Intervista a Salvatore Bonafede
20 marzo 2003
di Antonio Terzo
Antonio Terzo.
Cominci giovanissimo, tanto che non eri ancora maggiorenne quando alla RAI hai preso parte a trasmissioni televisive di rilievo ("Sapere: il Jazz in Italia", "Chitarra e fagotto" e "Di Jazz in Jazz", condotte da
Franco Cerri), le poche d'allora, quindi seguite da tutti i cultori.
Salvatore Bonafede.
Avevo non più di 12-13 anni…
A.T.
Qual era allora lo stato della musica jazz in Italia?
S.B. Secondo me era ancora agli inizi, perché, al contrario di oggi, non c'erano scuole, non era facile reperire dischi, i concerti erano pochi, venivano pochissimi musicisti americani, quindi c'era poca possibilità di confronto. E poi allora, al contrario di oggi, trasferirsi in America era visto con enorme difficoltà, anche se poi lo abbiamo fatto in tanti… Ricordo che allora, negli anni '70, i personaggi più di spicco erano
Franco Cerri, Renato Sellani, Gianni Basso, secondo me i "papà" del jazz italiano, personaggi che hanno cominciato a fare jazz negli anni
'50, sulla scia di
Gorni Kramer. Adesso, a distanza di trent'anni, l'Italia è uno dei paesi al mondo con più jazz, quantomeno dal punto di vista della qualità dei musicisti. E' vero che molti di noi andando negli Stati Uniti hanno avuto la possibilità di confrontarsi, di studiare. E adesso manteniamo quei contatti, quindi ora funziona molto meglio dal punto di vista qualitativo per il rinnovamento generazionale.
A.T. Eppure, ancora tutto era da venire… Pensi anche tu che la "svolta" per te sia stata la borsa di studio al Berklee College? La consideri una svolta?
S.B. Non tanto per la borsa di studio, quanto per il fatto di essere andato negli Stati Uniti. Sì, per me è stata realmente molto importante l'esperienza lì, perché quando ho abitato a New York, ho conosciuto in un sol colpo un numero incredibilmente alto di musicisti, tutti in una stessa città. In Italia come in Europa, tutt'ora il problema è il decentramento delle forze: ci sono tanti bravi musicisti, però un gruppo abita a Milano, un altro opera a Londra, come
John Taylor, Norma Winstone, Kenny Wheeler, ci sono bravi musicisti a Parigi, a Roma, un po' dovunque… Però siamo tutti distanziati, e solo occasioni come i concerti o le tournée o le registrazioni ci mettono insieme.
A.T. Ma anche restando in Italia ci sono realtà molto belle a Firenze, a Roma, a Milano …
S.B. Sì realtà direi quasi regionali, non c'è nessun accentramento. Mentre avendo letto la storia del jazz, avendo conosciuto musicisti che oggi hanno 70-80 anni, che hanno davvero vissuto la storia del jazz fin dagli esordi, penso che New York abbia sempre funzionato da luogo accentratore, lì si ritrovano centinaia di musicisti bravissimi. E non solo newyorkesi o americani, ma anche molti europei o addirittura giapponesi, ci ritroviamo periodicamente tutti nella stessa città! Quindi ecco, lì c'è una sorta di full immersion, sera per sera ti ritrovi accanto a grandissimi musicisti, esistono tantissimi locali aperti dove si esibiscono altrettante bands, musicisti disparati, giovani che suonano le nuove tendenze, l'avanguardia, c'è la tradizione, ci sono pianisti che suonano da soli o in duo, le big bands, quartetti, quintetti, c'è il bop, c'è tutto, tutto in una città! Quindi non occorre aspettare l'occasione, come invece avviene in Italia, dove abbiamo bellissimi festival e rassegne, ma si deve sempre aspettare l'occasione… Per esempio,
Umbria Jazz è un grande festival, ma si tiene una volta l'anno, anzi, da un po', due volte l'anno perché c'é anche la versione "Winter". Tuttavia si tratta sempre di contesti episodici.
A.T. Negli States hai appreso i canoni americani…
S.B. In effetti avevo cercato di apprenderli già attraverso i dischi. Una volta lì, ho imparato direttamente da loro. Ricordo che prendevo lezioni private da quegli stessi jazzisti che fino a quel momento avevo conosciuto soltanto attraverso i dischi. Quindi proprio la vicinanza fisica è stata molto utile, molto formativa.
