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Storia della musica afro-latina - Ia parte
di Federico Bertelli

Salve a tutti, dopo un po' di tempo sono tornato a scrivere o meglio proporre qualcosa su jazzitalia.

Promettendo di proseguire comunque la storia sul linguaggio e le origini del jazz, (a breve sarà pronta la seconda puntata), questa volta mi sono voluto dedicare alla musica cubana o meglio afro-latina e le sue origini in Cuba.

Prima di addentrarci nel l'ambito prettamente socio-storico-musicale,vorrei cominciare un po a descrivere come era l'isola di Cuba e da chi era popolata prima dell'arrivo degli europei.

I primi tempi
P
rima della scoperta dell'America (Cristoforo Colombo 1492), a Cuba, si pensa che fossero presenti tre etnie con livelli di sviluppo diversi: I Guanajatabeyes (arrivati sull'isola circa tremila anni fa, senza che si sia mai individuato il loro luogo di provenienza), I Ciboneyes e I Taìnos.

I Guanajatabeyes non andarono oltre le più rudimentali condizioni di vita: non conoscevano la ceramica e non costruivano case, si rifugiavano nelle grotte, popolo di raccoglitori, conducevano una vita nomade nella metà occidentale del paese; si nutrivano di molluschi, lumache e roditori.

I Ciboneyes arrivarono un bel po' di tempo dopo, all'inizio della nostra era.

Provenivano dalla fossa dell'Orinoco (l'attuale Venezuela) nell'america del Sud, appartenevano alla vasta famiglia degli aruachi. Erano cacciatori e pescatori, dediti inoltre alla raccolta della frutta; abitavano le spiagge della costa e le foci dei fiumi. L'utensile di maggior diffusione era una conchiglia, che opportunamente lavorata, diveniva pala, cucchiaio, contenitore, regalo, moneta, oggetto rituale. Praticavano la sepoltura e il culto dei morti, abitavano in grotte, non portavano vestiti.

Circa otto secoli dopo (verso il 1400 d. C.), arrivò una seconda e più evoluta ondata di aruachi, chiamati appunto: Taìno.

I Taìnos, costruivano abitazioni spaziose e linde, praticavano caccia, pesca; erano tecnologicamente evoluti: lavoravano la terracotta, le conchiglie, il legno, erano eccellenti scultori; realizzavano opere scultoree cerimoniali di grande espressione artistica: come i duhos, divinità quali il cemí (zemí o zeme).

Praticavano un'agricoltura razionale e rispettosa delle rotazioni annuali dei prodotti coltivati (yuca, boniato e mais); pescavano legando a un filo un pesce particolare dotato di ventose (lo juaican), guaicano o rémora (Eucheneis naucrotes), che attirava e bloccava, paralizzandoli, gli altri pesci spesso di maggior dimensioni. Impiegarono inoltre altre tecniche di pesca come la rete fatta con filo estratto dal legno o canna y bejucos, utilizzate principalmente in mare poco profondo e in fiume. Fumavano foglie di vario tipo, principalmente tabacco; il quale occupava un posto molto importante nella società taìna, associandolo alle proprie cerimonie rituali e pratiche magico-curative. E come per i Cyboneyes il clima faceva sì che non usassero vestiti, tranne che una piccola gonna la nagua per le donne sposate.

Si ungevano il corpo di nero e di rosso, con tinte estratte dalla jagua (Genipa americana) e dalla bija (Bixa orellana); usavano lavarsi spesso durante il giorno.

Erano organizzati in caste, il loro capo tribù era il cacique, il capo religioso behique; entrambi erano coadiuvati da un consiglio dei saggi, i natainos.

I villaggi taìnos si chiamavano yucayeques e le sue unità abitazionali los bohìos e caneyes, erano composte da pali di legno che entravano nel suolo e da canne incastrate con foglie di palma o paglia, lasciando in alto un apertura che fungeva da camino. Un solo bohìo poteva ospitare varie famiglie, tenendo conto che era frequente ad esempio che le figlie sposate abitassero con il padre. I "bohìos" erano chiamati anche eracras, erano di forma circolare con tetti conici, mentre "el caney", nome dato alla casa dei caciques, era occasionalmente rettangolare e un po più spaziosa; situata di fronte al batey o piazza dove si riunivano i membri della tribù per celebrare molte delle proprie attività sociali e cerimoniali.

La loro religione era relativamente complessa ed includeva un culto degli antenati, cerimonie di grande importanza come gli (areítos) espressioni di canto e danza, complementata da recitazioni,…El areito si considera sia il segno più avanzato all’interno di tutte le espressioni culturali del popolo taìno. Veniva regolarmente praticato in piazze cerimoniali che gli spagnoli denominarono "corrales".

