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LEZIONI
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Evoluzione sociologica della Musica Jazz:
Jazz e Società
di Lavinia Caterina Bianca Testi
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La musica Jazz è spesso equiparata alla " musica leggera", dove l'aggettivo "leggera"
viene usato in opposizione ad altri generi musicali "alti" già consolidati, come
nel caso della musica classica o "colta".
Nel periodo che va dalla sua nascita alla metà degli anni Venti, il Jazz fu oggetto
di dissenso e campagne ostili che videro contrapporsi tradizionalisti e modernisti
che lo reputavano gli uni, selvaggio e non convenzionale, gli altri "democratico"
e innovativo. Tra questi ultimi il compositore francese Edgar Varèse scrisse:
" l'orchestra tradizionale è un elefante idropico. L'orchestra Jazz una tigre" (Bergoglio,
2010). Con queste parole cantò il requiem della musica classica-colta e nel contempo
celebrò la modernità della musica jazz. Varèse rappresenta la musica classica come
un animale tranquillo e pacifico ma incapace di proiettarsi in un futuro dinamico,
nel mondo moderno. E' invece il Jazz che può farlo, dotato della capacità di incarnare
il presente e interpretare il futuro, tant'è che verrà, dopo gli anni Trenta, paragonato
al Futurismo [1]: il vitalismo, lo
slancio verso il futuro e la centralità del modello urbano sono comuni tanto al
Futurismo quanto appunto al Jazz.
Se già Simmel aveva sostenuto come la profonda connessione tra melodia, ritmo
e armonia, definisca la natura dell'uomo e il suo vivere sociale, i futuristi non
possono non interpretare l'energico "ritmo" del jazz come riflesso delle connessioni
e dinamiche dei rapporti interpersonali nelle società moderne e nella vivace "armonia"
della musica, sempre più articolata e composita, lo specchio della frenetica e complessa
società che si va via via delineando. (Savonardo, 2010).
Anche il filosofo, sociologo e musicologo tedesco Theodor Adorno rivolge la sua
attenzione alla musica colta e al Jazz, tema centrale di molti dei suoi scritti
teorici. Questi può essere considerato il primo ad aver tentato di definire il campo
della popular music che, secondo le sue teorie, comprende tutte le espressioni
musicali destinate ad una fruizione di massa e che il filosofo sottopone per questo
ad una severa riflessione critica (poiché la " massa" già di per sé sottende omologazione
e standardizzazione).Tra queste rientra sicuramente il Jazz che corrisponde ad una
forma di regressione popolare e "militare" della musica: il tempo musicale del jazz
corrisponderebbe infatti al ritmo delle marce "ritmico-obbediente", richiamando
così al tempo meccanico e sincronizzato del taylorismo, caratteristico della produzione
capitalistica. Inoltre, sottolinea Adorno, nonostante il jazz si presenti come musica
anticonformista, libera, emancipata e caratterizzata da elementi istintivi e sessuali,
altro non è che un mero prodotto pianificato e diffuso dalle potenze monopolistiche
dell'industria culturale e dell'intrattenimento; tutto il contrario della musica
"democratica", termine che alcuni le attribuiscono. La massificazione dell'opera
d'arte è il germe del suo stesso degrado e gli strumenti che ne permettono la riproduzione
sono strumenti ideologici e, in quanto tali, avviliscono l'opera d'arte, deformandola
e privandola del suo reale valore. Al Jazz perciò, non gli si deve, e non gli si
può riconoscere alcun valore civile ed estetico in quanto esso è solo un prodotto
confezionato indirizzato ad un consumatore ormai imbarbarito e livellato (Savonardo,
2010).
Sul piano della ricezione, il jazz rispecchia appieno la colonizzazione della cultura
da parte dell'economia di mercato per cui il valore d'uso dell'opera è sottomesso
al suo valore di scambio come merce. La gente non ascolta più la musica per "goderne",
ma per rafforzare la propria personalità attraverso l'appartenenza alla comunità
dei consumatori.
La critica di Adorno non è infatti riferita al genere musicale in quanto tale, ma
all'uso consumista cui è destinato, che ha provocato un appiattimento del potenziale
"critico" della musica.
Non lascia stupiti dopo ciò, scoprire come egli sia uno dei fondatori, nonché uno
dei maggiori esponenti, della Scuola di Francoforte. Scuola che critica il depauperamento
culturale della "massa", da imputarsi alla classe dominante capitalistica che crea
un apparato culturale, svuotato ormai della sua componente critica e riflessiva,
riducendo tutto a mero e semplice intrattenimento. Adorno parla a proposito di razionalizzazione
e standardizzazione[2],sottolineando come il monopolio dei grandi gruppi industriali
selezioni e conformi i prodotti culturali al gusto dei consumatori.
