Intervista a
Robert BONISOLO
di
Vito Mancino
VITO MANCINO:
Allora, Robert, raccontami come ti sei avvicinato al tuo strumento…
BOB BONISOLO:
Al sassofono mi sono avvicinato grazie ad un amico...ma
prima suonavo già il pianoforte: mio padre mi comprò un pianoforte quando avevo
sette anni e mi fece studiare.
Lui era un batterista. Suonava liscio (liscio americano se
così lo possiamo chiamare) e poi jazz, fox-trot etc.
Sulla stessa strada dove abitavo c'era un ragazzo un po'
più grande di me che studiava piano con il mio stesso insegnante. Lui
naturalmente si iscrisse alle scuole superiori prima di me e un giorno portò a
casa un sassofono mentre io mi divertivo ad accompagnarlo con la batteria.
Suonavamo Nighttrane mi ricordo...
Così quando sono arrivato alle superiori anch'io, ho
deciso di iscrivermi ad un corso di musica visto che ormai era già da otto anni
che studiavo il pianoforte.
Però lì il sassofono lo scelsi come terzo strumento: il
primo era la batteria mentre come secondo scelsi la tromba.
Ma la scuola non aveva un sax da darmi al primo anno e così
mi diedero un clarinetto: quell'anno fu disastroso. Poi per l'estate si potevano
portare a casa gli strumenti per studiare e riuscii finalmente a procurarmi un
sax dalla scuola. Fu allora che iniziai a suonare sui dischi di mio padre: le
orchestre di Buddy Rich, Count Basie, Duke Ellington etc.
L'anno dopo si accorsero a scuola che suonavo bene il
sassofono e mi fecero continuare con quello.
VITO
MANCINO: Ho letto che sei stato una specie di enfant prodige,
che suonavi benissimo già da piccolo...
BOB BONISOLO:
Sì, diciamo dopo almeno un anno che suonavo il sax. Ero
stato molto avvantaggiato dal fatto di aver studiato il pianoforte perché avevo
già imparato a leggere bene e sapevo già tutte le scale...poi andavo molto anche a
orecchio!
Inoltre sin dal primo anno delle scuole superiori suonavo
con le big band della scuola: c'erano quelle per gli allievi junior, gli
intermediate e i senior.
Io suonavo tantissimo perché partecipavo a tutti e tre i
gruppi e provavamo tre volte la settimana prima di scuola. In più suonavo anche
nelle serate organizzate dal mio insegnante di musica che era una persona che si
dava molto da fare anche nelle attività extrascolastiche: comprava spartiti,
organizzava…meno male che c'era lui perché non tutti si davano da fare così
tanto.VITO MANCINO:
Accidenti, da quello che mi dici mi pare di capire che
anche in Canada, oltre che negli Stati Uniti, l'insegnamento della musica è
molto più evoluto rispetto a quello che si fa in Italia...
BOB BONISOLO:
Sì, è vero. Ma è anche vero che molto dipende dalle singole
persone che insegnano. Molte delle attività cui partecipavo io erano delle
attività diciamo "in più" rispetto a quelle obbligatorie a scuola.
VITO MANCINO:
Però era tutto gratuito giusto?
BOB BONISOLO:
Sì, sì. La scuola forniva tutto gratuitamente. Avevamo
tutti gli strumenti delle cosiddette marchin' bands. Non si trattava di
un'orchestra sinfonica, non c'erano archi. Anche negli Usa è così perché ogni
high school deve avere la sua band che suona durante le partite di football.
Poi questo insegnante ci faceva partecipare a un vero e
proprio "campionato musicale" nel quale ci confrontavamo con altre high
schools. C'erano vari livelli, dalle gare regionali a quelle nazionali...
Il concorso faceva parte del circuito della
National
Association of Jazz Educators ed era dunque una specie di "vetrina" delle scuole
che vi partecipavano. Il pubblico, per cui anche i futuri studenti, poteva così
valutare di persona i livelli raggiunti dai vari studenti delle varie scuole…
In occasione di quel concorso ho vinto una borsa di studio
che mi avrebbe dato accesso a tre o quattro colleges musicali sempre in Canada.
Ma il mio primo insegnante, Pat La Barbera, (fratello di
Joe, batterista in uno dei trii di Bill Evans ndr.) mi aveva messo in testa
il pallino del Berklee School of Music. Così ho inviato un nastro a Boston sul
quale avevo registrato Giant Steps e qualcos'altro e ho vinto una borsa di
studio per il primo semestre.
VITO MANCINO:
A proposito della famosa scuola di Boston, qui in Italia
nel "circuito" degli appassionati gira voce (o almeno girava fino a qualche
tempo fa) che la Berklee school sia una specie di fabbrica di talenti...
