tromba di Fabrizio
Bosso.
Il CD volge al termine, ma le sorprese non sono finite. In Vita
d'artista eseguita solo
da Sergio (piano e voce) si assiste ad un'alternanza di umori tra la A e
la B che descrivono le
difficoltà, le introspezioni di chi ha fatto dell'arte il proprio mestiere.
Nell'allegro refrain si recita un'amara verità:
Viva
l'Italia, paese d'arte
viva i suoi artisti tenuti in disparte
fuori dal mondo per settimane
schiavi del cuore e di un pezzo di pane
La chiusura
è ancora una volta ironica con Cantautore
piccolino. Escursus di
nomi famosi di cantautori con cui Cammariere ironizza un confronto (a partire da
Paoli Gino con cui fa rima il titolo, a De Gregori, Guccini, Dalla, Lolli, Lauzi,
Battiato...). Il brano inizia con
il quattro di Sergio che avvia così uno swing molto sostenuto in cui si risente Bosso
alla tromba e un ensemble davvero affiatato. Poi...sorpresa!!! Il brano non
finisce ma se si pazientano un paio di minuti inizia una seconda ottima versione
eseguita questa volta con le spazzole e la tromba in sottofondo
per tutto il brano e un piano che si diverte anche ad improvvisare. Ecco, questo è un plus su cui Cammariere può,
e lo fa egregiamente, sicuramente puntare: è un pianista. Esegue soli,
accompagna con voicing ricchi ed essenziali al tempo stesso inserendo le dovute alterazioni,
riempiendo gli spazi, dal punto di vista
ritmico è validissimo. Sembra non possa fare a meno di suonare il piano oramai
ben integrato nella sua personalità musicale. Insomma, non mi sembra affatto un
cantautore piccolino.
In conclusione, questo CD è un lavoro molto meritevole, 60 minuti di
ottima musica eseguita in presa diretta, solo un gruppo molto affiatato
può permetterselo, considerato che non c'erano standard, bensì composizioni
d'autore con, tra l'altro, molti obbligati. Va anche detto che non è semplice comporre e cantare brani con ritmi
appartenenti a contesti generalmente diversi.
Sergio Cammariere riesce ad
utilizzare un linguaggio di matrice jazzistica per raccontarsi, dando
l'occasione sia a chi lo accompagna che a chi lo ascolta, di vivere con lui le
sue emozioni. Penso che al di là di generi musicali che si possano evincere,
quello che può interessare ad un cantautore come Sergio Cammariere sia la
possibilità di comunicare, attraverso la sua musica, proprie emozioni sperando di
farle vivere anche a chi lo ascolta.
Mi piacerebbe molto vedere questo ensemble dal vivo, situazione in cui
sicuramente è consentita più libertà, qualche improvvisazione in più che
sul disco un po' manca ma, si sa, il CD ha i suoi spazi e i suoi tempi.
Penso di non esagerare se dico che Cammariere riuscirà quanto prima ad
inserirsi autorevolmente in quel settore musicale in cui a tutt'oggi
padroneggiano nomi come Conte e Capossela. E' un settore che consente di ascoltare musicisti di
primissimo livello, canzoni d'autore ben composte ed arrangiate egregiamente.
Tra l'altro, quest'anno, proprio Conte e Capossela erano presenti nel cartellone
di Umbria Jazz. E l'anno prossimo?
In bocca al lupo Sergio ;-) Marco
Losavio
Guccini è Guccini. Può
permettersi di uscire ogni quattro anni con un cd e, nel frattempo,
pubblicare qualche riedizione live. Così, qualche anno fa decisi di
regalarmi, a richiesta, l'emozione di un concerto. Nulla da dire: fra il
geniale, il sublime ed il cabaret. Dal vivo Guccini è ancora più
accattivante, ancora più mostro. "Scirocco" era il pezzo più coinvolgente
della registrazione. Un'esecuzione cui voce ed arrangiamento avevano
regalato tutta la nostalgia e lo struggimento della milonga. Ascoltavi e ti
montava una sensazione sconosciuta, una dolcezza sofferente, pura,
ingiustificata e viscerale. Una specie di malinconia orgasmica. Però,
attaccato alla canzone c'era il suo 'grazie'. Con tanti punti esclamativi,
gridato, istrionico, narcisistico e distante. Non poteva essere quello di
chi fino a qualche secondo prima cantava una tristezza che era anche la tua.
