Intervista a
Corrado Sgura
"L'improvvisazione? È il linguaggio
della libertà"
Ostuni – 3 ottobre 2005
di Claudio Lombardi
C.L.: Per molti musicisti
la scelta di un strumento piuttosto che un altro è stata casuale. È accaduto anche
a te?
C.S.:
No, la chitarra per me è stata sempre
uno dei simboli della musica.
C.L.:
E come ti sei avvicinato al jazz?
C.S.: Inizialmente i generi
che ascoltavo erano il pop e il rock, che amo tuttora. Poi un giorno in televisione
vidi un concerto di Miles Davis, nella formazione di "We Want Miles".
Fu una folgorazione! Non avevo mai ascoltato simili fraseggi fuoriuscire da strumenti
come la tromba, la chitarra, il basso. Da allora ho cominciato ad acquistare dischi
di artisti jazz di periodi e di stili diversi.
C.L.:
Raccontaci i tuoi inizi…
C.S.:
Ho iniziato prestissimo, cercando
di riprodurre tutto quello che ascoltavo. Poi ho cominciato a studiare con un insegnante
vari metodi per chitarra jazz e ho proseguito suonando in diverse formazioni.
C.L.:
Cos'è per te l'improvvisazione?
C.S.:
Il linguaggio della libertà, l'espressione
di uno stato d'animo irripetibili. Come per tutti i linguaggi è necessario conoscere
gli strumenti per potersi esprimere, bisogna studiare la tecnica, capire le forme
musicali, analizzare i fraseggi dei grandi maestri, ma in ogni improvvisazione c'è
qualcosa di personale che rendere il tuo modo di fare musica unico… nel bene o nel
male.
C.L.:
Quali sono stati i tuoi jazzisti
di riferimento?
C.S.: Molti, l'elenco sarebbe
lungo. Ne cito alcuni: Lenny Breau, Frank Gambale,
John Coltrane,
Charlie Parker, Bill Evans, Thelonious Monk, Django Reinhardt,
Tony Williams,
Dave Holland,
Stan Getz. Amo anche compositori classici come Mozart e alcuni
autori contemporanei.
C.L.:
Quattro album che giudichi immancabili
in una cdteca…
C.S.: Personalmente senza "A
Love Supreme", "Kind Of Blue", "The
Best of Thelonious Monk" e "Sunday
at the Village Vanguard" non saprei vivere.
C.L.:
Quali ostacoli deve superare un
giovane jazzista come te per imporsi nel panorama italiano?
C.S.:
Come in tutti i lavori anche nella
musica avere la fortuna di imboccare il canale giusto può affrettare i tempi. Un
buon management è in grado di imporre chiunque, purché si abbiano delle qualità.
Purtroppo non capita spesso di incontrare manager disposti a rischiare. Poi mancano
gli spazi… la logica commerciale premia i nomi che riempono le sale a discapito
di giovani artisti con idee innovative e ottimi progetti.
C.L.:
Se potessi scegliere una formazione,
con quali musicisti italiani ti piacerebbe esibirti?
C.S.: Con i miei amici, senza
dubbio. Per me è importante conoscere bene le persone con le quali preparo un concerto.
In alternativa con musicisti disponibili e aperti mentalmente.
C.L.:
Una battuta su "Mirage",
il tuo ultimo album…
C.S.: "Mirage" sintetizza
la mia visione della musica, il mio modo di interpretare, di comporre. Però ogni
lavoro è anche legato al periodo in cui viene realizzato. In questi mesi sono impegnato
in un altro progetto e "Mirage" mi sembra già lontano.
C.L.:
Come mai hai scelto di reinterpretare
un classico di Jerome Kern ("Yesterdays")
e uno di Antonio Carlos Jobin ("How
Insensitive")?
C.S.:
Mi entusiasmava il confronto, senza
nessuna velleità competitiva, con questi due grandi compositori, le cui sensibilità
ben si adattavano allo spirito del cd.
C.L.:
Qual è il brano di "Mirage" che
ti rappresenta di più?
C.S.: Non c'è un pezzo in particolare.
È un disco intimista e questo è uno degli aspetti del mio carattere. Magari in futuro
farò un album con un taglio diverso… chi può dirlo.
C.L.:
Se ti chiedessimo di accennare
un pezzo non tuo, così… all'improvviso, quale abbozzeresti?
C.S.:
Certamente un blues.
C.L.:
Perché?
C.S.: Perché gran parte del
jazz che ascolto proviene da lì e poi perché il blues mi piace molto.
C.L.:
Nel tuo cd di esordio, "Blue
Mood", hai suonato con due jazzisti straordinari, uno di fama internazionale,
Frank Gambale,
l'altro molto apprezzato in Italia,
Fabrizio Bosso.
Parlaci di questi incontri…
C.S.: Durante la registrazione
dell'album seppi che
Gambale
era in Puglia per dei seminari. Così andai a trovarlo e facemmo amicizia; gli
parlai di "Blue Mood" e gli dissi che mi avrebbe fatto piacere una sua partecipazione.
Frank, che oltre ad essere un chitarrista favoloso è una persona simpatica e disponibile,
accettò e ci accordammo per la registrazione. Quella che si sente sul cd ("Footprints",
ndr) è la prima take. A Fabrizio lo contattai perché avevo in mente un quartet con
tromba. Anche lui si mostrò subito disponibile. Registrammo alcuni temi originali
e degli standards, tutto rigorosamente in presa diretta.
C.L.:
Questo, il passato. E il futuro?
C.S.: Un album ispirato alla
musica di Coltrane.
C.L.:
Buona fortuna.
C.S.: Grazie!
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Data pubblicazione: 18/12/2005
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