BOB BONISOLO:
Indubbiamente la Berklee sforna
dei bravi musicisti...Ma ti dico della mia esperienza lì. All'epoca c'erano circa
tremila iscritti (contando tutti i corsi, da quelli di musica per film a quelli
di ear training) e due programmi, il diploma e il degree.
Il primo prevedeva esclusivamente lo studio della musica
mentre il secondo somigliava più ad una laurea, con un programma più vasto che
andava anche oltre la musica. (Attualmente i due dovrebbero corrispondere ai
programmi graduate per il degree ed undergraduate per il diploma ndr.)
Io scelsi di fare il diploma che mi permetteva di
dedicarmi solo alla musica: pensa che oltre ai tanti corsi che frequentavo, ogni
giorni suonavo con due ensambles differenti. Ciò vuol dire circa quattro ore al giorno di musica
d'insieme con gente del tuo stesso livello ed un insegnante che ti sottopone
musica nuova ogni giorno. Io credo che quella esperienza sia stata davvero
fenomenale: adesso non ho nessun timore di uno spartito nuovo sotto gli occhi: so
che se ne può sempre venire a capo!
Come se non bastasse c'erano poi le jam sessions
tutte le sere. Bastava prenotare gli strumenti che ti servivano la mattina...si
suonava tutte le sere. Mi ricordo poi che giravo per i corridoi e ogni tanto mi
fermavo a sentire qualche gruppo che mi piaceva: così si riuscivano a conoscere
un sacco di musicisti!
Ma tornando alla domanda sarò sincero: secondo me almeno
un terzo di quelli che frequentavano la Berklee era gente che aveva i genitori
che potevano permettersi la retta ma suonavano sempre i soliti tre accordi. Le loro rette "servivano" poi a pagare le borse di studio
ai musicisti più in gamba.
VITO MANCINO:
In ogni caso l'attività formativa
che quella scuola ha esercitato su di te è indubbiamente di gran valore mi
sembra di capire...
BOB BONISOLO: Assolutamente sì!
VITO MANCINO:
Al contrario di quanto avviene in Italia. Non esiste
nulla di simile a nessun livello qui da noi o mi sbaglio?
BOB BONISOLO:
No, in Italia non c'è nulla di simile. Alla Berklee c'erano anche delle big bands dedicate
ad un certo tipo di musica (per esempio la Buddy Rich Big Band) che
riproducevano la musica delle vere big band e di solito l'insegnante era un ex
membro della band originale.
VITO MANCINO:
Così c'è un livello didattico
anche di trasmissione di esperienza diretta potremmo dire...
BOB BONISOLO:
Esatto. Si ascoltavano i dischi dell'incisione e si
lavorava su come ottenere quel tipo di risultato secondo le indicazioni di chi
aveva partecipato alla registrazione.
VITO MANCINO:
In seguito hai continuato da autodidatta?
BOB BONISOLO:
In un certo senso sì perché avevo il visto scaduto e mi
hanno arrestato ed espulso dagli Usa. Per due anni non ho potuto ritornarvi e in
quel periodo ho studiato per un po' alla Banff School of Fine Arts di Alberta,
in Canada con Dave Holland, John Abercrombie, Dave Liebman,
Kenny Wheeler etc.
È stato lì che ho conosciuto Liebman che mi ha invitato a
NY. Così, passati i due anni sono tornato a Boston, ho preso il diploma alla
Berklee e poi mi sono trasferito a New York con le sovvenzioni del
Canadian Arts Grand Council per studiare
privatamente con Dave Liebman appunto.
Lì sono rimasto un anno e mezzo e anche quella è stata
un'esperienza estremamente significativa per la mia formazione di musicista.
VITO MANCINO:
Mi pare che tra te e Liebman sia
nato anche un rapporto di amicizia...
BOB BONISOLO:
Sì, è vero. Dave è un tipo speciale perché il fatto stesso
che ti scelga come suo allievo implica che diventerai suo amico. Il contrario mi
è successo invece con Joe Lovano. Dopo aver studiato una decina di mesi con Dave
fui lui stesso a darmi il numero di Joe in modo che potessi approfondire altri
argomenti con lui.
Joe aveva un approccio molto più impersonale con gli
allievi, almeno con me...Mi ricordo che arrivai a casa sua e mi fece suonare un
blues, poi mi fece suonare 12 blues, uno per ogni tonalità e poi mi chiese di
suonare Sophisticated Lady. Lui mi accompagnava o al piano o alla batteria. A
volte suonava anche il sax e quelli erano i momenti più belli perché...suonava
lui appunto!