Era un 'grazie' avaro, in cui nessuno del pubblico sarebbe mai entrato. Da
quel momento fui io ad essere grata a lui: m'aveva ricordato che siamo tutti
degli schizofrenici e che l'anima bisogna far finta di regalarla. Sennò
restiamo noi senza.
Così nell'ultimo lavoro di Sergio Cammariere: non mi va di
chiedermi dove finisca l'artista e dove cominci l'uomo. Non è importante,
serve solo ad attivare il gioco delle proiezioni masochistiche che ci
portiamo dentro. Le canzoni sono solo canzoni, è appena un caso se una voce
od una melodia t'arrivano all'anima. Chi canta se ne frega di te. Nemmeno sa
che esisti. Per cui, anche in questo caso, bisogna parlare solo del lavoro,
di ciò che esso evoca. Della sottile rete che vissuto ed immaginario
riescono ad intrecciare. E di cui chi lo propone, non è responsabile.
"Dalla pace del mare
lontano" dice
tutto, già nel titolo. O quasi. Racconta anche qualcosa che pertiene al
mondo delle sensazioni indefinite: parla di un uomo che 'diventa' la sua
musica. Il che, comprende ma esclude anche, le capacità d'interprete,
d'autore e d'esecutore. E' un'altra cosa. Colui che si trasforma ed esiste
in quello che fa non è un uomo, è un esteta, uno che opera in vista della
perfezione. E che non si concede debolezze e non si permette emozioni. Tutti
i pezzi allo stesso livello, tristi od allegri, conciliati od inquietanti.
Cammariere è un veicolo. Un buon conduttore d'elettricità. L'orecchio
educato vi ritrova un po' di quella scintilla divina di cui, il sacro
terrore della retorica, impedisce di parlare. Il profano, fruitore medio, sa
solo godere di una sintesi inconsueta fra quelle note e quelle parole. Con
la presenza medianica di una voce che sa farsi strumento. Corde vocali che
vibrano in una realtà che ti piacerebbe restasse solo onirica. Quasi
vorresti non conoscerne il volto, ignorare che è la voce di un uomo. Perché
quella di Cammariere è una vocalità senza tempo, un'eco antica. Calda, da
consapevolezza in itinere, da percorso interiore cominciato.
Gli esteti qualche volta si arrendono all'umanità. E non è un caso
che i testi di Roberto Kunstler si siano trovati nelle melodie di
Sergio come un baco nel bozzolo. Quei due insieme volano. Le anime possono
parlare lingue diverse e servirsi di codici differenti, è il sentire da
artista che è comune connotazione esistenziale. Tutti i brani esplorano
un'identità sospesa al filo del rapporto a due. Ricetta antica e sempre
efficace. Gli ultimi tre brani sono più facili ma non meno gradevoli, e,
comunque, bei pezzi da virtuoso, pari pari.
"Sorella mia"
è la canzone d'apertura. Un pianoforte volitivo, passionale, quasi
violento, ti catapulta nel mondo artistico di Sergio. O capisci subito che
aria tira o sei fuori da tutto il disco. Poi arriva la voce. Sommessa e
carezzevole. Una volta di più vorresti non associare quello che senti ad un
volto. Vorresti credere. E vivere quella dimensione d'amore iniziale che
essa racconta: quella del sentimento che è solo donazione. E che in fondo,
non lo è mai. La poesia è sogno, la vita n'è ben lontana. In unità
d'atmosfera, concettuale ed emozionale, "Tempo
perduto". Un
participio che non sottende perdita ma non ritrovamento. Estraniazione
spazio-temporale conseguente all'innamoramento. Gli effetti di una sindrome.
Una sensazione nella quale tutti i mortali s'imbattono e per la quale,
diventano immortali. Fosse anche per un giorno solo nella vita. E' il
momento del tempo individuale, quando gioia e dolore intorno, non esistono.