Oggetto di culto relgioso era inoltre l’adorazione della divinità cemíe, figura scolpita in diversi materiali e dimensioni che poteva influire in maniera decisiva nel normale sviluppo della vita umana giornaliera; poteva convivere con gli uomini e riprodursi attraverso loro stessi. Il cemì, o (cemìe) era il corpo terrestre del dio, dell’entità mitica o dell’antenato scomparso. Avevano anche servi, generalmente Cyboneyes. La successione era matrilineare; le donne contavano e lavoravano di più, avevano anch’esse un consiglio delle sagge che si riuniva ed aveva potere nelle occasioni più gravi: (furono le donne a ricevere i due ambasciatori inviati da C. Colombo).

Come i loro predecessori, hanno lasciato graffiti, nelle caverne; da questi si deduce un mito di fondazione dove il sole, la luna e gli uomini sono generati in una caverna originaria. Una particolarità: gli indios de la Isla Española, Puerto Rico e la maggior parte delle Antille, praticavano un gioco, il batey, molto simile al calcio moderno; utilizzando una palla di "gomma", che era costituita da resine vegetali cotte, estratte dal copey (Clusia rosea), che alquanto stupì gli spagnoli che non conoscevano ancora l'esistenza della gomma. Il gioco consisteva in due gruppi di un numero indeterminato di giocatori, che cercavano di mantenere la palla in aria, colpendola solo con le anche, con la testa, senza poter usare le mani per colpirla, mostrando grande agilità e destrezza da parte dei giocatori, sia che fossero donne che uomini.

Cristoforo ColomboAltri popoli avanzavano dal Sud America lungo l'arco delle isole, il loro grido di guerra era che: «solo il caribo è un vero uomo». Sembra che i taino temessero molto l'arrivo di questi uomini, che consideravano gli altri con il medesimo disprezzo che i greci avevano per i barbari.

Ma una cinquantina d'anni prima della presunta data in cui i caribi arrivarono con le loro rudimentali canoe a Cuba, nell'isola erano giunti altri uomini….Il loro arrivo sarà in seguito conosciuto con l'inaccettabile termine di «scoperta». Nel nome della Spagna il genovese Cristoforo Colombo mette piede in terra cubana il 27 Ottobre 1492, 15 giorni dopo essere sbarcato in quell'Asia apocrifa, che invece, era l'America.

Difficile immaginare che sarebbe accaduto agli abitanti di Cuba se i caribi fossero arrivati prima degli spagnoli. Come degli spartani sappiamo solo quello che ci hanno raccontato gli ateniesi e non viceversa, così conosciamo la versione europea dei caribi, ma non la visione caribica degli europei. La filologia ci ricorda che dalla deformazione spagnola della voce caribe deriva il termine cannibale. Nel 1580 Montaigne pubblicherà il suo memrabile saggio Sui cannibali, pieno di intuizioni preroussiane, ma già nel 1611 ad esempio: l'anagramma (in inglese) di questa parola darà, nella Tempesta di Shakespeare, Calibano, «schiavo selvaggio e deforme», genio del male. Fu così che i più coraggiosi abitanti di quelle isole, coloro che opposero maggior resistenza contro l'invasore, entrarono nella storia europea come cannibali, antropofagi, incarnazione del male.

Da parte sua, la storia europea entrerà nelle Antille con meno sottigliezza filologica. A cinquant'anni dall'arrivo dei «civilizzatori» bianchi a Cuba, gli indigeni sottoposti a lavori terribili (ridotti in schiavitù, erano costretti a lavare ed estrarre oro per 12-14 ore al giorno), massacrati o contagiati da malattie (che per altro a loro erano sconosciute, ma mortali), erano stati praticamente sterminati a dispetto degli interventi in loro difesa come quello di padre Bartolomé de las Casas, il primo occidentale importante che biasimò dall'interno la barbarie colonialista. Si calcola che la popolazione india, che nel 1492 ammontava a circa 100.000 persone, già nel 1530 fosse ridotta a sole 5000 unità. Già verso il 1750 la presenza degli uomini (grossolonamente chiamati indios) era ridotta a zero, di loro resta poco o nulla, l'uso del tabacco e oggetti come l'amaca e la canoa; una quantità di parole, dal nome stesso del loro Paese e di moltissimi villaggi, fino a nomi comuni che sono stati i primi e saranno poi i più numerosi di questo continente a passare nelle altre lingue; e una serie di circostanze legate al contadino povero cubano, anche se etnicamente non ha vincoli con l'aborigeno. Già dagli inizi del secolo XVI, per sostituire nei lavori l’indio ormai sterminato, furono importati schiavi neri dall’Africa, che continuarono ad arrivare fino alla seconda metà del secolo XIX, e che finiranno con il costituire una componente essenziale della nazionalità cubana.


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Data pubblicazione: 06/02/2005

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