Alla fine mi disse che non gli piaceva troppo come stavo
sul tempo ma non mi spiegò cosa fare per poter migliorare. La lezione mi costò
cento dollari. Non ci tornai più. Indubbiamente fu un'esperienza molto diversa rispetto a
quella con Dave. Liebman riusciva a tirarmi sempre fuori qualcosa mentre Joe
mi sembrò quasi che mi dicesse di arrangiarmi.
VITO MANCINO:
E qual è stata la lezione più preziosa che ti ha lasciato l'esperienza con
Dave Liebman?
BOB BONISOLO:
Indubbiamente il fatto che lui mi ha insegnato come
insegnare a me stesso.
Non mi ha praticamente mai parlato di note...le note erano
quasi un dettaglio. Cioè in realtà quelle le avevo imparate studiando con Jerry
Bergonzi che è stato un altro insegnante del quale sono diventato amico.
VITO MANCINO:
Bergonzi è un vero e proprio
"mostro" con il sax...
BOB BONISOLO:
Sì, quando io ero alle scuole superiori e suonavo più o
meno benino il sax lui già scriveva gli arrangiamenti per le big band…
VITO MANCINO:
Così dopo aver suonato un po' in giro per il Nordamerica
sei venuto in Europa.
Nato
in Canada il 10/01/1966
Studi
1984: Berklee college of music con
Joe Viola, John Laporta, Herb Pomeroy, Jerry Bergonzi, George Garzone etc.
Consegue il Performance Diploma nel 1986
1986: Frequenta la The Banff School of Fine Arts con
borsa di studio. Studia con D. Holland, Rr. Bierach, Joe Lovano.
1994: Completa il quinto anno di sassofono classico al
Conservatorio Girolamo Frescobaldi di Ferrara.
Collaborazioni
Tommy Dorsey Orchestra, Rob Mc Donnel and the Boss band,
Tom Harrel, Niels Lan Doky, Mike Stern, The Carla Blay big band, Steve Swallow,
Don Alias, Larry Willis, Hiram Bullock, Steve Jordan, Franco Ambrosetti, Gianni
Cazzola, Giulio Capiozzo, Antonio Faraò, Renato Chicco, Paolo Birro, Lee Konitz,
Kenny Wheeler, Elliot Zigmund, Rossana Casale, Dado Moroni etc.
Discografia
1993 IL MAGICO MONDO (Giorgi Albertazzi, Federico Zecchin)
1994 FACES (Glauco Venier)
THE EDGE (Michele Calgaro)
LIVE AL VAPORE (Gianantonio
Di Vincenzo)
1995 EXPOSE (Antonio Faraò)
THE LYDIAN SOUND ORCHESTRA
1996 TIMON OF A THEN SUITE (Lydian
Sound Orchestra)
Partecipazione a Jazz Festival
Copenhagen Jazz Festival, Umbria Jazz, Orvieto Jazz, La
Spezia Jazz, Bergamo Jazz, Vicenza Jazz, Festival di Verona, Lignano Jazz
festival e Calvì Jazz Festival.
Riconoscimenti
1982 Selezione "Canadian All Star Band"
1983 Selezione "American All Star Band"
1987
Vince il "Canadian Rising Star
Award" e l' "American Rising Star Award"
Contatti:
Robert Bonisolo
Via Costa n°11
36071 Arzignano (Vi)
tel. 0444/672276
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BOB BONISOLO:
Sì, ho suonato in molti stati degli Usa con l'orchestra di
Tommy Dorsey. Poi a New York ho conosciuto tanti musicisti tra cui
Jores Doodly, batterista di Woody Shaw ed è
stato lui a "portarmi" in Austria all'incirca nel
1988. Poi sono ritornato a New
York e da lì sono andato a lavorare in Danimarca. Intanto in quell'estate i miei
genitori erano in Italia per le vacanze (i genitori di Robert hanno origini
italiane ndr.) ed io era un sacco di tempo che non vedevo i miei parenti
italiani.
Così sono venuto a trovarli e in quel periodo mi è capitato
di fare una jam session a Valdagno a casa di Mauro Beggio con Gianni Cazzola,
Marcello Tonolo e Piero Leveratto. Poi sono tornato in Canada dove ho suonato un
po' in giro nelle principali città.
Dopo due anni Lilian Terry mi ha chiamato proponendomi di fare il coordinatore didattico della sua scuola
di musica qui in Italia, a Bassano del Grappa.
In quell'anno ho avuto modo di conoscere i musicisti locali
come Paolo Birro, Michele Calgaro, Gianni Cazzola, Mauro Beggio
e ho iniziato a
collaborare con loro. Poi ho conosciuto qui la ragazza che adesso è mia moglie e
ho deciso di trasferirmi stabilmente in Italia.
