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Intervista con Luca Pietropaoli
febbraio 2014
di Nina Molica Franco

Da ingegnere aerospaziale a musicista, quando hai capito che la musica è la tua vera vocazione?
Sicuramente la musica mi scorre nelle vene sin da quando ero bambino. Ricordo che all'età di 4-5 anni ascoltavo ripetutamente, fino a consumarlo, il disco degli Inti-Illimani, e mi divertivo incredibilmente a suonare un flauto che i miei genitori avevano riportato da qualche viaggio. Facevo finta che la musica che sentivo provenisse dallo strumento che suonavo. Ho iniziato a studiare musica con metodo e ingegneria alla stessa età: a 19 anni il basso elettrico e poi anche il contrabbasso e poi la tromba a 24 anni. Da quel momento in poi ho portato avanti entrambe le cose.



Sei un polistrumentista che si muove abilmente tra tromba, contrabbasso, basso, pianoforte. Qual è l'obiettivo della tua ricerca musicale?

Il punto focale della mia ricerca è raggiungere una sonorità globale, che mi faccia sentire libero di comporre e, sicuramente, suonare più strumenti mi aiuta notevolmente. Posso arricchire le composizioni e allo stesso tempo avere un controllo totale sulla mia musica. D'altra parte è vero che anche suonare con altri musicisti arricchisce: in un gruppo c'è uno scambio continuo e le idee circolano. Negli ultimi due, tre anni sentivo però che fare tutto da me fosse la strada giusta da percorrere e ciò è stato possibile anche perchè, avendo la fortuna di avere fisicamente molti strumenti, inevitabilmente inizi a sperimentare. E così poggi a caso le mani sul pianoforte e inizi a sentire che suona bene.

Parliamo di "Outside the Cave", tuo lavoro in solo, edito per la Nau Records di Gianni Barone. Un titolo molto evocativo...
"Outside the Cave" significa letteralmente fuori dalla grotta. Questa per me è una sorta di spazio vuoto interiore che permette di sviluppare una giusta attitudine all'ascolto. Siamo circondati da musica, ma credo che ci sia enorme differenza tra ascolto passivo e ascolto attivo. Quest'ultimo si fa in maniera raccolta, in uno spazio intimo che chiamo la mia grotta. Lo stesso spazio in cui mi sono rifugiato dopo alcune delusioni musicali che mi hanno colto alla sprovvista e che mi hanno fatto pensare, per qualche momento, di mollare. Poi, però, mi sono riparato in questo spazio vuoto e ho sentito che lì c'era ancora musica, che non si era esaurita e ciò mi ha spinto a continuare.

In "Outside the Cave" usi spesso il contrasto tra suono acustico e elettronica. Cosa si crea dall'incontro di queste due cose?
In genere i punti di incontro sono quelli in cui il terreno è più fertile e consente di sperimentare. Cito spesso John Hassel a questo proposito e la sua idea del quarto mondo che consiste nel coniugare la potenza e la saggezza musicale del terzo mondo con la tecnologia del primo. Così facendo ha creato un genere musicale. Mi piacciono molto i punti di incontro, perchè credo che lì ci sia ancora molto da scrivere, ci siano degli spazi vuoti da riempire. C'è ancora molto da esplorare per capire in quale misura, in quale quantità acustico e elettronico possano essere mescolati. Mi sento un po' come un cuoco, o meglio un alchimista che cerca di trovare le giuste quantità degli ingredienti che utilizza. Solitamente mi lascio ispirare dalla musica, i pezzi cominciano a formarsi e strada facendo capisco cosa ci sta bene e cosa va aggiunto.

Come nascono le tue composizioni?
Il punto di partenza è sempre un'improvvisazione, la scrittura viene in un secondo momento, quando inizio a pensare che ciò che sto facendo suoni bene, allora mano a mano inizio a fissare tutto. Non voglio che sia tutto troppo non radicato, credo che certe cose vadano fissate: i temi, le tonalità, le scale che utilizzo per le improvvisazioni. È un lavoro che procede per cesellamenti continui. Un po' come se fosse un blocco di cera: comincio a scalpellare un po' a caso, poi inizia a prendere forma e allora continuo in quella direzione. Ma nel processo di creazione, l'esito all'inizio non è ben chiaro.

Quali sono i tuoi gusti e le tue influenze musicali?
Ho sempre ascoltato molta musica e soprattutto tanti generi diversi: dalla musica classica al rock, il dark, il jazz e il new wave e anche l'elettronica e la dance. Non ho alcuna preclusione di genere. Mi sono sempre piaciute molte cose e sempre diverse tra loro. Se dovessi fare dei nomi potrei direi sicuramente John Hassel, Miles Davis, Arve Henriksen ma anche i Cure e i Simple Minds. Così come la scena elettronica del nord Europa, Trentemøller, i Boards of Canada e Brian Eno; ma anche tanta musica africana, come quella di Ali Farka Touré. E poi ovviamente il filone della musica rinascimentale e barocca, i grandi autori del seicento veneziano, ma anche i compositori del '900, da Ravel a Debussy.

Una insolita passione per la musica barocca e rinascimentale...
Si, sin da piccolo ho ascoltato la classica. Quella barocca e rinascimentale è un tipo di musica alla quale puoi avvicinarti anche senza passare attraverso i canali classici del conservatorio, richiesti invece se vuoi suonare le composizioni del Settecento e oltre. Normalmente un orchestrale deve essere diplomato e deve studiare sin da bambino. Invece, alla musica rinascimentale puoi avvicinarti da adulto. Ho avuto la fortuna di entrare in un coro polifonico nel 2000 e da lì si è aperto tutto un mondo, ho scoperto che potevo fare anche qualcosa di classico, di antico.

Abbiamo parlato di jazz, di rock, di elettronica e perfino di musica rinascimentale. Troviamo tutto in Outside di Cave?
Inevitabilmente quello che ascolti è quello che sei. In Outside the Cave non ho voluto fare una summa delle mie influenze o di quello che ho ascoltato. Credo che ad un certo punto dimentichi tutto e inizi ad andare avanti, un pò come imparare a camminare: dopo un pò cammini con il tuo passo, alla tua velocità. Le mie influenze fanno parte di me, ragiono e faccio musica a quella maniera. Quindi non ho voluto fare una summa delle mie influenze, ma semplicemente esprimere ciò che sono.

Alcuni progetti oggi vengono definiti più difficili per il pubblico rispetto ad altri. Cosa vorresti trasmettere al tuo ascoltatore con Outside The Cave?
Vorrei che non fosse difficile, o per lo meno, ciò che compongo ha sicuramente le sue difficoltà, ma vorrei che fossero interne, quasi nascoste. L'obiettivo è far si che chi usufruisca della mia musica venga mosso da qualcosa, senza dover necessariamente riconoscere le mie influenze, ma che riesca a lasciarsi andare senza pensare che ciò che sta ascoltando sia complesso. Vorrei arrivare al pubblico in maniera del tutto naturale. La domanda che spesso mi pongono è "Che genere fai?", io posso solo dire cosa non è Outside the Cave: non è jazz, non mi sento un jazzista a tutti gli effetti, ho studiato il genere e sicuramente fa parte di me, ma la mia è una ricerca musicale totalmente diversa.







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Data pubblicazione: 30/03/2014

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