A.T. Parli di Joe Lovano, Bergonzi…
S.B. Non solo dei musicisti con cui ho suonato, ci sono stati dei personaggi con i quali ho studiato, musicisti come Lee Konitz, Paul Bley e tanti altri dai quali andavo a prendere lezioni.
A.T. Ma quando si va in un posto per apprendere un certo modo di suonare, diverso dal proprio, non si rischia di snaturare se stessi con qualcosa di non spontaneo, che cioè non proviene dalle proprie corde?
S.B. Secondo me è il contrario: è la volontà di allargare le proprie conoscenze, studiando la vita degli altri musicisti, per poi trovare la propria strada. Anche i grandi hanno studiato varie maniere, vari stili, vari musicisti. Ricordo una registrazione del
'49
di Charlie Parker alla Carnegie Hall, in cui ad un certo punto lui cita, nota per nota, un assolo di Louis Armstrong: questo dimostra che Parker stava a casa a studiare Louis Armstrong, sicuramente da un punto di vista stilistico lontano anni luce dal be-bop di Parker: ma così lui dimostrò di conoscere a fondo il grande Louis.
A.T. In quel periodo hai continuato a farti apprezzare ancora da altri senatori del jazz, in particolare Dewey Redman, hai inciso nel '90
Actor-Actress, un disco in cui presenziano altri tre grossi calibri,
Joe Lovano, Cameron Brown e Adam Nussbaum. Nel '91 con Paul Motian e Marc Johnson registri
Plays, per giungere poi, nel '92 ad essere riconosciuto come Miglior Nuovo Talento
dal noto referendum indetto da Musica Jazz: un punto d'arrivo?
S.B. Più che altro di partenza! Un buon punto di partenza, perché vivendo decentrato in Italia, - Palermo sappiamo non essere il centro dell'Italia, probabilmente lo sono di più Roma o Milano - ecco, quello è stato per me un bel riconoscimento, perché si sono accorti un po' in tutt'Italia che c'ero anch'io.
A.T. Per tutti gli anni '90 hai così proseguito la tua attività suonando in tour con Joe Lovano, Marc Johnson e Paul Motian, poi, scorrendo rapidamente la tua densa carriera, in Martinica con Eddie Henderson, la partecipazione al Brooklyn Lager Festival trasmesso dalla radio nazionale americana. Nel '93 torni ai jazz-club newyorkesi con Rufus Reid, Tom Harrell, Bill Goodwin
e ancora Joe Lovano, con cui ti esibisci in duo alla Town Hall. Grande esperienza anche questa…!
S.B. E' stato un momento magico, perché si trattava degli ultimi miei periodi newyorkesi, per cui in qualche maniera cercavo di trarre il massimo profitto da quell'esperienza. Ricordo d'aver suonato con lui nel '93 e poi nel '94 sono rientrato in Italia. Ma ho continuato: nel '97 con Lovano
ho fatto una lunga tournée per tutta Europa, mantenendo quindi i contatti che avevo stabilito negli States.
A.T. Del resto, anche in Italia ti sei trovato ancora a suonare con Lester Bowie, Sheila
Jordan, hai conosciuto Norma Winstone…
S.B. Esatto, nel '99…
A.T. …Billy Cobham, Tom Harrell, Bobby Watson, Lee Konitz e John Scofield… Ma di tutti gli importanti incontri fatti con tali musicisti, quale ti ha maggiormente segnato, sia musicalmente che umanamente…
S.B. Sicuramente Lovano, tanto che ci siamo quasi apparentati: lui ha battezzato mia figlia, siamo diventati "compari", continuiamo a sentirci costantemente. Con lui è stato un rapporto direi anche extra musicale, siamo diventati molto intimi, mi è stato davvero di grande aiuto.
A.T. Un recente momento importante: il Premio "Arrigo Polillo" per il CD
Ortodoxa, un bell'esempio di jazz italiano, melodico ed ironico. Prendiamo spunto dai brani in esso contenuti per parlare un po' del tuo jazz. Partendo per esempio da Charles Mingus, brano poliedrico da cui traspare una acuta ricerca… Si tratta di un semplice esercizio stilistico, dell'espressione della folgorazione di chi, come te, ha avuto modo di vedere esibire Mingus a Palermo negli anni '70, o invece una composizione di getto?