Tra le varie critiche che vengono rivolte al pensiero dello studioso, vi è la mancanza
di empirismo nelle sue tesi, la limitata conoscenza del fenomeno, la focalizzazione
sul solo periodo dello Swing e la sottovalutazione della forza dell'improvvisazione.
Ve n'è anche una inerente al suo "carattere elitario", la vera arte, per Adorno,
non può essere per tutti e, se lo è, non è vera arte.
Dopo la prima guerra mondiale si apre un dibattito tra critici di destra e di sinistra:
Adorno, filosofo collegabile a quest'ultima corrente, condanna il Jazz in quanto
arte stereotipata e funzionale al sistema. Benjamin, anch'egli esponente della Scuola
di Francoforte, è di idea diversa. Studiando il jazz da un'altra prospettiva, sostiene
come questa nuova musica può divenire veicolo di contenuti nuovi e rivoluzionari
(Bergoglio,2010).
A pensarla così è anche il professore e critico Eric J. Hobsbawn, appassionato
studioso e amante del Jazz. Questi ha più volte descritto e analizzato il paradosso
interno a questa musica: un linguaggio popolare di una classe subalterna che si
eleva al rango di arte popolare universale, seppur di minoranza; un quadro che stravolge
completamente gli schemi di alta e bassa cultura, di pubblico di massa e di élite.
Indubbiamente la storia del Jazz ha fatto sì che il suo approccio sia stato percepito
in maniera diversa in America ed Europa.
Appena sbarca in Europa si innesca subito un processo di fascinazione reciproca
che interessa il Jazz e gli intellettuali. Oltreoceano il Jazz non è mai diventato
una vera e propria musica di massa ma è sempre rimasta una musica d'élite, più o
meno allargata a seconda del periodo storico esaminato. In Europa fioriscono i
jazz club, veri e propri circoli per iniziati dove i musicisti dilettanti
e gli appassionati ascoltano e si entusiasmano sui primi e rari vinili disponibili.
Parigi in particolare è la capitale europea del jazz; qui trovano rifugio molti
musicisti di colore in fuga da un'America razzista, che non considera il jazz un'arte,
mentre nei club della capitale francese, i giovani intellettuali e artisti
sono affascinati dalla musica afroamericana. Boris Vian, Jean-paul Sartre,
Simone De Beauvoir, Juliette Gréco, frequentano i fumosi locali dove
oltre a far cultura si suona jazz. Testimonianze di questo interesse sono in molte
opere letterarie del tempo. La pittura, la letteratura e le avanguardie di quel
periodo sono intrise di musica jazz.
Nel momento in cui la musica cambia, diventa "difficile" e richiede uno sforzo di
ascolto e comprensioni maggiori, il pubblico cambia repentinamente, sia in America
che in Europa. Gli esistenzialisti francesi che amano il jazz non sono poi così
distanti dai poeti e dagli scrittori della Beat Generation e sia in America
che in Europa le giovani generazioni di intellettuali riconoscono nel Jazz la sua
qualità di musica anticonformista. Hobsbawn fa notare come già gli allievi della
Austin School di Chicago, tra cui
Bix Beiderbecke,
Pee Wee Russell, Bud Freeman e Dave Tough, erano rampolli della
buona borghesia americana (intuibile dall'assenza di cognomi italiani o slavi),
impegnati politicamente, istruiti, colti, che si ribellavano alla "rispettabilità"
della classe media e condividevano l'idealizzazione del "nero" e un sostanziale
rifiuto dell' American way of life.
Andando al di là delle distinzioni borghesia/proletariato, musica d'élite/ musica
di massa, bianchi-neri, il Jazz ha sicuramente compreso un pubblico eterogeno e
spesso scolarizzato, dove una fetta importante è sempre stata costituita da giovani
ribelli e intellettuali anticonformisti. Hobsbawn spiega come il Jazz fino alla
seconda guerra mondiale abbia riscosso un consenso unanime non tanto per le sue
qualità intrinseche ma in quanto simbolo della modernità e, conseguentemente, di
rottura col passato: era un nuovo manifesto della rivoluzione culturale.