Quando l'universo s'allarga fino a comprendere te e l'altro. Come il
diciotto politico all'università, il minimo garantito per ogni essere umano.
Almeno una volta. Per tutti. Poi passa, anche se si resta insieme. Peggio.
Il tempo "ritrovato" è quello dei 'saggi' e dei noiosi. Quello di chi decide
d'ammazzarsi, un pezzetto al giorno. A piccole dosi, per restare un
brav'uomo. Perché, magari, si hanno dei 'valori', di quelli che non
destabilizzano la vita e costringono a non rispettare nè sè nè l'altro. A
trascinare tutto nella sicurezza stanziale della normalità. Ma questo la
canzone non lo dice.
"Cambiamenti del
mondo" è il quarto
pezzo, un bel 'carpe diem' in forma melodica. Un invito a guardare la storia
come una realtà fluttuante, nella quale miti e simulacri variano, di
latitudine in latitudine e di giorno in giorno. "Quello che mangi tu e vendi
tu quasi quasi m'appartiene, quello che vendi tu e mangi tu è solo sangue
nelle mie vene". L'altro, nella condivisione sia pure fuggevole,
dell'innamoramento, resta una realtà immanente, l'unica. Piccola e cinica,
però vera. Sangue, sensi, fisicità e, qualche volta, sentimento. Sono un
programma di minima ma, almeno, a portata di mano. Un quotidiano ridotto ma,
tutto sommato, vincente. Distante, dunque, da un tema poetico eterno quale è
il mare. Immensità che può anche starti stretta, non bastarti più perché,
come l'acqua, siamo un fluire costante. Oggi non possiamo più essere quelli
di ieri. A volte non ci riusciamo. Ciò che un po' di tempo fa riempiva
l'esistenza, al presente non può più bastare. Il mare come un amnios che
spinge fuori, lontano, verso l'esperienza.
"Via da questo mare".
Almeno finché non serva a dare la pace, invocata dal brano che dà il titolo
all'album. Una distesa azzurra che non porti via il dolore e l'ingiuria del
quotidiano, non mantiene le promesse. "Dalla pace del mare lontano" è
incalzante, solenne, mozzafiato. Atavica e senza pietà come i ricordi.
Diversa dalla variazione sul tema di Trenet, nella traduzione di Panella. Di
più leggera trattazione e d'impianto rassicurante, "Il
mare" è visto nei
suoi ritorni, quasi ritmici. Nei flash-back della memoria che si affacciano
come alghe nella marea. Un riconoscimento alla grande canzone d'autore.
L'anima, liberata dalle catene della nostalgia, s'esprime, però, in
"Apri la porta"
e "Per
ricordarmi di te".
I versi, scarni. Intransigenti nella loro nudità. Icastici, privi di
mediazione da sensi di colpa. Esattamente il contrario di quanto facciamo
ogni giorno. "Prima o poi, tu saprai, la verità non è una, ma qualcosa che
si muove da infinite possibilità d'errore. Nacque un giorno così, fra noi
l'amore". Come a dire che la mancanza di certezze, se condivisa, può
diventare riferimento. Credere in nulla, ma che sia un nulla a due, è
qualcosa. Se si è innamorati, poi, diventa tutto. E, finché dura, dura.
Perché le storie finiscono, si esauriscono. Sfiatano quasi per legge di
natura, appena l'altro diventa nostro. Ci si può lasciare dolcemente,
salvando quello che di buono c'è stato e rimuovendo le amarezze. "...perché
stanotte è la mia e devo andare lontano, ovunque il vento mi porterà voglio
vedere che c'è". Niente da fare, in ognuno è il richiamo verso un ignoto
metaforico, forse, solo relazionale. Nessuno ha il diritto di fermare la
curiosità, nessun amore può imbrigliare la tensione alla conoscenza ed
all'esplorazione d'altre realtà. Sennò è il solito, piccolo gioco delle
proiezioni, è la dinamica perversa delle aspettative: non si ama l'altro ma
quello che si pretende esso sia. Verità eterna e crudele che Cammariere
riesce a dire dolcemente. Con soavità. Gli esteti sanno fare del male con
molta classe.
Silvana Marra |
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Data pubblicazione: 20/08/2001
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