S.B. La premiazione ha segnato un momento di svolta, perché dopo essere stato tanti anni negli Stati Uniti, dove oltre a suonare studiavo sia in una struttura scolastica che privatamente, dopo tutta l'esperienza fatta come accompagnatore, dal duo con Lovano, Norma
Winstone, al trio, quartetto, quintetto, la big band, dopo tutto ciò, in quel momento, nel 2000, c'è stata una sorta di svolta: ho deciso di cominciare a gestire i miei gruppi e la mia musica, quella musica che praticamente vuol essere la summa di tutte le esperienze precedenti. Di lì a poco ho pure compiuto quarant'anni, quindi una sorta di punto mediano! Da allora ho continuato a credere fortemente nel portare avanti una mia musica, le mie composizioni, che già da questo disco,
Ortodoxa, si comprende quanto attingano da tutte quelle parti geografiche che prescindono dagli Stati Uniti: un brano è dedicato ad Astor Piazzola, un altro si chiama Enrico Rava, un altro Federico Fellini… A questo punto non è più soltanto la musica ad ispirare le mie composizioni, ma anche il cinema. Da qui è nata anche la collaborazione con i registi Maresco e Ciprì, per i quali sto attualmente scrivendo le musiche del loro nuovo film, Il ritorno di Cagliostro.
A.T. Ne
Il matrimonio invece la ricerca si rileva in modo più evocativo, sonoro, intrecciando diverse tradizioni musicali, vari registri, e caratterizzando il brano con un ritmo tipico venezuelano, il joropo…
S.B. Quello lo considero proprio come un brano ballabile. Nella mia musica rivivo tutte le esperienze di vita fino a quel momento vissute. Nel CD c'è l'Italia, il posto in cui sono nato e cresciuto, quindi Enrico Rava, c'è il cinema, quindi Federico Fellini, e pure la musica ballabile, che probabilmente ha costituito il momento più popolare di tutto il jazz, lo swing: la gente si divertiva, ballava, già prima dell'avvento del rock'n'roll, delle discoteche. Ecco, in qualche maniera ho voluto riprendere quel jazz eroico degli anni '30 e '40.
A.T. Per
I Like This Place parli di "indipendenza subordinata": un modo diverso per riferirti al free o qualcosa che è più caratteristico del tuo modo di comporre e proporre musica?
S.B. E' una sorta di scissione dove, in un quartetto o in un quintetto, due strumenti suonano ad un tempo e gli altri in un altro tempo: una bi-dimensione temporale.
A.T. Una cosa non facilmente riscontrabile in altri autori…
S.B. Da quello che ho osservato in effetti no… E non saprei dire neppure da dove mi viene!
A.T. Infine la piccola perla,
Federico Fellini: nasce pensando più al grande regista o al suo cantore, Nino Rota?
S.B. Ma sai, molto spesso non riesco veramente a fare la debita distinzione tra le immagini di Fellini e la musica di Rota, o viceversa. Per me sono tutt'uno: loro due, più di tantissime altre coppie regista-compositore, sono riusciti a fondere in un unico linguaggio immagine e melodia. Infatti quel brano è semplicemente melodia, non c'è improvvisazione… Ho cercato di vedere delle immagini dei film, non so, Rimini d'inverno… Un po' come il posto dove abito adesso, Mondello, per i Palermitani la zona balneare, ma che in inverno ha un suo particolare fascino. Ecco, in qualche maniera ho ricondotto la Rimini di Federico alla mia Mondello. Secondo me, tra l'altro, in Italia non è facile discostarsi da questa vena melodica che Rota ha portato davvero a grandi livelli.
A.T. Punti di riferimento pianistici…?
S.B. Tutti e nessuno.
A.T. Non ti sbilanci?
S.B. No, ma non perché io non voglia, piuttosto perché considero fonte di ispirazione tutti coloro i quali abbiano qualcosa di onesto da proporre, quindi a fare una lista si farebbe giorno…!
A.T. Tra i musicisti con cui non hai ancora lavorato con chi ti piacerebbe fare qualcosa insieme?