VITO MANCINO:
Cosa trovi di profondamente differente qui in Italia musicalmente parlando?
BOB BONISOLO: La cosa più evidente è che qui in Italia il jazz è
considerato una musica speciale...è un tipo di musica considerata quasi alla
stregua della musica classica. In America il jazz è solo musica, è un concetto
più semplice. Il fatto che qui il jazz sia considerato una musica
speciale mi mette a volte un po' a disagio. Cioè mi diverto molto di più quando qui non suono in dei
veri e propri jazz clubs o in teatro con gente che non conosci e ti chiama
perché ti conosce di fama, conosce il tuo nome. In America c'è più il concetto di gruppo, di suonare
assieme alle stesse persone per un po'…
VITO MANCINO:
Mi stai dicendo che in Italia il jazz è visto e vissuto come una musica
d'elite?
BOB BONISOLO: Esattamente.
VITO MANCINO:
Didatticamente parlando com'è messa l'Italia secondo te rispetto alla musica
jazz?
BOB BONISOLO: Io di solito do ai miei allievi delle nozioni che hanno il
fine di tenere la mente aperta, sono nozioni che non hanno una fine nel
tempo. Cerco di passare loro la lezione che per me in prima persona è stata la
più importante ovvero il fatto di insegnare ad insegnare a se stesso. Purtroppo
vedo a volte insegnanti che addirittura tendono a tenersi per sé delle cose...
VITO MANCINO:
Diciamola così e mi assumo io la responsabilità di ciò
che dico: in Italia il jazz è considerato una musica d'elite; fa "figo" suonare
il jazz e questo porta naturalmente ad uno sfruttamento in termini di business
della cosa. Ci sono cioè una serie di persone (ma non mi riferisco a qualcuno in
particolare) che sanno più o meno suonare che si improvvisano insegnanti, si
inseriscono nei circuiti delle scuole di musica jazz che spuntano come funghi e
ti spillano un sacco di soldi senza che tu impari un granché.
BOB BONISOLO:
Diciamo che sono più o meno d'accordo. Ma non c'è da
criminalizzare nessuno...in fondo questo mi pare che succeda a tutti i livelli,
non solo nell'insegnamento del jazz.
Per esempio anche i medici ti guardano spesso dall'alto in basso e ti trattano
con molta freddezza e distacco. Per dirla in breve si tratta sempre di rapporti
in cui "ci si dà del lei"...Gli insegnanti americani invece mi sembrano più aperti,
più rilassati, più disposti a dare risposte ai tuoi interrogativi. Mi sembrano
più sinceri in una parola. E questa è anche una grande lezione musicale se vogliamo
perché è sinceramente ed onestamente che si deve suonare, altrimenti non
funziona, il pubblico lo sente.
VITO MANCINO:
Quali sono i musicisti che reputi abbiano una personalità di grande spessore
all'interno del panorama del jazz italiano?
BOB BONISOLO:
Antonio Faraò per esempio perché fa la sua musica come
nessun altro mai potrebbe fare. Mi incuriosisce molto anche Emanuele Cisi anche
se non conosco moltissimo di lui. Un altro grande sassofonista è Pietro Tonolo
anche se non si parla spesso di lui...Poi vediamo...un batterista: Tony Arco,
Walter Paoli e Mauro Beggio. Ce ne sono tanti...impossibile nominarli tutti.
Ciò che accomuna quelli che ho nominato è il fatto che
secondo me loro hanno assimilato il vero spirito del jazz. Non suonano cioè
l'hard bop fatto e rifatto. Loro rischiano ogni volta che vanno sul palco perché
propongono qualcosa di loro e non la solita minestra. Penso per esempio anche a
Paolo Birro, Dado Moroni, allo stesso Beggio. Questa gente fa musica mettendo in gioco la propria
personalità musicale rispetto alla storia dello strumento che ciascuno di loro
suona.
Certo, nessuno vieta di suonare quello che il pubblico si
aspetta che tu suoni. Puoi farlo ma io personalmente dopo un po' sento di star
facendo del male a me stesso in quel modo.
I veri grandi del jazz erano quelli che suonavano come
volevano davvero dal profondo e non secondo i cliché o la convenienza.
VITO MANCINO:
E i musicisti giovani bravi?
BOB BONISOLO:
Fabrizio Bosso. Lui è bravissimo!
Certo è ancora molto giovane e a volte suona un po' per impressionare il
pubblico ma lui è veramente uno che va forte. Dovrebbe solo rischiare un po' di
più se proprio mi chiedi la mia opinione...
VITO MANCINO:
Bene. Allora grazie mille Robert. A presto.
BOB BONISOLO:
Ciao, grazie a voi.
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Data pubblicazione: 06/12/2002
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