Il Jazz risultava scandaloso agli occhi della piccola borghesia tradizionalista
e dei conservatori più rigidi che, attuando un paragone con la musica "alta" europea,
autoproclamatasi superiore e rivolta ad una minoranza, lo vivevano come musica di
una " razza" inferiore, volgare, deviante e perversa. Per questo il Jazz si viene
a trovare in una posizione antitetica alla cultura dominante, il che ha permesso
la formazione, attorno ad esso, di una compagine variegata di avanguardisti, giovani
ribelli e oppositori di tutti i regimi.
Entrano qui in gioco le critiche al genere che provenivano da destra, secondo cui
il Jazz era pernicioso e, in periodo di guerra, antigermanico e "pacifista". Il
Jazz alla moda negli anni Venti, subisce così negli anni Trenta gli attacchi dei
regimi nazionalfascisti, ma non per questo scompare ed anzi, da arte popolare quale
è, si tramuta in musica di protesta.
Fu soprattutto dopo il 1933, quando il Jazz (insieme ad altre melodie di compositori
tedeschi ebrei) venne bollata come Entartete Musik, ossia musica degenerata
e diseducativa e venne proibita, che divenne ancor più popolare. Facendosi portavoce
dell'anticonformismo della gioventù che non si sentiva nazista, unificò i giovani
europei sotto il segno dell'antifascismo. E' proprio in questo periodo che gli apprezzamenti
al Jazz da parte dei futuristi vengono meno, in ossequio ai diktat sempre più serrati
del regime fascista.
Il jazz è dunque un manifesto del "populismo", a cui sicuramente è da imputare la
creazione di un ideale dell'arte nella società, più vasto e socialmente più sano,
di quello di una cultura riservata ad una minoranza. Ha consentito ad esecutori
ed ascoltatori di "fare" arte, di provocare interesse e discussioni artistiche tra
un pubblico, cosa che le arti ufficialmente riconosciute non sarebbero mai riuscite
a fare. Lo stesso studioso Richard Dyer riprende la tesi di Hobsbawn secondo cui
il Jazz è stato capace di abbattere tutte le barriere di classe: è un universo aperto
al diverso, forse perché la sua forza creativa è data dalla estemporaneità dell'ispirazione
o forse perché conserva nel suo bagaglio culturale l'origine di espressione di una
popolazione oppressa. Per questo suo retaggio è una musica tenacemente antirazzista
e lo è stata non solo nell'Europa nazista che condannava la musica dei neri perché
selvaggi e inferiori.
In America proprio lo Swing venne elevato a scudo della democrazia contro il nazifascismo,
venendo incorporato nell'immaginario nazionale e andando a rappresentare sia i valori
della sinistra più accesa che quella dei liberali, moderati e la modernità della
gioventù delle grandi città. Il Jazz si è sempre presentato come musica "rivoluzionaria"
affiancandosi poi alle proteste del popolo afroamericano, alle lotte per i diritti
civili o le manifestazioni contro le guerre (il Vietnam).
Nonostante ciò la sinistra di inizio secolo muove da un'analisi critica al jazz,
associato all'idea di bella vita, ai ricchi che folleggiano nella notti parigini
o berlinesi in un'età del Jazz all'europea, ricca di fasti e dissolutezza. Il Jazz
approda in Europa come moda esotica e non in qualità di musica dei neri per i neri.
Altri ancora, come il musicista francese Jean Wièner, anti-elitario per eccellenza,
rimettono le cose a posto, definendolo come accessibile a tutti, musica "di cuore,
di gambe e di circolazione sanguigna". Un genere quindi davvero poco etichettabile.
Nata in ambienti proletari urbani e suonata da persone ai margini della società,
è diventata via via oggetto di fascinazione collettiva, se non di culto, da parte
dell'upper class, di avanguardisti ed intellettuali. Una musica continuamente
sospesa tra il popolare e l'accademico e per questo straordinariamente unica ed
innovativa.
[1] Avanguardia storica
di matrice italiana, nata all'inizio del Novecento, caratterizzata dall'esaltazione
della modernità e dall'impeto del fare artistico.
[2] Secondo il filosofo tedesco la società occidentale è caratterizzata da un progressivo
processo di "razionalizzazione", che finisce col sacrificare l'individuo, condizionato
dalle moderne tendenze della produzione e del consumo che subordinano gli attori
sociali ad un processo di massificazione alienante; nel corso di tale processo,
l'arte si chiude in sé, si isola e tende così all'estraneamento della società. Profondamente
legato al processo di razionalizzazione è quello di "standardizzazione", cioè quel
processo tramite cui le musiche vengono realizzate in base a regole compositive
standard, quindi convenzionalmente stabilite e largamente adottate(Adorno, 2010,
p.45).
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Data ultima modifica: 21/01/2018
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