S.B. Mi piacerebbe suonare con i musicisti che adesso hanno il doppio della mia età, quelli nati negli anni '30, i Sonny Rollins, gli Ornette Coleman, quelli che potrebbero concedermi quella fetta storica che per ovvie ragioni temporali io non ho vissuto.
A.T. Nuove leve del pianismo jazz che apprezzi o segui con interesse?
S.B. Ancora tutti e nessuno. Mi piacciono tutti, ma non seguo nessuno in particolare, perché vorrei concentrarmi sulla mia cifra stilistica. Se per caso questa ancora non c'è, concentrarmi ancora di più; se c'è, concentrarmi allora per mantenerla e migliorarla.
A.T. E non senti nessuno di questi giovani che si avvicini a quanto hai seminato fino ad adesso tu?
S.B. Per la verità nessuno…
A.T. Strumento che ti piace di più accompagnare, che ti coinvolge maggiormente?
S.B. La voce, senza alcun dubbio. Pur continuando la mia strada di compositore, con gruppi miei, sono davvero felice quando collaboro con Norma o cantanti dello stesso calibro, come adesso.
A.T. La tua opinione su uno dei pianisti che al momento va per la maggiore, Brad Mehldau: c'è chi, per la sua ricerca ritmica e del suono, lo considera un intellettuale; tu che ne pensi?
S.B. Ma ne parlano così tanto che non occorre io dica niente, hanno già detto tutto: è stato detto tutto su di lui, è stata fatta una straordinaria opera di marketing…
A.T. In che cosa consiste la ricerca per te?
S.B. Ricerca significa guardare indietro per buttarsi in avanti: buttarsi in senso letterale, ossia rischiare, ma sempre con un occhio rivolto all'indietro, mettersi sempre in discussione. Probabilmente noi abbiano due occhi per questo, uno per il passato ed uno per il futuro.
A.T. Svolgi anche attività didattica, insegnando in vari Conservatori e Scuole di Musica…
S.B. Ho insegnato per sei anni al Conservatorio di Reggio Calabria ed attualmente sono al conservatorio di Trapani.
A.T. Ti interesserà sapere che Glauco Venier, curiosamente anche lui recente accompagnatore di Norma
Winstone, parlando in una recente intervista della sua esperienza di insegnante, rileva che, testualmente: "in alcune parti del paese sta accadendo che realtà scolastiche crescono, grazie al contributo di validissimi insegnanti". E poi prosegue riferendosi a te ed al tuo splendido rapporto con gli studenti di Messina, dicendo che non sei "uno che mistifica, ma uno che ha le idee chiare in fatto d'insegnamento", concludendo, ancora letteralmente: "E' inutile fare il musicista se non hai l'artigianato in mano".
(ndr. "Glauco Venier: il jazz dell'anima e del volo" -
Gianmichele Taormina -
Jazzit
aprile/maggio 2002)
S.B. Non posso che essere d'accordo con lui: la didattica ha un senso quando si ha un istinto, serve ad affinare quell'istinto, ma, senza questo, insegnare, secondo me, è un po' difficile.
A.T. Quali sono allora le tue idee in fatto di insegnamento, quello che cerchi di trasmettere ai tuoi studenti?
S.B. Che la cosa più importante è suonare, poi il resto è dato dall'essere un buon improvvisatore, saper stare sul palco, saper comunicare alla gente le tue idee, il tuo linguaggio: sulla carta il jazz soffre un po', ci sta scomodo!
A.T. Ultimo CD acquistato…
S.B. Proprio Brad Mehldau, l'ultimo suo disco! Questo dimostra che seguo tutti, ma provo a non farmi influenzare da nessuno…
A.T. Dopo aver conseguito questi riconoscimenti, aver fatto queste straordinarie esperienze, aver suonato con i succitati nomi, cosa ancora vorrebbe dal proprio futuro Salvatore Bonafede?
S.B.
A marzo ho registrato il secondo disco da compositore e leader, per la
Red Records, in trio con un fisarmonicista ospite, Pino Di Modugno, campione mondiale di fisarmonica. Probabilmente si intitolerà
Paradoxa, in quanto in qualche modo cercherò di mettere in discussione tutto quello che di buono è stato fatto in
Ortodoxa. Anche quando sono contento cerco di non compiacermi mai, per cui
Paradoxa metterà in discussione
Ortodoxa!
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Data pubblicazione: 25/04/2003
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